mercoledì 23 agosto 2023

Don Milani, il mondo del lavoro e la sfida di un sindacato “di strada


Nel luglio del 1969, due allievi di Don Lorenzo Milani, Maresco Ballini e Michele Gesualdi, contribuirono ad animare un congresso nazionale molto combattuto nella Cisl. Fu un’assise, dagli esiti imprevisti, vissuta a valle delle temperie delle proteste studentesche e a pochi mesi dall’autunno caldo operaio, tanto che i lavori furono aperti dall’allora segretario generale Bruno Storti con una celebre e inattesa relazione intitolata: “Potere contro potere”.

Quel congresso, dirompente per la confederazione cislina e per l’intero movimento sindacale italiano, si concentrò sui temi dell’autonomia, dell’incompatibilità tra incarichi sindacali e politici, e dell’unità tra le confederazioni. Quest’ultima, vista con grande sospetto sia dalla Democrazia Cristiana che dal Partito Comunista, destinata a rimanere tema irrisolto fino ad oggi.

Ballini e Gesualdi “figli” delle due esperienze educative di Don Milani a Calenzano e Barbiana, erano divenuti, dopo essere passati dal Centro Studi Cisl di Fiesole, giovani sindacalisti tra i lavoratori tessili. Entrambi testimoniavano in prima persona quello che, solo due anni prima, il priore e i suoi ragazzi avevano scritto in Lettera a un professoressa: “Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. In questo secolo come si vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?”

Al centro dell’intervento congressuale di Gesualdi la questione dell’emancipazione attraverso un’educazione popolare, non gerarchica e classista, di quello di Ballini la necessità, per il sindacato, di: “mettersi a fianco dei lavoratori diseredati che devono essere preferiti a quelli privilegiati”.

Quasi cinquant’anni dopo, nel corso del 2017, due momenti molto significativi, legati a papa Francesco, si sono intrecciati nel giro di pochi giorni. Il 28 giugno, infatti, il pontefice incontrava i delegati del congresso confederale della Cisl in Vaticano; esattamente una settimana prima compiva, dopo aver sostato a Bozzolo sulla tomba di don Primo Mazzolari, il suo pellegrinaggio a Barbiana, nel luogo di esi­lio in cui la Chiesa aveva esiliato don Lorenzo Milani. In mezzo a questi due momenti, il 26 giugno, ricorreva il cinquan­tesimo della scomparsa del priore.

A Barbiana, papa Francesco, dopo aver salutato gli ex allievi, aveva esordito così:

 

“La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missio­ne, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. E quando la decisione del Vescovo lo condusse da Calenzano a qui, tra i ragazzi di Barbiana, capì subito che se il Signore aveva permesso quel distacco era per dargli dei nuovi figli da far crescere e da amare.

Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, me­diante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede con­sapevole.

Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo posse­dere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità.”

Si è scritto tantissimo su don Milani e su Barbiana, tanto che appare tutt’altro che semplice, a cento anni della nascita del priore, aggiungere parole nuove, non scontate.

Eppure il rapporto tra don Lorenzo e la sua scuola nei con­fronti del sindacato e, più in generale, dei temi del lavoro, non è tra i più studiati; rimane ancora molto da comprendere, da condi­videre, da far riverberare, da dirci insieme e, soprattutto, da «reinventare» nel tempo di oggi e in quello di domani.

Don Milani e il suo rapporto con il lavoro e il sindacato sono i temi conduttori di: “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana” un volume collettivo, oggi giunto alla terza edizione e pubblicato da Edizioni Lavoro.

La nuova edizione di questo testo viene oggi pubblicata proprio in occasione del centenario della nascita di Don Lorenzo Milani.

Se la prima edizione si era concentrata prevalentemente sui temi dell'emancipazione mediante il sapere attraverso Lettera a una professoressa (trattando anche dell’influenza di Don Lorenzo e dei suoi allievi sulla stagione delle 150 ore per il diritto allo studio negli anni Settanta), la seconda si è soffermata sull'approfondimento de L'obbedienza non è più una virtù, sempre avendo come punto di riferimento il mondo del lavoro e la sua rappresentanza.

La terza edizione, pubblicata, come detto, a cento anni dalla nascita di Don Milani, vuole provare a porre e porci alcune domande proprio sulla scia di Don Lorenzo e dei suoi allievi diventati sindacalisti in un secolo, il Novecento, ormai completamente archiviato.

Come si cura, include, organizza, rappresenta il "lavoro fragile" in tempi di antico e nuovo sfruttamento? In che modo si riconnettono oggi le solitudini del lavoro nelle campagne del caporalato come nel mondo turbocapitalistico delle piattaforme digitali?

Tornando al contesto storico sottostante a questi temi e a questi interrogativi, è importante soffermarsi sulla ricchezza e sulla peculiarità del fortissimo legame che c’è nel percorso sociale ed educativo di Don Milani con il lavoro e la sua rappresentanza.

Sono tanti, ad esempio, i contratti di lavoro presenti nella canonica in cui i ragazzi facevano scuola.

Il primo testo pubblico a noi conosciuto di Don Milani è del 1949 nella rivista Adesso di Don Primo Mazzolari.

L’articolo racconta di Franco, giovane disoccupato di Calenzano. Don Milani si rivolge a lui con una frase fulminante: “Perdonaci tutti, comunisti, industriali e preti”.

In questa frase si riassume mirabilmente la crisi profonda, l’inadempienza, la miseria del capitalismo, del comunismo e dell’istituzione ecclesiastica, le “ideologie” dominanti del tempo.

Tornando al rapporto con la Cisl e con il Centro Studi di Fiesole, Agostino Burberi, attuale presidente della Fondazione dedicata la priore di Barbiana, riporta nel libro l’immagine di Don Milani in lambretta che incontra il leader cislino Luigi Macario al Centro Studi di Firenze per perorare la causa di Maresco Ballini, che era destinato ad essere inviato nell’alto milanese e che Don Milani avrebbe voluto trattenere in Toscana, vicino alla madre del suo allievo, rimasta vedova.

Agostino, Paolo Landi, entrambi i fratelli Gesualdi ci raccontano del “filo” teso con il sindacato dei tessili, anche se non va dimenticato che, ad esempio, Michele Gesualdi incontra il sindacato in Germania. Paolo Landi, come tanti altri allievi e come tanti giovani italiani di oggi, va a lavorare a Londra. Francuccio Gesualdi si reca ad imparare l’arabo in Algeria.

Una dimensione cosmopolita, anche attraverso il lavoro, che è, appunto, di insegnamento anche per il tempo presente.



Scriveva Don Milani, da San Donato al regista francese Maurice Cloche nel 1952: “Il disoccupato e l’operaio di oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù ha vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore”.

Se ci avviciniamo alla Lettera ai giudici, a L’obbedienza non è più una virtù, penso sia significativa la pubblicazione, nel libro, del documento dei lavoratori del nuovo Pignone e di altre aziende fiorentine a sostegno dei sacerdoti fiorentini che si erano pronunciati per l’obiezione di coscienza.

Ha affermato, alcuni anni fa, Franco Bentivogli, leader storico della Fim Cisl negli anni Settanta e, successivamente, segretario confederale della Cisl: «Don Milani sollecitava la promozione di un umanesimo planetario e i doveri della solidarietà e dell’acco­glienza, assumendo il bene comune come obiettivo politico e sin­dacale concreto in un mondo di fratelli e senza confini».

Nello stesso intervento Bentivogli ha ricordato una frase di don Milani, molto significativa, tratta da Esperienze pastorali: «Non vedremo sbocciare dei santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiusti­zia sociale. A qualcosa in altre parole che sia al centro del mo­mento storico che attraversiamo, al di fuori dell’ingiustizia dell’io, al di sopra delle stupidaggini che vanno di moda»

Papa Francesco, in occasione del congresso della Cisl del 2017, si è soffer­mato sul rischio delle burocrazie organizzative e ha indicato le due sfide che interrogano oggi il sindacato: la profezia e l’inno­vazione.

 

Ha detto il papa: «La prima sfida è la profezia, e riguarda la natura stessa del sindacato, la sua vocazione più vera. Il sindaca­to è espressione del profilo profetico della società. Il sindacato nasce e rinasce tutte le volte che, come i profeti biblici, dà voce a chi non ce l’ha, denuncia il povero “venduto per un paio di san­dali” (cfr. Amos 2,6), smaschera i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli “scarti”».

 

Risuonano tutte le parole di don Milani sul lavoro e sulla rappresentanza del lavoro.

Non so se, come sosteneva padre Balducci, don Milani a Bar­biana «si sia calato a picco» o, invece, sia «salito dal pozzo», imparando a guardare con più profondità il cielo e le nuvole.

 

È a partire dal legame con gli ultimi che si rilancia una seconda sfida per l’esistere del sindacato e, infatti, papa Francesco, nel suo intervento, non si è fermato, proseguendo così:

 «Seconda sfida: l’innovazione. I profeti sono delle sentinelle, che vigilano nel loro posto di vedetta. Anche il sindacato deve vigilare sulle mura della città del lavoro, come sentinella che guarda e protegge chi è dentro la città del lavoro, ma che guarda e protegge anche chi è fuori delle mura. Il sindacato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione sociale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia».

Scriveva Giancarlo Zizola nel 1987 e le sue parole sono assolutamente attualissime: “Sono passati venti anni dalla morte di Don Milani e la parola ai poveri continua ad essere un messaggio estremamente valido, purchè sia reinterpretato alla luce della nuova condizione dei saperi tecnologici, oggi. Noi viviamo in un processo di crescente omologazione. Il problema, quindi, non è quello di dare la parola. Essa è data, ma è una parola che fa poveri. Questa è la differenza fondamentale. E’ una parola che non libera più poveri, ma li rende schiavi”.

 

Scriveva, invece, Padre Balducci sempre nel 1987 (Ci aspetta domani).  Se noi ricostruiamo la realtà storica di Milani, anche nella sua lontananza, tenendo conto della diversità della situazione e poi la interroghiamo, scopriamo che Don Milani è uno di quei maestri che non ci richiamano al ricordo del passato, ma che ci hanno dato appuntamento nel futuro.

Soltanto una società e, io aggiungo, un sindacato fondati sulla partecipazione cosciente e responsabile, possono contrastare la globalizzazione neoliberista e rifondare la politica e la rappresentanza, ricollegare etica, politica e diritto, ridare pienezza ad una democrazia spesso ormai solo formale.

Forse, ancora di più, senza rinunciare ad un profilo di senso, dobbiamo ripartire dalla società dei frammenti, come ci insegna Ivo Lizzola. Ripartire dal cooperare e da una comunità inclusiva, da luoghi apparentemente deboli e periferici come le aree interne (le Barbiana di oggi) nella megalopoli interconessa e supersonica globale.

 

In tutto questo Don Milani e i suoi allievi ci hanno lasciato un percorso peculiare che incontra il valore del sindacato come strumento comune della giustizia, come luogo educativo, trasformativo, esperienziale di una società più giusta. A partire dagli ultimi, anche nel lavoro.

 

A partire da quella dimensione planetaria che ha a cuore l’umanità e la terra.   Il lavoro come cura, il sindacato come tessuto di uguaglianza.

A quasi sessant’anni da quell’importante e decisivo congresso della Cisl del 1969 citato all’inizio di questo articolo e guardando al presente e al futuro in occasione dei cento anni della nascita di don Lorenzo Milani, ci è parso interessante e utile raccontare, nella nuova edizione di Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana, due storie di intreccio tra periferie del lavoro, impegno e rappresentanza sindacale.

Due storie di lavoratrici e lavoratori al confine di quella che papa Francesco individua, perfettamente in linea con il solco tracciato dal priore di Barbiana rispetto al mondo del lavoro, come una missione sindacale che va vissuta intensamente tra: «profezia e innovazione».

Due contributi che ci accompagnano in due mondi che appaiono lontanissimi, ma che sono accomunati dall’essere a valle e a monte di una stessa filiera, quella dei prodotti agricoli e alimentari che incontrano la modernità turbolenta, a tratti spietata e distratta, dell’economia dell’algoritmo e delle piattaforme digitali.

Rider e braccianti: una sfida inedita e una antica per un sindacato che non può che prendersi cura a trecentosessanta gradi della persona, di un’umanità spesso diseredata, ma non per questo non diversificata e multiforme, anche nelle aspirazioni, oltre che nei bisogni. 

Tra le strade trafficate e metropolitane di Roma capitale, come tra i campi della pianura della Capitanata, incontriamo un sindacato «in strada» e di «strada» che, non senza difficoltà, prova a essere prossimo e a idenficarsi con chi vive ai margini di un’economia troppo spesso fondata sullo sfruttamento e sullo «scarto».

Un sindacato che prova a rappresentare, anche nel secolo successivo a quello in cui ha vissuto don Lorenzo Milani, con tutti i suoi limiti e le sue mancanze, una via opportuna per «praticare l’amore» e «cercare un fine, dare un senso alla Vita».

Francesco Lauria

martedì 27 dicembre 2022

Spendersi per un ideale: il Kairòs di Maresco, sindacalista, discepolo e testimone di un disegno sapiente. Quale valore a cento anni dalla nascita di Don Milani

Maresco Ballini, il primo tra gli allievi di Don Milani divenuti sindacalisti, colui che accompagnò, nel 1954 da Calenzano il priore verso "l'esilio di Barbiana" è scomparso nella notte di Natale del 2018, quattro anni fa.

Il 27 dicembre 2018 don Sandro Lagomarsini (qui per leggere il profilo interessantissimo di questo sacerdote), nel celebrare il funerale dell’allievo di Don Milani e sindacalista, parlò di un disegno sapiente nelle tre feste che seguono il Natale: Santo Stefano, San Giovanni Evangelista, i Santi Innocenti. 

Il prete, amico di vecchia data di Maresco Ballini, aveva ricordato come Santo Stefano sia da considerare un’avanguardia nell’ascolto dello Spirito Santo. Il primo martire cristiano aveva capito prima degli altri che la fede doveva staccarsi dalla sua matrice mosaica. Un modello, forte nella parola ma generoso nel perdono verso i persecutori: «Signore, non imputare loro questo peccato».

 I Santi Innocenti – recita un antico poeta cristiano – rappresentano, poi, tutti gli esseri umani travolti senza colpa dal turbine della Storia e dall’odio dei potenti (...)

Tra i limiti "sanati" della prima edizione di Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana, il libro a più voci che racconta del rapporto tra Don Milani, la sua scuola e il mondo del lavoro (o con: "le lotte dei lavoratori", come era intitolato l'inserto di Conquiste del Lavoro del giugno del 1987, curato da un altro significativo allievo-sindacalista, Michele Gesualdi) vi era proprio la mancanza della voce di Maresco.

Non era stata una dimenticanza: provato dalla malattia e consapevole di aver detto e testimoniato molto nella sua vita, Maresco aveva risposto, tramite la figlia Viviana,  in questi ultimi anni animatrice di una bellissima iniziativa: Il Cammino di Don Milani, che preferiva, in quel momento, "soprassedere".

Così, nel 2019, nel preparare la nuova edizione del libro che racconta la storia bellissima e non troppo conosciuta del rapporto tra la scuola di Barbiana e il sindacato, che il priore definiva una delle strade maestre per "praticare l'amore e cercare di dare un fine alla vita" ci si è messi sulle tracce, sulle orme di Maresco.

E' una storia bellissima, la sua, che parte dal lavoro iniziato in quarta elementare ("garzone di un fabbro), continua con la costituzione della Libera Cgil nella "rossa" Prato nel 1948 (con Ballini all'inizio unico su quaranta lavoratori nella sua officina ad aderire, da principio, al "sindacato nuovo") e con l'incontro con Benedetto de Cesaris, il primo, oggi troppo dimenticato, direttore del Centro Studi Cisl di Firenze, invitato a tenere due incontri, proprio da Don Lorenzo Milani, nella parrocchia di Calenzano, dove, racconta Maresco, si discuteva e partecipavano, pur in forma dialettica, anche i "comunisti".

Una storia che si intreccia, nel 1955, con la "dura" selezione del "mitico" corso lungo presso il Centro Studi di Firenze (conserviamo gli appunti di Maresco delle lezioni dell'allora giovanissimo Gino Giugni), e il metodo del rapporto tra formazione e politica dei quadri.  Un impegno sindacale all'inizio pionieristico, con il ruolo fondamentale dell'investimento nella formazione e vissuto trent'anni a Milano e in Lombardia. Un impegno giunto fino alla segreteria nazionale della Filta Cisl, la categoria che organizzava i lavoratori e le lavoratrici del settore tessile-abbigliamento. 

Una lezione, quella di Ballini, su come venne costruito, con ostinazione, fatica e visione, il sindacato nuovo, fabbrica per fabbrica.

Una storia individuale e collettiva: Mario Colombo, - storico "braccio destro" di Pierre Carniti,  segretario della categoria dei tessili-abbigliamento, altro allievo del Centro Studi di Firenze - vide peraltro la celebrazione delle proprie nozze proprio da parte di Don Milani a Barbiana, nel 1965.

Alla vigilia del centenario della nascita di Don Milani, maestro di Maresco e di una generazione (variegata e plurale) di sindacalisti, ripercorrere le tappe di questo allievo di Don Lorenzo Milani, di questo "discepolo e testimone" come disse Lagomarsini, ci aiuta a focalizzare un'esperienza entusiasmante e complessa, vissuta nel Novecento, il secolo di Don Milani. Un'esperienza certamente importante e generativa anche oggi. Se raccontata.

"Essere io come avrei voluto fossero loro" sta qui il primo insegnamento attraverso l'esempio di Don Milani ai suoi ragazzi, raccontato da Maresco, prima a Calenzano e poi "nel silenzio che divenne voce" di Barbiana.

Non serve a nulla, a cento anni dalla nascita di Don Lorenzo, a quattro anni dalla scomparsa di Maresco, "adorare le ceneri", ma a riflettere sulle motivazioni per cui si diviene sindacalisti e ci si impegna per rappresentare il lavoro, consapevoli del divenire della storia. 

Innovando e rischiando, come avrebbe forse detto Don Lorenzo e come ci ricorda spesso Papa Francesco.

Per chi volesse approfondire questa storia, qui alcuni strumenti utili:

Link al saggio dedicato a Maresco Ballini (che contiene l'omelia di don Sandro Lagomarsini) nella seconda edizione di: "Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana": https://www.centrostudi.cisl.it/attachments/article/540/Quel%20filo%20teso_ballini-pdf.pdf   

Link ai due collegamenti per rivedere la straordinaria testimonianza di una vita piena (Maresco Ballini, intervista a Mila Scarlatti, 2008) sul Canale YouTube del Centro Studi Cisl:

Prima parte: 


Seconda parte:



venerdì 2 luglio 2021

ALEX LANGER - DON LORENZO MILANI CI DISSE: DOVETE ABBANDONARE L'UNIVERSITA'

E' difficile descrivere la forza mite di Alexander Langer, la sua modernità, il suo parlare ancora alle coscienze e agli uomini e alle donne di oggi. Lo voglio ricordare, oggi 3 luglio, anniversario della tragica morte, con un suo articolo scritto a vent'anni della scomparsa di Don Lorenzo Milani su Azione nonviolenta.

Un articolo narrativo, da bravissimo scrittore e giornalista quale era.
E in cui non si limita ad omaggiare, ma ricomincia ad interrogare e a interrogarsi. Anche sul priore di Barbiana. Grazie Alex, continuiamo a lottare: "per ciò che era giusto".

DON LORENZO MILANI CI DISSE: DOVETE ABBANDONARE L'UNIVERSITÀ
1.6.1987, Da "Azione nonviolenta", giugno 1987

Quando ero studente all'Università di Firenze, scoppiò in quella città la polemica tra don Lorenzo Milani (esiliato a Barbiana, dall'arcivescovo Florit) ed i cappellani militari, capeggiati da un profugo istriano che si diceva essere vicino al MSI.
I preti con le stellette avevano definito "viltà" l'obiezione di coscienza, allora punita senz'altro con il carcere, ed avevano approfittato se ricordo bene dell'anniversario del Concordato lateranense tra Fascismo e Vaticano per riconfermare la loro vocazione statalista, patriottica e di appoggio alle gerarchie militari. Don Lorenzo Milani aveva risposto a loro su "Rinascita", guadagnandosi insieme al direttore responsabile della rivista comunista un processo.
Personalmente ero fortemente tentato dall'idea dell'obiezione di coscienza, ed al tempo stesso spaventato dal rischio carcerario che essa avrebbe comportato: per intanto avevo risolto il problema con il rinvio per motivi di studio.
Ovviamente il "caso don Milani" e la sua presa di posizione sull'obbedienza che non era più una virtù mi colpivano profondamente ed esprimevano una posizione morale ed esistenziale in cui anch'io mi riconoscevo. Volevo sapere di più su don Lorenzo Milani, e venni informato di un suo libro uscito qualche anno prima e tolto dalla circolazione per disposizione dell'autorità ecclesiastica (sempre il medesimo Florit, succeduto al tollerante e lungimirante cardinale Dalla Costa, che era stato molto venerato da Giorgio La Pira).
Mi feci dire il modo di procurarmi quel "samizdat": bisognava andare alla Libreria Editrice Fiorentina, in via Ricasoli, individuare un certo libraio e dirgli con sguardo complice: "sono uno dei ragazzi di don Lorenzo e dovrei prendermi il suo libro"; cosi feci, dopo di che ricevetti regolarmente una copia di Esperienze pastorali, tolta dall'armadietto dei veleni.
Era per me un libro di difficile lettura, perché fortemente ancorato - anche nel linguaggio - alla realtà toscana, dove per esempio gli operai godevano di un prestigio sociale infinitamente superiore a quello dei contadini: tutto il contrario del Sudtirolo, e quindi per me quasi incomprensibile, come molte delle parole usate nel libro ("i pigionali", per esempio).
Ma avevo capito una cosa determinante: che don Lorenzo Milani aveva deciso di voler parlare "ai poveri" e che per poterlo fare doveva prima "dare loro la parola": cosi aveva deciso di fare scuola, come presupposto essenziale di evangelizzazione. Caduto in odore di filo-comunismo, era stato tolto dalla circolazione, come il suo libro: mandarlo a Barbiana, significava renderlo muto ed isolato. Con un amico andai a trovarlo, dopo lo scoppio della polemica sull'obiezione di coscienza. Ci ricevette nella sua canonica, rubando un po' di tempo ai ragazzi ed alla scuola.
Due tra le cose da lui dette mi sono rimaste particolarmente impresse.
"Dovete abbandonare l'Università. Voi non fate altro che aumentare la distanza che c'è tra noi e la grande massa della gente non istruita. Fate piuttosto qualcosa per colmare quella distanza. Portate gli altri al livello in cui voi vi trovate oggi, e poi tutti insieme si farà un passo avanti, e poi un altro ancora, e cosi via. Ma se voi continuate a correre, gli altri non vi raggiungeranno mai.
So bene che potrete trovare altri anche preti! che vi diranno il contrario e che vi troveranno mille buone ragioni per continuare i vostri studi e per diventare dei bravi medici o giudici o scienziati al servizio del popolo. Ma in realtà sarete al servizio solo del vostro privilegio per curare le nostre malattie e per decidere le cause nei tribunali ci bastano i mercenari pagati, non c'è bisogno di voi". (Non lasciammo l'Università. Ma demmo inizio ad un doposcuola a Vingone, presso Scandicci, basato sul volontariato di parecchi universitari, e frequentato prevalentemente da figli di immigrati meridionali).
"Io so come andrà al giudizio universale. II Signore Iddio chiamerà, insieme a me, davanti a sé il rettore del collegio... dei gesuiti a Milano. Dirà al rettore: "vedi, tu sei stato sempre con i ricchi. Hai fatto le loro stesse letture, hai condiviso la loro compagnia, sei stato loro commensale, hai educato i loro figli non puoi non essere diventato come loro. Hai sbagliato tutto, credendo magari di fare bene. Hai chiuso gli occhi davanti a coloro che rappresentavano me, e ti sei immedesimato nei loro oppressori. Guarda invece don Lorenzo che e qui accanto a te: lui ha scelto unilateralmente. Lui ha capito che non si possono amare concretamente più di 3-400 persone, ed ha scelto i poveri, i suoi campagnoli. Si e messo dalla loro parte, ha condiviso il loro mondo. Questo io vi avevo comandato, e tu non hai voluto ascoltare".
Ma siccome il Signore è buono, alla fine gli darà un calcio nel sedere e lo farà entrare nel paradiso, mentre io entrerò con tutti gli onori. Capite? Se voi state con i ricchi, non potete non diventare come loro, se non lo siete già".
Ad un certo punto don Milani aveva proibito l'accesso a Barbiana a tutti quelli che avessero un titolo di studio superiore alla terza media, a meno che non fossero chiamati esplicitamente da lui e per una funzione precisa (a me capitò solo una o due volte). Tra le rare eccezioni c'era un'anziana ebrea boema, laureata in matematica, sopravvissuta al periodo nazista grazie all'aiuto di amici toscani che l'avevano tenuta nascosta in montagna.
Marianne Andre arrivava a Barbiana a piedi, con il suo zaino, e stava ad ascoltare in grande modestia, parlando solo quando veniva invitata ad esprimersi. Diventammo amici e scoprii che aveva conosciuto mio padre. Dopo la morte di don Milani decisi di tradurre Lettera a una professoressa in tedesco e di cercare un editore (che ho trovato in Wagenbach), associando a questa impresa in particolare per la revisione del testo tedesco anche Marianne Andre, che ne era molto felice.
La ragione del suo privilegio a Barbiana aveva una spiegazione semplice: era una perseguitata, che già aveva perso tutti gli altri suoi privilegi legati alla sua istruzione e condizione sociale.
Due cose mi avevano sempre incuriosito e non convinto in don Milani, ma non ho mai trovato il coraggio e l'occasione di chiedergliene ragione. Avevo tentato di chiederlo, dopo la sua morte, a sua madre (che era sopravvissuta a lui, e che non si e mai fatta battezzare), ma mi ero poi arrestato sulla soglia di queste due domande, che quindi rimangono senza risposta.
Avrei voluto capire quale eredità don Milani aveva ricevuto e conservato dall'ebraismo, che lui aveva abbandonato per convertirsi ad un rigoroso cattolicesimo. Ed avrei voluto domandargli la ragione della sua (eccessiva, secondo me) fiducia nelle grandi aggregazioni (la chiesa, la DC, i comunisti, il sindacato...), e della sua diffidenza e forse disprezzo per le minoranze (i "filo-cinesi", il Psiup di allora, gli "estremisti", le minoranze laico-radicali...).
Avevo capito che lui credeva molto nelle grandi culture popolari e nella necessita che le idee forti si facessero strada in modo non elitario tra le grandi masse. Ma ho sempre avuto il sospetto che questa impostazione facesse in qualche modo violenza alla sua stessa storia, tutta quanta: dalla sua origine, al suo cammino nella chiesa fiorentina, fino all'esilio di Barbiana ed a quell'ultima sua disperata attesa di un cenno di riconoscimento e di apprezzamento da parte del suo vescovo e persecutore, il cardinale Florit.
Forse la prima domanda riceve implicitamente risposta dalla seconda, e dalla legge formale della chiesa, vissuta con la tenacia del "popolo della legge" e con la caparbietà di un profeta che vuole indurre le corti ed i sommi sacerdoti a cambiare strada."

sabato 26 giugno 2021

Da Piazza Santa Croce a Barbiana: a proposito di assunzioni, licenziamenti, sindacato, lavoro e Don Milani.

Tra meno di un'ora inizieranno in tre piazze (Torino, Firenze, Bari) le manifestazioni dei sindacati confederali.  A Torino interverrà il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, a Bari quello della Uil Pierpaolo Bombardieri, a Firenze, nella centrale paizza Santa Croce, il segretario della Cisl Luigi Sbarra.

Lo slogan della manifestazione è: "Ripartiamo insieme".

Anche se la piattaforma dei sindacati confederali è molto più ampia, sulla stampa e nelle interviste il fulcro delle iniziative, piazze che si riempiono di nuovo (quanto?) dopo le restrizioni dovute alla pandemia, è stato individuato da molti: con la protesta, ferma e vibrante sull'imminente fine del blocco dei licenziamenti.

In Esperienze Pastorali, il primo libro di Don Lorenzo Milani, per decenni reputato, fino all'arrivo di Papa Francesco e nonostante l'amplissima mobilitazione del sindacato nel 1987 (a vent'anni dalla morte del priore) , inopportuno, non tanto dal punto di vista dogmatico, quanto sociale.

Ebbene, dentro Esperienze Pastorali, c'è un paragrafo che è stato intitolato: "A proposito delle assunzioni di lavoro".

Le assunzioni, si sa sono l'altra faccia dei licenziamenti, anche se non c'è, men che mai oggi, in un'economia complessa e dalle filiere lunghe, alcun automatismo.

Il primo e più importanti punto dello scritto di Don Milani, ripubblicato anche nel libro: "Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro", è inerente al collocamento.

Un collocamento che, certo, si è trasformato profondamente dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento , nelle modalità come nelle regole, ma fronteggia, ancor più nella pandemia, il mercato del lavoro più "opaco" d'Europa e, certamente, uno fra i più disuguali.

Scriveva, sferzante Don Milani in Esperienze Pastorali: (...)" Quanti preti si sono fermati a meditare sul problema dell'assunzione di lavoro? Ben pochi pare. Perchè a tutti gli usci si trova qualche prete che va a raccomandare disoccupati. Anzi se poi riesce a farli assumere ne è soddisfatto come se avesse compiuto un'opera buona. Ma quest'opera è cattiva e perfino illegale".

Erano i tempi (la metà degli anni cinquanta) delle lettere delle parrocchie alla Fiat in cui, per farli assumere, si presentavano i lavoratori (magari immigrati da altre zone del paese) come: "rigorosamente proni al comando e all'autorità".

Don Milani prosegue e, dopo aver parlato dei rischi dell'eccesso di speranza nel Totocalcio (come è cambiato il tempo oggi che il Totocalcio non c'è più e ben più pericolose ludopatie affliggono soprattutto i ceti popolari"), si sofferma sullo sciopero, come arma incruenta e di dignità, ben diversa dalle richieste di erogazioni di beneficienza, ma piena del profumo della solidarietà.

Per il priore, infatti, lo sciopero più bello è quello in cui non si chiede a partire da sè, ma in un'ottica, nel lavoro, di sollevazione e inclusione dei più deboli e più fragili.

In questa riflessione di Don Milani, ma anche dei suoi ragazzi diventati sindacalisti, c'è, esattamente nell'anniversario della morte del priore di Barbiana (26 giugno 1967), uno degli snodi delle manifestazioni di oggi.

Insieme al blocco dei licenziamenti è necessario rafforzare l'occupabilità delle persone.

Altro slogan si dirà, magari anche un po' liberista.

Ma l'occupabilità, nel solco degli insegnamenti di Don Milani, ci ha spiegato il premio Nobel Amartya Sen, non è la responsabilità del singolo, magari grazia al fatto di essere: "ligi e pronti al comando e a supplicare una raccomandazione".

L'occupabilità vera è una domanda di cittadinanza che parte dalle esigenze e dalle "capacità" (capabilities) della persona, ma che interessa non solo il singolo. Essa incrocia la responsabilità della società, non in un'ottica assistenzialistica, ma cooperativa, solidale, pro attiva..

Non è, solo una questione di "meriti e bisogni" (come per un po' anche certa sinistra ha voluto credere, da Martelli a Tony Blair), ma soprattutto di "aspirazioni e democrazia".

L'io e il noi: il soggetto e la comunità in un nuovo, non retorico, diverso paradigma di sviluppo.

Sta qui il filo possibile tra la collina del Monte Giovi a Barbiana e le manifestazioni di oggi, a partire da quella di Firenze.

Il blocco dei licenziamenti è un punto di partenza, ma l'uscita dalla crisi sta nella trasformazione del mercato del lavoro italiano: non solo ammortizzatori sociali, ma intreccio tra saper fare e saper essere, orientamento, accompagnamento, supporto all'imprenditorialità cooperativa.

A Verona (cooperativa Food for me con la Cisl) a Firenze (cooperativa Robin Food con la Cgil) i rider che distribuiscono cibo e giornali nelle nostre città, si sono autorganizzati in cooperative, insieme al sindacato che fornisce loro "servizi collettivizzanti". In questo si prova anche a sensibilizzare i consumatori, sia sulla sostenibilità del cibo (o magari sulla libertà di stampa) che sul rispetto dei diritti e della dignità di chi lavora.

E' un intreccio tra risposte mutualistiche di antico sapore e la capacità innovativa e profetica, anche se non  priva di difficoltà, di governare insieme, senza rigettarlo a priori, l'algoritmo delle piattaforme e il rapporto tra lavoro, consumo e cittadinanza. Memoria e futuro, insomma.

Affermavano Maresco Ballini e Michele Gesualdi, allievi di Don Lorenzo e sindacalisti, al mitico congresso della Cisl del 1969 ("Potere contro potere"): 

"La Cisl, da sola, se le altre organizzazioni non ne hanno il coraggio deve preferire i lavoratori diseredati, anche a costo di perdere qualche migliaia di iscritti tra i lavoratori privilegiati. Ne guadagnerà altrettanti tra i lavoratori impoveriti che devono essere i preferiti di un'organizzazione sindacale che ha tra i suoi primi ideali quello della solidarietà".

Affermazioni importanti che, in questo 26 giugno 2021, ricordano l'intervento di Papa Francesco al congresso nazionale Cisl del 27 giugno 2017: in cui il pontefice indicava la strada al sindacato, ben prima dell'aggravarsi delle disuguaglianze nella pandemia e dei tragici fatti che hanno evidenziato, anche nei media, le morti sul lavoro e nelle rivendicazioni della logistica. 

Senza costruire steccati nel mondo del lavoro e nemmeno nel sindacato, Papa Francesco ci ha ricordato che gli interlocutori privilegiati (non unici) del sindacato non possono che essere gli "scartati del lavoro" e chi del lavoro è "fuori le mura del lavoro stesso".

Un sindacato profetico e innovativo, ci ricorda, parte da qui, dal senso etimologico della parola: "fare giustizia insieme".

Un sindacato che non può ripartire, ad esempio, da Camara Fantamadi, bracciante maliano di 27 anni, morto di caldo e lavoro. Non nei campi dell'Alabama di inizio Novecento, ma tra i caporali del brindisino nell'inizio torrido dell'estate 2021.

Se, da Piazza Santa Croce, voliamo risalire all'essenzialità di Barbiana dobbiamo ripartire non solo dalle richieste legislative o monetarie (che sono importantissime), ma anche dalla dignità della persona nel lavoro, dal sindacato come fattore di cittadinanza, organizzazione e sovranità. Dall'opzione preferenziale coscientizzante e di liberazione per chi, oggi, non ha tutele, rappresentanza, voce.

E sono tanti, tantissimi. Dai campi, non solo del Sud, ai magazzini della logistica e dell'algoritmo, fino alle piccole imprese tessili in cui si manomettono i sistemi di sicurezza per ultimare le lavorazioni per conto terzi, magari di qualche marchio del lusso.

In tutto ciò, lo sappiamo e lo testimoniava don Lorenzo insieme alla sua scuola, il ruolo dell'educazione e della formazione per liberare schiavitù e generare emancipazione sono essenziali.

Per "ripartire insieme", dalle periferie esistenziali e del lavoro, però, ed è giusto, come fa Papa Francesco, che se lo ripeta più volte anche il sindacato non si possono fare: "parti uguali tra disuguali".

Francesco Lauria

domenica 20 giugno 2021

20 giugno 2017 - 2021. A 4 anni dalla preghiera di Papa Francesco a Barbiana, la morte di Adil interroga, sulla scia di Don Lorenzo.

   Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana: 2017-2021.

A Quattro anni dalla preghiera di Papa Francesco sulla tomba di Don Lorenzo Milani (e di Don Primo Mazzolari) e dalla partecipazione del pontefice al congresso della Cisl, conversazione tra Sergio Pozzi Francesco Lauria, curatore del volume a più voci pubblicato da Edizioni Lavoro. Il testo appare sul Bollettino "Eccoci" del Circolo dell'Amicizia San Pio X di Roma. 

Un dialogo antecedente alla morte di Adil Belandkim, sindacalista del Si-Cobas, ucciso a Novara durante una manifestazione nell'ambito delle rivendicazioni e degli scioperi sulla dignità del lavoro nel settore della logistica. 

Un impegno e un sacrificio quello di Adil, per le periferie del lavoro nell'economia dell'interdipendenza e dello scarto, rispetto al quale è doveroso tributare un pensiero non rituale.

Non si può. infatti, non avviare una riflessione che interroghi anche il sindacalismo confederale, sulla scia degli insegnamenti di Don Milani e anche dei suoi allievi divenuti sindacalisti, su come rappresentare e difendere il lavoro, a partire da quello maggiormente sfruttato, precario, impoverito...

Come nasce l’idea di questo libro?

L’idea non del libro, ma di approfondire il messaggio di Don Milani rispetto al sindacato e alla Cisl, nasce nel giugno 2017. Dai due momenti che ricordo nel testo:

 la preghiera di Papa Francesco sulla tomba prima di Don Primo Mazzolari e poi su quella di Don Milani (20 giugno 2017);

l’incontro con Papa Francesco, la settimana successiva, in occasione del congresso confederale della Cisl (27 giugno 2017).

Scrissi un articolo su internet sul doppio pellegrinaggio e ricevetti un sms. L’sms raccontava dei primi anni Ottanta, quando: “a Barbiana, quasi non saliva più nessuno”. È una condizione, quella di quel periodo e di quegli anni, che accomuna non solo don Milani e don Mazzolari, ma anche, da vivo, Giuseppe Dossetti e la sua scelta di spostarsi tra “le querce di Montesole” allora dimenticate e piene di rovi.

Di lì è nata la necessità di risalire a Barbiana, partendo dalle colline di Fiesole, dove sorge, da quasi settant’anni il Centro Studi nazionale della Cisl, e l’incontro con la testimonianza e il libro di Michele Gesualdi, “L’esilio di Barbiana”. Un incontro continuato, a causa della malattia di Michele, che fu tra gli allievi prediletti di Don Lorenzo, ma anche sindacalista e politico, con la figlia Sandra.

Tutto il periodo successivo è stato dedicato a rilanciare e rafforzare il filo teso tra: “Fiesole e Barbiana”, con due mostre presso il Centro Studi: “Barbiana, il silenzio che diventa voce” e: “Gianni e Pierino. La scuola di Lettera a una professoressa”, una serie innumerevole di visite guidate e di confronti, tante salite a Barbiana e uno spettacolo sferzante e spiazzante con cui abbiamo terminato il percorso del corso per sindacalisti contrattualisti del 2018: “Cammelli a Barbiana”.

Si tratta di un filo che non si è mai spezzato nel corso dei decenni, infatti tantissimi gruppi sindacali, hanno percorso il tragitto di circa un’ora che separa la collina di Fiesole da quella di Barbiana. In questo percorso fatto di incontri, testimonianze, interrogativi, non abbiamo costruito un’icona. Abbiamo ripreso a salire a Barbiana, con la pioggia, nel fango, nel silenzio. Un tempo spesso piovoso che ci ha restituito una salita non semplice, un po’ come quella che fece per la prima volta Don Lorenzo, giungendo da Calenzano, nel 1954.

L’altro rischio è, infatti, quello di mitizzare una figura, come quella di Don Milani, senza cogliere il profondo nesso, prima a Calenzano, poi a Barbiana, con il suo “popolo”. Due contesti diversissimi, uno industriale, come quello a cavallo tra Prato e Firenze, uno agricolo, montano, direi, disperso, come quello di Barbiana.

D’altronde come ha scritto Francesco Gesualdi, allievo di Don Milani, fratello di Michele: “Il Priore fa paura per le idee che ci ha lasciato in eredità ed è proprio per demolire i suoi insegnamenti che si cerca di buttargli addosso fango. Ma grazie a Dio, le idee si sostengono da sole”.

Ma anche chi è invece più simpatetico con il sacerdote di Barbiana corre un rischio: Don Milani rischia di diventare un po’ come Aldo Moro nei convegni politici: il ketchup che sta bene quasi su ogni cibo. Non è questo che ci interessa e, spero, che il libro lo mostri con chiarezza. Il libro raccoglie quindi i frutti di questo percorso: testimonianze di ex allievi, spesso diventati sindacalisti, testi di don Lorenzo, ulteriori riflessioni anche sull’attualità del messaggio del priore di Barbiana.

Nel 2019 abbiamo pubblicato una seconda edizione aggiornata e accresciuta con ulteriori testimonianze che include un testo in memoria, ma allo stesso tempo anche uno scritto di Maresco Ballini, l’allievo che è punto di congiunzione tra Calenzano, Fiesole e Barbiana.

L’altro grande tema approfondito nella seconda edizione è quello de: “L’obbedienza non è più una virtù”. In esso si trova sia l’approccio storico (la “germinazione fiorentina”, per dirla con La Pira dell’obiezione di coscienza), sia quello delle esperienze individuali (Franco Bentivogli, Maurizio Locatelli) che l’attualità (da Don Milani a Konrad, l’elemosiniere “disobbediente” di Papa Francesco).

Voglio ricordare, infine, una frase della Lettera ai giudici: Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto… I Care”

Quale attualità del priore di Barbiana, recentemente citato come esempio anche rispetto all’uscita dalla pandemia da pate della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen?

La citazione della Presidente della Commissione Europea è stata sorprendente e importante, ma è doveroso vigilare sul fatto che essa non rimanga un riferimento emozionale e "rassicurante", non collegato realmente al difficile contesto che stiamo vivendo e alle soluzioni, spesso escludenti parti sociali e società civile, che si stanno delineando.

Non serve, come scrisse Michele Gesualdi nella lettera che spinse Papa Francesco a salire a Barbiana: "che Don Lorenzo debba essere elevato a mito da celebrare, sarebbe come cucirgli addosso un vestito stretto".

Per comprendere l’attualità di Don Milani, in particolare rispetto al tema del lavoro, è utile ricordare l’intervento di Papa Francesco in apertura dell’ultimo congresso della Cisl: il suo monito sul porsi come sindacato tra profezia e innovazione.

Stare ai confini della città del lavoro e aprire, rappresentare gli ultimi, coloro che sono ai margini, nel mondo dei frammenti. Si vedano gli interventi di Maresco Ballini e Michele Gesualdi al congresso Cisl del 1969 (Il congresso della famosa relazione: “Potere contro Potere” che ci ripropone oggi, il tema della sussidiarietà e della “fine” della politica).

Scriveva Giancarlo Zizola nel 1987 e le sue parole sono assolutamente attualissime: Sono passati venti anni dalla morte di Don Milani e la parola ai poveri continua ad essere un messaggio estremamente valido, purchè sia reinterpretato alla luce della nuova condizione dei saperi tecnologici, oggi. Noi viviamo in un processo di crescente omologazione. Il problema, quindi, non è quello di dare la parola. Essa è data, ma è una parola che fa poveri. Questa è la differenza fondamentale. E’ una parola che non libera più poveri, ma li rende schiavi”.

Questo è uno dei punti decisivi per la discussione.

Non è un caso che Pasolini sia rimasto molto affascinato dalla scuola di Barbiana.

Gunther Anders ha definito la società consumistica come: “sirenico-spettacolare”. L’uomo odierno sembra quasi completamente irretito e in questo contesto la presa di coscienza e la radicale presa di responsabilità che ha insegnato Don Milani anche come fine dei processi educativi e formativi appaiono sempre più difficili.

È questo irretimento che favorisce etero direzione, controllo, manipolazione politico-mediatica, crescita del conformismo, del populismo e oblio della consapevolezza liberante dalla subalternità.

L’insegnamento di Don Milani ci sprona a contribuire a costruire davvero, non a parole, un diverso modello di sviluppo. Stare nelle contraddizioni, non significa ignorarle. Non tutti i consumi, non tutte le produzioni (non solo quelle di armi) sono eticamente, socialmente, ecologicamente sostenibili. È una sfida difficile da cogliere. Come? Stare dentro il sistema e al tempo stesso spingerlo verso soluzioni alternative.

Nel tempo della “scomparsa del futuro” dobbiamo renderci conto che un mondo diverso è possibile e necessario.

Esportare il metodo della Barbiana del Mugello nelle Barbiane del mondo, tenendo però presente l’unicità dell’esperienza della scuola di Don Milani e della necessità di non scimmiottare e tradire un metodo che lo stesso Don Milani giudicava essere aderente al proprio presente, al proprio tempo e al proprio spazio.

Vorrei ricordare Don Roberto Sardelli, scomparso circa un anno fa, sacerdote degli ultimi, che conobbe Don Milani e che sviluppò un’esperienza originale tra i baraccati romani. La sua scuola ci aiuta nel comprendere il messaggio vivo e in parte trasformato di Barbiana nella periferia di una metropoli, dove Barbiana, rispetto all’Acquedotto Felice a Roma, viene descritta come: “una piccola Danimarca“.

E il suo legame con il sindacato, in particolare con la CISL, con il centro studi di Fiesole?

Praticare l’amore, con la politica, il sindacato, la scuola…”, è una frase molto celebre del priore di Barbiana. Don Milani e il suo rapporto con il lavoro e il sindacato sono i temi conduttori di: “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana”.

La frase citata non è sufficiente per comprendere la ricchezza e la peculiarità, il fortissimo legame che c’è nel percorso sociale ed educativo di Don Milani con il lavoro e la sua rappresentanza.

Sono tanti, ad esempio, i contratti di lavoro presenti nella canonica in cui i ragazzi facevano scuola. Chi sale a Barbiana trova un disegno, non molto noto, realizzato dai ragazzi della scuola, un collage, che analizza quali fossero i flussi fiscali a danno dei lavoratori dipendenti in Italia.

Il primo testo pubblico a noi conosciuto di Don Milani è del 1949 nella rivista Adesso di Don Primo Mazzolari. L’articolo racconta di Franco, giovane disoccupato di Calenzano. Don Milani si rivolge a lui con una frase fulminante: “Perdonaci tutti, comunisti, industriali e preti”.

In questa frase si riassume mirabilmente la crisi profonda, l’inadempienza, la miseria del capitalismo, del comunismo e dell’istituzione ecclesiastica, le “ideologie” dominanti del tempo.

Tornando al rapporto con la Cisl e con il Centro di formazione di Fiesole, nel libro proprio Agostino Burberi riporta l’immagine di Don Milani in lambretta che incontra Luigi Macario al Centro Studi per perorare la causa di Maresco Ballini, che era destinato ad essere inviato nell’alto milanese e che Don Milani avrebbe voluto trattenere in Toscana, vicino alla madre del suo allievo, rimasta vedova.

Agostino, Paolo Landi, entrambi i fratelli Gesualdi ci raccontano del “filo” teso con il sindacato dei tessili, anche se non va dimenticato che, ad esempio, Michele Gesualdi incontra il sindacato in Germania. Paolo Landi, come tanti altri allievi e come tanti giovani italiani di oggi, va a lavorare a Londra.

Una dimensione cosmopolita, anche attraverso il lavoro, che è, appunto, di insegnamento anche per il tempo presente.

Scriveva Don Milani, da San Donato al regista francese Maurice Cloche nel 1952: “Il disoccupato e l’operaio di oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù ha vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore”.

Se poi ci avviciniamo alla lettera ai giudici, all’obbedienza non è più una virtù, penso sia significativa la pubblicazione, nel libro, del documento dei lavoratori del nuovo Pignone e di altre aziende fiorentine a sostegno dei sacerdoti fiorentini che si erano pronunciati per l’obiezione di coscienza. Il sostegno dei lavoratori, molto più di quello dei c.d. “uomini di cultura” era molto caro a Don Milani, come ci dimostrano le sue lettere.

Lei è un esperto di formazione e di progettazione europea, a suo avviso quanto sarà centrale il ruolo della formazione nel nuovo modello di sviluppo, declinato dall’Ue?

Mantenendo il legame con la storia di Barbiana pensiamo solo all’importanza del reinventare nel tempo di oggi le 150 ore per il diritto allo studio, le scuole popolari, (pensiamo al tema dei migranti e delle nuove tecnologie, ma anche dell’analfabetismo di ritorno e al lavoro come emancipazione per le fasce più fragili e deboli, alla narrazione e al teatro).

Interroghiamoci allora, riprendendo il “Filo teso tra Fiesole e Barbiana” su come diamo valore alla formazione. Nel sindacato e fuori da esso.

La sfida della digitalizzazione, ma anche quella della sostenibilità, così come più in generale la questione educativa, che non riguarda solo bambini e ragazzi, non può non essere una questione centrale per il futuro dell’Unione Europea.

Don Milani, pensiamo al laboratorio sotto la sua canonica, fu pioniere del rapporto tra istruzione, educazione e lavoro.

Oggi, anche di fronte al piano dell’Ue sull’educazione digitale, alla sfida e all’esplosione delle disuguaglianze nella pandemia, anche sul fronte educativo e formativo, dobbiamo riprendere nelle nostre mani la lezione di Lettera a una professoressa.

Non possiamo permetterci infatti, dopo aver visti gli effetti di ampliamento delle disuguaglianze della chiusura forzata per l’emergenza sanitaria delle scuole, dei centri di formazione professionale e delle università, di lasciare indietro i più fragili e i più deboli: questo vale nell’ambito del lavoro, ma ancor di più sul fronte educativo e formativo. L’Ue, attraverso il Recovery Plan, in un’ottica sussidiaria, che arriva fino ai territori locali e a tutti gli attori della società, deve dare un segnale forte anche su questi ambiti senza limitarsi a promuovere sussidi o a politiche di mero sostegno al reddito, ma valorizzando percorsi sostenibili che di “ripresa e resilienza” non devono avere solo il nome. E che devono proprio partire dalle situazioni più inaccettabili perchè, come insegnava Don Lorenzo, "non si possono fare parti uguali fra disuguali".

Francesco Lauria (a cura di) Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro, Edizioni Lavoro, Roma 2019

Per maggiori informazioni sul volume: Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana - Edizioni Lavoro