sabato 26 giugno 2021

Da Piazza Santa Croce a Barbiana: a proposito di assunzioni, licenziamenti, sindacato, lavoro e Don Milani.

Tra meno di un'ora inizieranno in tre piazze (Torino, Firenze, Bari) le manifestazioni dei sindacati confederali.  A Torino interverrà il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, a Bari quello della Uil Pierpaolo Bombardieri, a Firenze, nella centrale paizza Santa Croce, il segretario della Cisl Luigi Sbarra.

Lo slogan della manifestazione è: "Ripartiamo insieme".

Anche se la piattaforma dei sindacati confederali è molto più ampia, sulla stampa e nelle interviste il fulcro delle iniziative, piazze che si riempiono di nuovo (quanto?) dopo le restrizioni dovute alla pandemia, è stato individuato da molti: con la protesta, ferma e vibrante sull'imminente fine del blocco dei licenziamenti.

In Esperienze Pastorali, il primo libro di Don Lorenzo Milani, per decenni reputato, fino all'arrivo di Papa Francesco e nonostante l'amplissima mobilitazione del sindacato nel 1987 (a vent'anni dalla morte del priore) , inopportuno, non tanto dal punto di vista dogmatico, quanto sociale.

Ebbene, dentro Esperienze Pastorali, c'è un paragrafo che è stato intitolato: "A proposito delle assunzioni di lavoro".

Le assunzioni, si sa sono l'altra faccia dei licenziamenti, anche se non c'è, men che mai oggi, in un'economia complessa e dalle filiere lunghe, alcun automatismo.

Il primo e più importanti punto dello scritto di Don Milani, ripubblicato anche nel libro: "Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro", è inerente al collocamento.

Un collocamento che, certo, si è trasformato profondamente dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento , nelle modalità come nelle regole, ma fronteggia, ancor più nella pandemia, il mercato del lavoro più "opaco" d'Europa e, certamente, uno fra i più disuguali.

Scriveva, sferzante Don Milani in Esperienze Pastorali: (...)" Quanti preti si sono fermati a meditare sul problema dell'assunzione di lavoro? Ben pochi pare. Perchè a tutti gli usci si trova qualche prete che va a raccomandare disoccupati. Anzi se poi riesce a farli assumere ne è soddisfatto come se avesse compiuto un'opera buona. Ma quest'opera è cattiva e perfino illegale".

Erano i tempi (la metà degli anni cinquanta) delle lettere delle parrocchie alla Fiat in cui, per farli assumere, si presentavano i lavoratori (magari immigrati da altre zone del paese) come: "rigorosamente proni al comando e all'autorità".

Don Milani prosegue e, dopo aver parlato dei rischi dell'eccesso di speranza nel Totocalcio (come è cambiato il tempo oggi che il Totocalcio non c'è più e ben più pericolose ludopatie affliggono soprattutto i ceti popolari"), si sofferma sullo sciopero, come arma incruenta e di dignità, ben diversa dalle richieste di erogazioni di beneficienza, ma piena del profumo della solidarietà.

Per il priore, infatti, lo sciopero più bello è quello in cui non si chiede a partire da sè, ma in un'ottica, nel lavoro, di sollevazione e inclusione dei più deboli e più fragili.

In questa riflessione di Don Milani, ma anche dei suoi ragazzi diventati sindacalisti, c'è, esattamente nell'anniversario della morte del priore di Barbiana (26 giugno 1967), uno degli snodi delle manifestazioni di oggi.

Insieme al blocco dei licenziamenti è necessario rafforzare l'occupabilità delle persone.

Altro slogan si dirà, magari anche un po' liberista.

Ma l'occupabilità, nel solco degli insegnamenti di Don Milani, ci ha spiegato il premio Nobel Amartya Sen, non è la responsabilità del singolo, magari grazia al fatto di essere: "ligi e pronti al comando e a supplicare una raccomandazione".

L'occupabilità vera è una domanda di cittadinanza che parte dalle esigenze e dalle "capacità" (capabilities) della persona, ma che interessa non solo il singolo. Essa incrocia la responsabilità della società, non in un'ottica assistenzialistica, ma cooperativa, solidale, pro attiva..

Non è, solo una questione di "meriti e bisogni" (come per un po' anche certa sinistra ha voluto credere, da Martelli a Tony Blair), ma soprattutto di "aspirazioni e democrazia".

L'io e il noi: il soggetto e la comunità in un nuovo, non retorico, diverso paradigma di sviluppo.

Sta qui il filo possibile tra la collina del Monte Giovi a Barbiana e le manifestazioni di oggi, a partire da quella di Firenze.

Il blocco dei licenziamenti è un punto di partenza, ma l'uscita dalla crisi sta nella trasformazione del mercato del lavoro italiano: non solo ammortizzatori sociali, ma intreccio tra saper fare e saper essere, orientamento, accompagnamento, supporto all'imprenditorialità cooperativa.

A Verona (cooperativa Food for me con la Cisl) a Firenze (cooperativa Robin Food con la Cgil) i rider che distribuiscono cibo e giornali nelle nostre città, si sono autorganizzati in cooperative, insieme al sindacato che fornisce loro "servizi collettivizzanti". In questo si prova anche a sensibilizzare i consumatori, sia sulla sostenibilità del cibo (o magari sulla libertà di stampa) che sul rispetto dei diritti e della dignità di chi lavora.

E' un intreccio tra risposte mutualistiche di antico sapore e la capacità innovativa e profetica, anche se non  priva di difficoltà, di governare insieme, senza rigettarlo a priori, l'algoritmo delle piattaforme e il rapporto tra lavoro, consumo e cittadinanza. Memoria e futuro, insomma.

Affermavano Maresco Ballini e Michele Gesualdi, allievi di Don Lorenzo e sindacalisti, al mitico congresso della Cisl del 1969 ("Potere contro potere"): 

"La Cisl, da sola, se le altre organizzazioni non ne hanno il coraggio deve preferire i lavoratori diseredati, anche a costo di perdere qualche migliaia di iscritti tra i lavoratori privilegiati. Ne guadagnerà altrettanti tra i lavoratori impoveriti che devono essere i preferiti di un'organizzazione sindacale che ha tra i suoi primi ideali quello della solidarietà".

Affermazioni importanti che, in questo 26 giugno 2021, ricordano l'intervento di Papa Francesco al congresso nazionale Cisl del 27 giugno 2017: in cui il pontefice indicava la strada al sindacato, ben prima dell'aggravarsi delle disuguaglianze nella pandemia e dei tragici fatti che hanno evidenziato, anche nei media, le morti sul lavoro e nelle rivendicazioni della logistica. 

Senza costruire steccati nel mondo del lavoro e nemmeno nel sindacato, Papa Francesco ci ha ricordato che gli interlocutori privilegiati (non unici) del sindacato non possono che essere gli "scartati del lavoro" e chi del lavoro è "fuori le mura del lavoro stesso".

Un sindacato profetico e innovativo, ci ricorda, parte da qui, dal senso etimologico della parola: "fare giustizia insieme".

Un sindacato che non può ripartire, ad esempio, da Camara Fantamadi, bracciante maliano di 27 anni, morto di caldo e lavoro. Non nei campi dell'Alabama di inizio Novecento, ma tra i caporali del brindisino nell'inizio torrido dell'estate 2021.

Se, da Piazza Santa Croce, voliamo risalire all'essenzialità di Barbiana dobbiamo ripartire non solo dalle richieste legislative o monetarie (che sono importantissime), ma anche dalla dignità della persona nel lavoro, dal sindacato come fattore di cittadinanza, organizzazione e sovranità. Dall'opzione preferenziale coscientizzante e di liberazione per chi, oggi, non ha tutele, rappresentanza, voce.

E sono tanti, tantissimi. Dai campi, non solo del Sud, ai magazzini della logistica e dell'algoritmo, fino alle piccole imprese tessili in cui si manomettono i sistemi di sicurezza per ultimare le lavorazioni per conto terzi, magari di qualche marchio del lusso.

In tutto ciò, lo sappiamo e lo testimoniava don Lorenzo insieme alla sua scuola, il ruolo dell'educazione e della formazione per liberare schiavitù e generare emancipazione sono essenziali.

Per "ripartire insieme", dalle periferie esistenziali e del lavoro, però, ed è giusto, come fa Papa Francesco, che se lo ripeta più volte anche il sindacato non si possono fare: "parti uguali tra disuguali".

Francesco Lauria

domenica 20 giugno 2021

20 giugno 2017 - 2021. A 4 anni dalla preghiera di Papa Francesco a Barbiana, la morte di Adil interroga, sulla scia di Don Lorenzo.

   Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana: 2017-2021.

A Quattro anni dalla preghiera di Papa Francesco sulla tomba di Don Lorenzo Milani (e di Don Primo Mazzolari) e dalla partecipazione del pontefice al congresso della Cisl, conversazione tra Sergio Pozzi Francesco Lauria, curatore del volume a più voci pubblicato da Edizioni Lavoro. Il testo appare sul Bollettino "Eccoci" del Circolo dell'Amicizia San Pio X di Roma. 

Un dialogo antecedente alla morte di Adil Belandkim, sindacalista del Si-Cobas, ucciso a Novara durante una manifestazione nell'ambito delle rivendicazioni e degli scioperi sulla dignità del lavoro nel settore della logistica. 

Un impegno e un sacrificio quello di Adil, per le periferie del lavoro nell'economia dell'interdipendenza e dello scarto, rispetto al quale è doveroso tributare un pensiero non rituale.

Non si può. infatti, non avviare una riflessione che interroghi anche il sindacalismo confederale, sulla scia degli insegnamenti di Don Milani e anche dei suoi allievi divenuti sindacalisti, su come rappresentare e difendere il lavoro, a partire da quello maggiormente sfruttato, precario, impoverito...

Come nasce l’idea di questo libro?

L’idea non del libro, ma di approfondire il messaggio di Don Milani rispetto al sindacato e alla Cisl, nasce nel giugno 2017. Dai due momenti che ricordo nel testo:

 la preghiera di Papa Francesco sulla tomba prima di Don Primo Mazzolari e poi su quella di Don Milani (20 giugno 2017);

l’incontro con Papa Francesco, la settimana successiva, in occasione del congresso confederale della Cisl (27 giugno 2017).

Scrissi un articolo su internet sul doppio pellegrinaggio e ricevetti un sms. L’sms raccontava dei primi anni Ottanta, quando: “a Barbiana, quasi non saliva più nessuno”. È una condizione, quella di quel periodo e di quegli anni, che accomuna non solo don Milani e don Mazzolari, ma anche, da vivo, Giuseppe Dossetti e la sua scelta di spostarsi tra “le querce di Montesole” allora dimenticate e piene di rovi.

Di lì è nata la necessità di risalire a Barbiana, partendo dalle colline di Fiesole, dove sorge, da quasi settant’anni il Centro Studi nazionale della Cisl, e l’incontro con la testimonianza e il libro di Michele Gesualdi, “L’esilio di Barbiana”. Un incontro continuato, a causa della malattia di Michele, che fu tra gli allievi prediletti di Don Lorenzo, ma anche sindacalista e politico, con la figlia Sandra.

Tutto il periodo successivo è stato dedicato a rilanciare e rafforzare il filo teso tra: “Fiesole e Barbiana”, con due mostre presso il Centro Studi: “Barbiana, il silenzio che diventa voce” e: “Gianni e Pierino. La scuola di Lettera a una professoressa”, una serie innumerevole di visite guidate e di confronti, tante salite a Barbiana e uno spettacolo sferzante e spiazzante con cui abbiamo terminato il percorso del corso per sindacalisti contrattualisti del 2018: “Cammelli a Barbiana”.

Si tratta di un filo che non si è mai spezzato nel corso dei decenni, infatti tantissimi gruppi sindacali, hanno percorso il tragitto di circa un’ora che separa la collina di Fiesole da quella di Barbiana. In questo percorso fatto di incontri, testimonianze, interrogativi, non abbiamo costruito un’icona. Abbiamo ripreso a salire a Barbiana, con la pioggia, nel fango, nel silenzio. Un tempo spesso piovoso che ci ha restituito una salita non semplice, un po’ come quella che fece per la prima volta Don Lorenzo, giungendo da Calenzano, nel 1954.

L’altro rischio è, infatti, quello di mitizzare una figura, come quella di Don Milani, senza cogliere il profondo nesso, prima a Calenzano, poi a Barbiana, con il suo “popolo”. Due contesti diversissimi, uno industriale, come quello a cavallo tra Prato e Firenze, uno agricolo, montano, direi, disperso, come quello di Barbiana.

D’altronde come ha scritto Francesco Gesualdi, allievo di Don Milani, fratello di Michele: “Il Priore fa paura per le idee che ci ha lasciato in eredità ed è proprio per demolire i suoi insegnamenti che si cerca di buttargli addosso fango. Ma grazie a Dio, le idee si sostengono da sole”.

Ma anche chi è invece più simpatetico con il sacerdote di Barbiana corre un rischio: Don Milani rischia di diventare un po’ come Aldo Moro nei convegni politici: il ketchup che sta bene quasi su ogni cibo. Non è questo che ci interessa e, spero, che il libro lo mostri con chiarezza. Il libro raccoglie quindi i frutti di questo percorso: testimonianze di ex allievi, spesso diventati sindacalisti, testi di don Lorenzo, ulteriori riflessioni anche sull’attualità del messaggio del priore di Barbiana.

Nel 2019 abbiamo pubblicato una seconda edizione aggiornata e accresciuta con ulteriori testimonianze che include un testo in memoria, ma allo stesso tempo anche uno scritto di Maresco Ballini, l’allievo che è punto di congiunzione tra Calenzano, Fiesole e Barbiana.

L’altro grande tema approfondito nella seconda edizione è quello de: “L’obbedienza non è più una virtù”. In esso si trova sia l’approccio storico (la “germinazione fiorentina”, per dirla con La Pira dell’obiezione di coscienza), sia quello delle esperienze individuali (Franco Bentivogli, Maurizio Locatelli) che l’attualità (da Don Milani a Konrad, l’elemosiniere “disobbediente” di Papa Francesco).

Voglio ricordare, infine, una frase della Lettera ai giudici: Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto… I Care”

Quale attualità del priore di Barbiana, recentemente citato come esempio anche rispetto all’uscita dalla pandemia da pate della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen?

La citazione della Presidente della Commissione Europea è stata sorprendente e importante, ma è doveroso vigilare sul fatto che essa non rimanga un riferimento emozionale e "rassicurante", non collegato realmente al difficile contesto che stiamo vivendo e alle soluzioni, spesso escludenti parti sociali e società civile, che si stanno delineando.

Non serve, come scrisse Michele Gesualdi nella lettera che spinse Papa Francesco a salire a Barbiana: "che Don Lorenzo debba essere elevato a mito da celebrare, sarebbe come cucirgli addosso un vestito stretto".

Per comprendere l’attualità di Don Milani, in particolare rispetto al tema del lavoro, è utile ricordare l’intervento di Papa Francesco in apertura dell’ultimo congresso della Cisl: il suo monito sul porsi come sindacato tra profezia e innovazione.

Stare ai confini della città del lavoro e aprire, rappresentare gli ultimi, coloro che sono ai margini, nel mondo dei frammenti. Si vedano gli interventi di Maresco Ballini e Michele Gesualdi al congresso Cisl del 1969 (Il congresso della famosa relazione: “Potere contro Potere” che ci ripropone oggi, il tema della sussidiarietà e della “fine” della politica).

Scriveva Giancarlo Zizola nel 1987 e le sue parole sono assolutamente attualissime: Sono passati venti anni dalla morte di Don Milani e la parola ai poveri continua ad essere un messaggio estremamente valido, purchè sia reinterpretato alla luce della nuova condizione dei saperi tecnologici, oggi. Noi viviamo in un processo di crescente omologazione. Il problema, quindi, non è quello di dare la parola. Essa è data, ma è una parola che fa poveri. Questa è la differenza fondamentale. E’ una parola che non libera più poveri, ma li rende schiavi”.

Questo è uno dei punti decisivi per la discussione.

Non è un caso che Pasolini sia rimasto molto affascinato dalla scuola di Barbiana.

Gunther Anders ha definito la società consumistica come: “sirenico-spettacolare”. L’uomo odierno sembra quasi completamente irretito e in questo contesto la presa di coscienza e la radicale presa di responsabilità che ha insegnato Don Milani anche come fine dei processi educativi e formativi appaiono sempre più difficili.

È questo irretimento che favorisce etero direzione, controllo, manipolazione politico-mediatica, crescita del conformismo, del populismo e oblio della consapevolezza liberante dalla subalternità.

L’insegnamento di Don Milani ci sprona a contribuire a costruire davvero, non a parole, un diverso modello di sviluppo. Stare nelle contraddizioni, non significa ignorarle. Non tutti i consumi, non tutte le produzioni (non solo quelle di armi) sono eticamente, socialmente, ecologicamente sostenibili. È una sfida difficile da cogliere. Come? Stare dentro il sistema e al tempo stesso spingerlo verso soluzioni alternative.

Nel tempo della “scomparsa del futuro” dobbiamo renderci conto che un mondo diverso è possibile e necessario.

Esportare il metodo della Barbiana del Mugello nelle Barbiane del mondo, tenendo però presente l’unicità dell’esperienza della scuola di Don Milani e della necessità di non scimmiottare e tradire un metodo che lo stesso Don Milani giudicava essere aderente al proprio presente, al proprio tempo e al proprio spazio.

Vorrei ricordare Don Roberto Sardelli, scomparso circa un anno fa, sacerdote degli ultimi, che conobbe Don Milani e che sviluppò un’esperienza originale tra i baraccati romani. La sua scuola ci aiuta nel comprendere il messaggio vivo e in parte trasformato di Barbiana nella periferia di una metropoli, dove Barbiana, rispetto all’Acquedotto Felice a Roma, viene descritta come: “una piccola Danimarca“.

E il suo legame con il sindacato, in particolare con la CISL, con il centro studi di Fiesole?

Praticare l’amore, con la politica, il sindacato, la scuola…”, è una frase molto celebre del priore di Barbiana. Don Milani e il suo rapporto con il lavoro e il sindacato sono i temi conduttori di: “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana”.

La frase citata non è sufficiente per comprendere la ricchezza e la peculiarità, il fortissimo legame che c’è nel percorso sociale ed educativo di Don Milani con il lavoro e la sua rappresentanza.

Sono tanti, ad esempio, i contratti di lavoro presenti nella canonica in cui i ragazzi facevano scuola. Chi sale a Barbiana trova un disegno, non molto noto, realizzato dai ragazzi della scuola, un collage, che analizza quali fossero i flussi fiscali a danno dei lavoratori dipendenti in Italia.

Il primo testo pubblico a noi conosciuto di Don Milani è del 1949 nella rivista Adesso di Don Primo Mazzolari. L’articolo racconta di Franco, giovane disoccupato di Calenzano. Don Milani si rivolge a lui con una frase fulminante: “Perdonaci tutti, comunisti, industriali e preti”.

In questa frase si riassume mirabilmente la crisi profonda, l’inadempienza, la miseria del capitalismo, del comunismo e dell’istituzione ecclesiastica, le “ideologie” dominanti del tempo.

Tornando al rapporto con la Cisl e con il Centro di formazione di Fiesole, nel libro proprio Agostino Burberi riporta l’immagine di Don Milani in lambretta che incontra Luigi Macario al Centro Studi per perorare la causa di Maresco Ballini, che era destinato ad essere inviato nell’alto milanese e che Don Milani avrebbe voluto trattenere in Toscana, vicino alla madre del suo allievo, rimasta vedova.

Agostino, Paolo Landi, entrambi i fratelli Gesualdi ci raccontano del “filo” teso con il sindacato dei tessili, anche se non va dimenticato che, ad esempio, Michele Gesualdi incontra il sindacato in Germania. Paolo Landi, come tanti altri allievi e come tanti giovani italiani di oggi, va a lavorare a Londra.

Una dimensione cosmopolita, anche attraverso il lavoro, che è, appunto, di insegnamento anche per il tempo presente.

Scriveva Don Milani, da San Donato al regista francese Maurice Cloche nel 1952: “Il disoccupato e l’operaio di oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù ha vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore”.

Se poi ci avviciniamo alla lettera ai giudici, all’obbedienza non è più una virtù, penso sia significativa la pubblicazione, nel libro, del documento dei lavoratori del nuovo Pignone e di altre aziende fiorentine a sostegno dei sacerdoti fiorentini che si erano pronunciati per l’obiezione di coscienza. Il sostegno dei lavoratori, molto più di quello dei c.d. “uomini di cultura” era molto caro a Don Milani, come ci dimostrano le sue lettere.

Lei è un esperto di formazione e di progettazione europea, a suo avviso quanto sarà centrale il ruolo della formazione nel nuovo modello di sviluppo, declinato dall’Ue?

Mantenendo il legame con la storia di Barbiana pensiamo solo all’importanza del reinventare nel tempo di oggi le 150 ore per il diritto allo studio, le scuole popolari, (pensiamo al tema dei migranti e delle nuove tecnologie, ma anche dell’analfabetismo di ritorno e al lavoro come emancipazione per le fasce più fragili e deboli, alla narrazione e al teatro).

Interroghiamoci allora, riprendendo il “Filo teso tra Fiesole e Barbiana” su come diamo valore alla formazione. Nel sindacato e fuori da esso.

La sfida della digitalizzazione, ma anche quella della sostenibilità, così come più in generale la questione educativa, che non riguarda solo bambini e ragazzi, non può non essere una questione centrale per il futuro dell’Unione Europea.

Don Milani, pensiamo al laboratorio sotto la sua canonica, fu pioniere del rapporto tra istruzione, educazione e lavoro.

Oggi, anche di fronte al piano dell’Ue sull’educazione digitale, alla sfida e all’esplosione delle disuguaglianze nella pandemia, anche sul fronte educativo e formativo, dobbiamo riprendere nelle nostre mani la lezione di Lettera a una professoressa.

Non possiamo permetterci infatti, dopo aver visti gli effetti di ampliamento delle disuguaglianze della chiusura forzata per l’emergenza sanitaria delle scuole, dei centri di formazione professionale e delle università, di lasciare indietro i più fragili e i più deboli: questo vale nell’ambito del lavoro, ma ancor di più sul fronte educativo e formativo. L’Ue, attraverso il Recovery Plan, in un’ottica sussidiaria, che arriva fino ai territori locali e a tutti gli attori della società, deve dare un segnale forte anche su questi ambiti senza limitarsi a promuovere sussidi o a politiche di mero sostegno al reddito, ma valorizzando percorsi sostenibili che di “ripresa e resilienza” non devono avere solo il nome. E che devono proprio partire dalle situazioni più inaccettabili perchè, come insegnava Don Lorenzo, "non si possono fare parti uguali fra disuguali".

Francesco Lauria (a cura di) Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro, Edizioni Lavoro, Roma 2019

Per maggiori informazioni sul volume: Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana - Edizioni Lavoro