sabato 21 settembre 2019

Don Milani precursore del ’68 e del ’69?


Don Milani precursore del ’68 e del ’69?
Firenze 18 settembre 2019

Incontro Centro Studi Cisl Firenze – Corso Contrattualisti
Traccia Intervento Francesco Lauria
'67-'68'- 69: Confronto con Luciano Pero e Bruno Manghi



Gli usi della parola…
“Facciamo chiarezza.
Gira in rete questa falsa citazione rodariana: «Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo».
Qualche giorno fa l'ha condivisa una cara amica qui su facebook e le ho fatto notare l'errore.
Poi incuriosita sono andata a vedere google e lì ho trovato decine di foto e meme con la citazione (sbagliata) suddetta.
Quella buona invece dice così: 
"Tutti gli usi della parola a tutti: mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo".
La cogliete la differenza? Beh Rodari sì la coglieva: tutti gli usi delle parole è un motto che passando da Barbiana rivendica storicamente l'importanza del possesso della lingua, perché le parole uguali rendono liberi.
Non la lettura che ne è semmai una conseguenza. Si possono imparare parole leggendo ma anche ascoltando e dialogando.
Non c'è nessuna gerarchia nelle parole di Rodari: il testo scritto non viene prima, non rende migliori.
Un bel punto di vista, dal suono democratico.
Vanessa Roghi, 18 settembre 2019


Disobbedire a scuola…
“Ho imparato a disobbedire a scuola. Non in senso negativo. Parlo di disobbedienza culturale. Per disobbedire bisogna conoscere, bisogna sapere, bisogna studiare. Sono diventato culturalmente, mentalmente, disobbediente proprio tra i banchi di scuola, perché ho avuto l’occasione di conoscere me stesso, di imparare. Se avete questa possibilità, e ce l’avete, cercate di imparare il più possibile. Soltanto attraverso la cultura si può imparare a dire di sì, dicendo di no. Scegliendo la propria dimensione, la propria strada. (…) C’è sempre spazio dentro di noi: per tutto quello che c’è stato e per quello che c’è. La cultura fondamentalmente è questo: crearsi dei varchi nella vita, come tante piccole finestre. Più cose sai, più finestre hai attraverso le quali guardare il mondo (…) Bisogna essere migliorativi: se non si è migliorativi si tende a far del male al pianeta in cui viviamo. Quando dico pianeta intendo anche le persone che ci stanno intorno, fondamentalmente il mondo siamo noi: siamo migranti del tempo. Attraversando questo tempo dietro di noi lasciamo delle tracce e il modo migliore per lasciare delle tracce è il cuore delle persone, le loro menti, i destini degli altri (…) Fate in modo, ragazzi, di non sprecare nemmeno un’ora del vostro tempo.”
 Ermal Meta, cantautore, “Tutti a scuola, Taranto, 18 settembre 2017”.


Perché un libro su Don Milani e il mondo del lavoro (Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana, Don Milani e il mondo del lavoro).

L’idea non del libro, ma di approfondire il messaggio di Don Milani rispetto al sindacato e alla Cisl, nasce nel giugno 2017. Dai due momenti che ricordo nel testo:

·        la preghiera di Papa Francesco sulla tomba prima di Don Primo Mazzolari e poi su quella di Don Milani
·        la settimana successiva con l’incontro con Papa Francesco in occasione del congresso della Cisl.

Di lì è nata la necessità di risalire a Barbiana e l’incontro con la testimonianza e il libro di Michele Gesualdi, “L’esilio di Barbiana”, e, anche a causa della malattia di Michele, con la figlia Sandra.
Tutto il 2018 è stato dedicato a questo a rilanciare e rafforzare il filo teso tra: “Fiesole e Barbiana”, con due mostre presso il Centro Studi: “Barbiana, il silenzio che diventa voce” e: “Gianni e Pierino. La scuola di Lettera a una professoressa”, una serie innumerevole di visite guidate e di confronti, tante salite a Barbiana e uno spettacolo sferzante e spiazzante con cui abbiamo terminato il percorso del corso contrattualisti 2018: “Cammelli a Barbiana”.
Si tratta di un filo che non si è mai spezzato, nel corso dei decenn, infatti tantissimi gruppi sindacali hanno percorso il tragitto di circa un’ora che separa la collina di Fiesole da quella di Barbiana.

Non ci serve un Don Milani, così come non ci serve un Carniti in pillole.

In questo percorso fatto di incontri, testimonianze, interrogativi, Non abbiamo costruito un’icona. L’altro rischio è quello di mitizzare una figura, come quella di Don Milani, senza cogliere il profondo nesso, prima a Calenzano, poi a Barbiana, con il suo “popolo”. Due contesti diversissimi, uno industriale, come quello a cavallo tra Prato e Firenze, uno agricolo, montano, direi, disperso, come quello di Barbiana.

Dobbiamo quindi approcciare una figura che si “staglia” come quella di Don Milani e calarla nei contesti sociali (senza dimenticare la sua provenienza familiare e, in particolare, il rapporto con la madre).

La seconda edizione

Questa seconda edizione, che presentiamo oggi, include un testo in memoria, ma allo stesso tempo anche uno scritto di Maresco Ballini, l’allievo che è punto di congiunzione tra Calenzano, Fiesole e Barbiana. Come ci insegnava Pierre Carniti, non siamo qui per celebrare o autocelebrare. E’ questo la miglior via per dimenticare.
Noi vogliamo “ricordare insieme”, con occhi nel mondo.
L’altro grande tema approfondito nella seconda edizione è quello de L’obbedienza non è piu una virtù. C’è qui sia l’approccio storico (la “germinazione fiorentina”, per dirla con La Pira dell’obiezione di coscienza), sia una quello delle esperienze individuali (Franco Bentivogli, Maurizio Locatelli) che quell’dell’attualità (da Don Milani a Konrad, l’elemosiniere “disobbediente” di Papa Francesco).
C’è una frase della Lettera ai giudici che ne precede una celeberrima che credo sia utile ricordare qui: “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto… I Care”

Un’immagine che vi voglio proporre è quella dell’Astrolabio.
Abbiamo scelto l’Astrolabio del sociale anche come simbolo del Premio Pierre Carniti. E’ il simbolo dell’intreccio tra studio e lavoro. Dell’imparare facendo e, grazie a questo, del trovare una direzione, meglio la propria direzione e affermazione.
In questo c’’è poi il grande messaggio di Lettera a una professoressa. Del rapporto tra i “Gianni” e i “Pierini”: “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Non dimentichiamo, nel cominciare a riflettere sul rapporto tra l’esperienza di Don Milani e della sua scuola, con il sindacato, il ruolo di Lettera a una professoressa nell’ideazione e implementazione di una scuola diversa per adulti: la grande esperienza delle 150 ore per il diritto allo studio e il progetto, dopo la scuola popolare di Calenzano, di una scuola sociale a Firenze, mai realizzata per la Fondazione Lavoratori Officine Galileo.

Don Milani, il lavoro, il sindacato

“Praticare l’amore, con la politica, il sindacato, la scuola..”, è una frase molto celebre del priore di Barbiana.
Don Milani e il suo rapporto con il lavoro e il sindacato sono i temi conduttori di: “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana.
Una frase che però non è sufficiente per comprendere la ricchezza e la peculiarità, il fortissimo legame che c’è nel percorso sociale ed educativo di Don Milani con il lavoro e la sua rappresentanza.
Sono tanti, ad esempio, i contratti di lavoro presenti nella canonica in cui i ragazzi facevano scuola.
Il primo testo pubblico a noi conosciuto di Don Milani è del 1949 nella rivista Adesso di Don Primo Mazzolari. L’articolo racconta di Franco, giovane disoccupato di Calenzano. Don Milani si rivolge a lui con una frase fulminante: “Perdonaci tutti, comunisti, industriali e preti”.
In questa frase si riassume mirabilmente la crisi profonda, l’inadempienza, la miseria del capitalismo, del comunismo e dell’istituzione ecclesiastica, le “ideologie” dominanti del tempo.
Tornando al rapporto con la Cisl e con il Centro Studi di Fiesole, nel libro proprio Agostino Burberi riporta l’immagine di Don Milani in lambretta che incontra Luigi Macario al Centro Studi per perorare la causa di Maresco Ballini, che era destinato ad essere inviato nell’alto milanese e che Don Milani avrebbe voluto trattenere in Toscana, vicino alla madre del suo allievo, rimasta vedova.
Agostino, Paolo Landi, entrambi i fratelli Gesualdi ci raccontano del “filo” teso con il sindacato dei tessili, anche se non va dimenticato che, ad esempio, Michele Gesualdi incontra il sindacato in Germania. Paolo Landi, come tanti altri allievi e come tanti giovani italiani di oggi, va a lavorare a Londra.
Una dimensione cosmopolita, anche attraverso il lavoro, che è, appunto, di insegnamento anche per il tempo presente.
Scriveva Don Milani, da San Donato al regista francese Maurice Cloche nel 1952: “Il disoccupato e l’operaio di oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù ha vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore”.
Se poi ci avviciniamo alla lettera ai giudici, all’obbedienza non è più una virtù penso sia significativa la pubblicazione, nel libro, il documento dei lavoratori del nuovo Pignone e di altre aziende fiorentine a sostegno dei sacerdoti fiorentini che si erano pronunciati per l’obiezione di coscienza.

Il laboratorio fiorentino: Pistelli, Turoldo, Balducci, La Pira, Benedetto de Cesaris. Un pensiero che coinvolge la Cisl e il suo Centro Studi
Fermento preconciliare: “E’ tempo di costruire: tempo eccezionale della storia della Chiesa. Finisce un’epoca e una nuova sorge” (Giorgio La Pira).

Don Milani, Lettera a una professoressa e il ‘68

Quando nell’autunno 1967 prese inizio nelle università italiane il ciclo di proteste studentesche, Lettera a una professoressa, ancora fresca di stampa, divenne rapidamente uno dei testi più importanti di riferimento della contestazione.
Il contesto in cui era nata la Lettera era molto diverso da quello universitario e l’obiettivo della sua pungente polemica non era il sistema accademico, ma la scuola dell’obbligo e superiore.
Come giustamente è scritto nel bel testo: “Salire a Barbiana. Don Milani dal sessantotto a oggi (Velia, 2017), c’è da chiedersi se è vera l’ipotesi di Lettera a una professoressa come un “fatto” nel pieno di quello che è stato definito un unico ciclo di contestazione, partito nell’estate del ’60 a Genova contro il governo Tambroni di centro-destra, passando per la mobilitazione dei giovani operai di Piazza Statuto a Torino nel 1962. Allargando lo sguardo possiamo citare i sit-in degli studenti di colore nel Nord Carolina nel 1962, la nascita del Civil Rights Movement, e le famose manifestazioni studentesche di Berkley, iniziate nel 1964 ed esplose nel 1968.
I giovani compaiono prepotentemente nell’agone sociale, come soggetto, portatore di proprie istanze culturali e di partecipazione.
L’idea della Lettera nasce nell’estate del 1966, quando due ragazzi di Barbiana, presentatisi per la seconda volta come privatisti alla fine del primo anno dell’Istituto magistrale di Firenze, erano stati nuovamente respinti.
La professoressa che aveva “immotivatamente respinto” i due ragazzi rappresentava tutto un sistema scolastico visto con gli occhi del ragazzo che era stato respinto. Il libro metteva in luce la dispersione scolastica nelle scuole elementari e medie e che le vittime principali della dispersione fossero le classi sociali più povere. Denunciava le storture di un sistema che impartiva un’istruzione nozionistica molto lontana dalla vita reale, funzionale a preservare e consolidare i privilegi delle classi più ricche.
Le Lettera divenne uno dei testi più citati, insieme a Guevara, Mao, Lenin, Marcuse, Dutschke. La si leggeva in classe, nelle commissioni delle scuole occupate, in assemblea, nei gruppi di amici, nelle parrocchie e nei gruppi cattolici.
Il contesto sociale in cui era nata la Lettera era molto diverso dalla realtà giovanile delle università italiane, era il mondo dei contadini di montagna.
Nonostante ciò la lettera fu un filo conduttore nella sfida all’intero sistema di istruzione dalla scuola elementare all’università, affrontando la questione comune delle selezione e del suo significato sociale.
La connessione tra scuola e società, anche grazie a Lettera a una professoressa, divenne un tema cruciale della contestazione.

Non dimentichiamo però alcuni spunti da scritti precedenti come la Lettera ai giudici: “La scuola deve essere per quanto può un profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.”

In un'altra ottica possiamo dire anche che Don Milani non è l’ultimo, ma il primo, non chiude, ma apre. E’ spesso solo, ma non isolato.
Scrive Vanessa Roghi: viene in mente, pensando a Don Milani, quello che scrive Alex Langer di un altro educatore, Ivan Illich: “qualcuno ne rimane deluso e lo trova poco organico, altri ne ricavano spunti decisivi per orientare la propria visione del mondo.”

Cinquanta anni dopo: quali parole per l’oggi?

La parola: ai confini della città del lavoro. Quali sfide per il sindacato e le associazioni laicali, per la scuola, l’Università e la formazione?
Papa Francesco: il suo monito nel porci come sindacato tra profezia e innovazione.
Stare ai confini della città del lavoro e aprire, rappresentare gli ultimi, coloro che sono ai margini, nel mondo dei frammenti. Si vedano gli interventi di Maresco Ballini e Michele Gesualdi al congresso Cisl del 1969 (Potere contro Potere, tema della sussidiarietà e della “fine” della politica).
Scriveva Giancarlo Zizola nel 1987 e le sue parole sono assolutamente attualissime: “Sono passati venti anni dalla morte di Don Milani e la parola ai poveri continua ad essere un messaggio estremamente valido, purchè sia reinterpretato alla luce della nuova condizione dei saperi tecnologici, oggi. Noi viviamo in un processo di crescente omologazione. Il problema, quindi, non è quello di dare la parola. Essa è data, ma è una parola che fa poveri. Questa è la differenza fondamentale. E’ una parola che non libera più poveri, ma li rende schiavi”.
Questo è uno dei punti decisivi per la discussione.
Non è un caso che Pasolini fosse molto affascinato dalla scuola di Barbiana.
Gunther Anders ha definito la società consumistica come: “sirenico-spettacolare”. L’uomo odierno sembra quasi completamente irretito e in questo contesto la presa di coscienza e la radicale presa di responsabilità che ha insegnato Don Milani anche come fine dei processi educativi e formativi appaiono sempre più difficili.
E’ questo irretimento che favorisce etero direzione, controllo, manipolazione politico-mediatica, crescita del conformismo, del populismo e oblio della consapevolezza liberante dalla subalternità.

Che fare?

Costruire un diverso modello di sviluppo. Fridays for future?
Come? Stare dentro il sistema e al tempo stesso spingerlo verso soluzioni alternative.
Noi dobbiamo renderci conto che un mondo diverso è possibile e necessario.
Esportare il Metodo della Barbiana del Mugello nelle Barbiane del mondo.
Costituzione, Resistenza, nonviolenza. Punti di riferimento nella scuola di Barbiana e in quella di Calenzano.
Stiamo perdendo gli ultimi testimoni.  Stiamo scivolando sui valori fondamentali.  Per questo non dobbiamo mai fermarci, educare, educare ancora.
Una traccia di lavoro da riscoprire: Pippo Morelli, ma anche su un terreno diverso Tullio De Mauro e Alexander Langer, attraverso una formazione trasformativa.

Una proposta concreta per abitare le periferie:
Reinventare nel tempo di oggi le 150 ore per il diritto allo studio, la scuole popolari, (pensiamo al tema dei migranti e delle nuove tecnologie, ma anche dell’analfabetismo di ritorno e al lavoro come emancipazione per le fasce più fragili e deboli, alla narrazione e al teatro) . E all’impegno del sindacato, attraverso la promozione del lavoro come fatto sociale, relazione ed emancipativo, nelle frontiere più difficili della società come, ad esempio tra i carcerati, gli alcolisti, i soggetti affetti da dipendenze in generale. Su questo ci aiuta, fra le altre, la testimonianza viva di Maresco Ballini, a partire dal suo intervento al congresso nazionale della Cisl del 1969.

Conclusioni

Scriveva Balducci nel 1987 (Ci aspetta domani).  Se noi ricostruiamo la realtà storica di Milani, anche nella sua lontananza, tenendo conto della diversità della situazione e poi la interroghiamo, scopriamo che Don Milani è uno di quei maestri che non ci richiamano al ricordo del passato, ma che ci hanno dato appuntamento nel futuro.
Soltanto una società e, io aggiungo, un sindacato fondati sulla partecipazione cosciente e responsabile, possono contrastare la globalizzazione neoliberista e rifondare la politica e la rappresentanza, ricollegare etica, politica e diritto, ridare pienezza ad una democrazia spesso ormai solo formale.
Forse, ancora di più, senza rinunciare ad un profilo di senso, dobbiamo ripartire dalla società dei frammenti, come ci insegna Ivo Lizzola. Ripartire dal cooperare e da una comunità inclusiva, da luoghi apparentemente deboli e periferici come le montagne spopolate (le Barbiana di oggi) nella megalopoli interconessa e supersonica globale.
In tutto questo Don Milani e i suoi allievi ci hanno lasciato un percorso peculiare che incontra il valore del sindacato come strumento comune della giustizia, come luogo educativo, trasformativo, esperienziale di una società più giusta. A partire dagli ultimi, anche nel lavoro. A partire da quella dimensione planetaria che ha a cupre l’umanità e la terra.
Il lavoro come cura, il sindacato come tessuto di uguaglianza.
Lavoro e sindacato di ieri, di oggi, ma certamente, pur con profondissime trasformazioni, di domani.