sabato 26 ottobre 2019

Sulle orme di Barbiana: un villaggio la cui patria è il mondo

Il Premio La Pira a Progetto Accoglienza di Borgo San Lorenzo
di Francesco Lauria

PISTOIA - Tra le realtà che quest’anno riceveranno a Pistoia il premio internazionale Giorgio La Pira, promosso dal Centro Studi Donati, c’è l’Associazione Progetto Accoglienza di Borgo San Lorenzo.
E’ un nome poco noto alla maggior parte dei cittadini pistoiesi, ma che ha molto da raccontare e, probabilmente, da insegnare.
L’associazione nasce con questo nome 27 anni fa nel Mugello per dare una risposta organizzata al fine di favorire l’integrazione, sociale e lavorativa, dei migranti, molti dei quali in quegli anni provenienti dall’Albania.
Spiega il Presidente: Luigi Andreini: “Progetto Accoglienza è un nome che caratterizza una precisa scelta associativa: “Progetto” perché proviamo a realizzare una ricerca continua di idee, uno sperimentare continuo sul campo per costruire una convivenza di pace, per vivere da uomini tra uomini. “Accoglienza” poiché il nostro scopo è accogliere l'umanità non solo nella sua fragilità, ma anche nella sua unicità”.
Appaiono parole forse oggi controcorrente, ma, coerentemente con l’insegnamento di Don Lorenzo Milani, tra gli ispiratori indiretti di questa associazione: alla base, non ci sono slogan, ma azioni concrete e una strategia di fondo. Ci sono la curiosità e il rispetto delle diversità, dei tanti colori, suoni, espressioni, linguaggi che spingono ad incontrare l'altro.
Un altro – spiega Andreini - spesso chiamato profugo, rifugiato, extracomunitario, clandestino, migrante economico, povero, ma che l’Associazione incontra, in primis, come persona.”
Fin dai primissimi anni novanta, Progetto Accoglienza gestisce molteplici attività e strutture, ed opera da sempre in rete con la cittadinanza, le scuole, il terzo settore.
L’Associazione ha aperto, fin dalla sua costituzione, un Centro d’ascolto, di incontro e di distribuzione. Negli anni della crisi questo servizio ha richiesto spazi sempre più grandi.
Nel Centro si tengono, oltre all'ascolto, momenti di formazione e di incontro, distribuzione di pacchi alimentari, vestiti, articoli per l’infanzia, scarpe e quant'altro venga donato e individuato come necessario per le persone indigenti. Lo scorso anno sono state 50 le famiglie aiutate per un totale di 260 persone, alle quali vanno aggiunti più di cento single che si presentano saltuariamente per chiedere sostegni vari.
Se l’Associazione nasce per dare risposte alle questioni delle integrazione dei migranti essa ha allargato il campo ad iniziative nuove, nel cui raggio di azione sono compresi tutti i tipi di fragilità.
Da quest’anno è partito il progetto Zona Franca: uno sportello sociale e legale che andrà a declinare al plurale una serie di servizi aperti a tutti coloro che sono a rischio emarginazione sociale. Si è costituita una fitta rete di partner e collaboratori che comprende gli Enti Pubblici e numerose realtà del Terzo Settore.
Di rilievo è da segnalare il progetto di supporto alla gestione dell’emergenza abitativa: “Agenzia Casa, iniziato nel 2002. Da allora sono stati supportati con più di 200 contratti nuclei familiari e/o single per superare le difficoltà iniziali della ricerca di alloggio.
Negli anni, spiega Andreini, è cresciuto anche il numero delle strutture dedicate all’accoglienza.
Alla prima denominata “Madre dei Semplici”, una casa considerata pilota per i tempi nei quali è nata, nel 1992 (attualmente sono quattro le famiglie accolte) si sono aggiunte altre strutture sparse nel Mugello.
Il cuore dell’Associazione è, però, indiscutibilmente costituito da Villaggio La Brocchi.
Lo si può incontrare facendo qualche curva scendendo proprio da Barbiana, il luogo in cui si è sviluppata la scuola di Don Lorenzo Milani e con cui ha un legame speciale.
Il “Villaggio”, di proprietà dell’Istituto degli Innocenti, era un luogo, chiesa settecentesca compresa, che versava in pessime condizioni all’inizio degli anni novanta. L’idea di ricostruzione, nata da Andreini e da un gruppo di volontari, ha incontrato il supporto della Provincia di Firenze, allora guidata da Michele Gesualdi, allievo prediletto di Don Lorenzo Milani.
Villaggio La Brocchi è diventato un luogo unico, difficilmente raccontabile solo a parole. L’idea davvero significativa è stata di far rivivere quest’area, posta alla periferia di Borgo San Lorenzo, per dare risposte nuove al fenomeno dell'immigrazione, nella direzione di un percorso di cittadinanza e di integrazione. All'interno del Villaggio, nella casa Verso Sud, sono transitate tante famiglie dal 2004 ad oggi. Moltissimi dal 1995 anche i bambini nati, cresciuti nel Villaggio e sostenuti in un percorso di autonomia e di piena cittadinanza.

Spiega ancora Andreini: “all'interno del Villaggio, ora gestito in rete anche con altre realtà, l'Associazione gestisce una biblioteca, un centro di documentazione interculturale e di educazione alla pace, che periodicamente svolge iniziative di insegnamento della lingua italiana, di formazione e sensibilizzazione, soprattutto rivolte ai giovani e alle scuole, in particolare con l’effettuazione di laboratori di educazione alla cittadinanza.”
L'associazione, fra l’altro, ha contribuito alla nascita di un coro multietnico, chiamato “Con-Fusion” che ha visto un suo potenziamento ed ha acquistato una sua visibilità varcando non solo i confini del territorio, ma divenendo esempio di interazione attiva.
Il Villaggio è il contrario di un luogo a sé, chiuso, come tanti centri per “soli” migranti sorti in questi anni.
A Villaggio La Brocchi sono all’ordine del giorno incontri con le scuole, concerti, summer school organizzate da vari Enti, presentazione di libri, proiezione di film, testimonianze significative.
Andreini ci mostra, orgoglioso un album di fotografie.
Sono passati dal Villaggio testimoni esemplari della nostra epoca, ad esempio, ma l’elenco sarebbe lunghissimo, Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Don Andrea Gallo, lo scrittore regista Gabriele Del Grande, Massimo Livi Bacci, Antonio Cassese, Francoise Sironi, Michele Gesualdi, Domenico Quirico, Pietro Bartolo, Alessandra Ziniti e poi ministri, parlamentari europei, scrittori e giornalisti, ricercatori di università italiane e straniere, scuole di ogni ordine e grado, gruppi di formazione giovanile.
Da segnalare anche gli eventi patrocinati dall'UNHCR in occasione della giornata mondiale sul rifugiato e un progetto consolidato come “Alla Ricerca del senso”, attività che consiste in incontri di approfondimento mensili tenuti da un consigliere e mediatore religioso su temi di spiritualità.

C’è poi un luogo speciale, una scommessa, riuscita, controcorrente.
Quando lo visitiamo ci accoglie Sara, rifugiata etiope, cuoca di grandi e riconosciute doti. Porta ancora, oltre ad un sorriso bellissimo i segni dolorosi ed indelebili del suo passaggio attraverso la Libia.
E’ lei la responsabile del ristorante Etnos, riaperto a marzo di quest’anno, dopo un periodo di interruzione. Il ristorante propone un ampio menù che varia dal cibo toscano a quello etnico, alla pizza.
La cucina – spiega Andreini - ha un grande valore di integrazione multiculturale ed è usata anche per corsi di formazione per i beneficiari dei progetti di integrazione e alla cittadinanza. Lo scambio culturale attraverso il cibo, come attraverso la musica, è estremamente produttivo ed unisce le persone provenienti da territori e paesi diversi”.
Certo questi ultimi anni non sono stati semplici.
Anche una struttura che ha dentro di sé, una credibilità consolidata e l’idea di fondo che senza amicizia e integrazione, non ci sono le basi sociali, prima che economiche, dell’accoglienza, ha risentito sia delle pessime leggi, i decreti sicurezza, approvati negli ultimi anni che di un clima generale che ha alimentato paure e pregiudizi.
Non abbiamo partecipato agli ultimi bandi per richiedenti asilo promossi dalla Prefettura, ha spiegato Andreini. I livelli qualitativi si sono così abbassati che risulta sostanzialmente impossibile fornire un accompagnamento reale alle persone e alle famiglie”.
Il rischio, ci viene spiegato è, da un lato, l’abbandono delle persone, dall’altro di favorire le cosiddette “holding dell’accoglienza”. Vere e proprie multinazionali che, come in un grande ipermercato, planando sui territori, senza conoscerne storia e geografia, costruiscono reti di centri medio-grandi facendo leva solo sulla quantità, la riduzione dei costi e la mercificazione dell’intervento. Il risultato è uno spazio sempre più largo tra richiedenti asilo e popolazione, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.
E’ impossibile raccontare efficacemente in un articolo volti, nascite e rinascite, percorsi di riscatto attraverso il lavoro, costruzione di una cultura alternativa ai paradigmi dominanti, professionalità preziose in un’ottica di sussidiarietà positiva. Mentre raccogliamo gli appunti gli occhi cadono su un telaio argentino attraverso il quale si sono recuperati anche a Borgo San Lorenzo, antichi mestieri e antiche competenze. Tra un capo e l’altro del mondo.
Complessivamente in 27 anni, l’Associazione ha accolto 492 persone, 126 nuclei familiari provenienti da 40 Paesi diversi, fra loro, come detto, tanti bambini. Nomi e volti che dalle periferie del pianeta, sono passati per il Mugello a due passi da Barbiana.
Cittadini sovrani a partire da un luogo, proprio come Barbiana, circondato dalle montagne e che non perde la propria coscienza di sé insieme allo sguardo verso l’altro. Un luogo, un villaggio, la cui patria non può che essere il mondo intero.
Per informazioni: www.progetto-accoglienza.org

domenica 20 ottobre 2019

“Scelti dalla vita” e disorientati d’azzurro. Castelleone, Pierre Carniti e noi

Nelle mattine autunnali, prima del ritorno ora solare,  la luce del giorno fa capolino piuttosto tardi.

E’ buio quando esco da casa e mi dirigo ai piedi delle colline dell’Appennino pistoiese, per raggiungere un distributore di metano. Mentre attendo che apra i battenti, calcolo che per raggiungere Castelleone, paese natale di Pierre Carniti in provincia di Cremona, un pieno non mi basterà. Dovrò, uscito dall’autostrada, cercarne un altro di distributore, d'altronde la zona è quella giusta.
Oltrepasso il Vincio e l’Ombrone, i due fiumi che sfiorano casa mia a Gello, frazione di Pistoia. Per un attimo ho la sensazione che sia domenica, ma il traffico della superstrada, che se non girassi si diramerebbe verso l’Abetone, mi ricorda che, invece, è solo sabato.
Provo a re-immaginarmela Castelleone. Quando Pierre Carniti me ne aveva parlato, di sfuggita, in un incontro che avevo avuto nella sua casa sull'Appia, nell’ottobre di sette anni fa, la sera prima di lasciare Roma e il mio impegno diretto nella sede nazionale della Cisl di Via Po per trasferirmi al Centro Studi di Firenze, me la ero disegnata nella mente. 
Mi ero immaginato Don Primo Mazzolari, come mi aveva raccontato Carniti e come avrebbe riportato nel libro pubblicato per i suoi ottant’anni, “Pensiero, azione, autonomia”, raccontare e intervenire nella casa di famiglia, discutere, in amicizia, con il padre di Pierre.
E me la ero immaginata non troppo dissimile dalle terre pianeggianti di mia madre e di mia nonna, vissute, prima di trasferirsi nel capoluogo, nel più piccolo dei tre Mezzani in provincia di Parma, terra di confine e di protestantesimo, ex colonia penale di galeotti, forte della sua parziale extraterritorialità, prima della costituzione del Regno d’Italia, divisa dalla provincia di Cremona da poche centinaia di metri e dal grande fiume.
Terre agricole, in cui da piccolo tornavo spesso, e dove mi facevo raccontare, nella stalla, tra le tante cose, l’alluvione del 1953, la fuga sui tetti delle case e la speranza riportata dal ritorno del sole.
Paesi in cui la terra la senti dentro e la nebbia, ancora oggi, nasconde la strada e i pochi alberi che si stagliano nei campi. Mentre mi avvicino alla meta ascolto per caso Radio Popolare.Trasmettono un'intensa intervista a Mario Deaglio sul suo nuovo libro su Piazza Fontana. Capto il segnale proprio nel momento in cui Deaglio racconta della reazione, in un contesto difficilissimo, degli amici di Pinelli. Parla in particolare di Bruno Manghi (che definisce "futuro grande sociologo della Cisl") che di Pinelli e della moglie Licia era davvero grande amico.Licia, tra l'altro, batteva a macchina ed editava le tesi di laurea degli studenti di sociologia dell'Università Cattolica.
L'intervista e la strana coincidenza un po' mi distraggono.
Quando raggiungo, con qualche difficoltà, non avendo alcun navigatore, il bel teatro di Castelleone, oltrepasso di corsa le bandiere della Cisl Asse del Po e mi fiondo nella sala. Gremita.



Sul palco, presente Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, sta per prendere la parola Aldo Carera, presidente della Fondazione Pastore, non certo un “carnitiano” doc. Sono curioso di ascoltarlo, credo, sinceramente, che sia una delle prime volte che in pubblico svolge una relazione su Carniti.
Anche lui parla di Castelleone. Ricorda i grandi sindacalisti e animatori sociali di queste terre. Non solo Carniti, ma anche Guido Miglioli, Don Primo Mazzolari (se sconfiniamo verso la provincia di Mantova), Paolo Sartori, che fu peraltro avversario leale di Carniti, nella Fisba.
Usa una bellissima immagine: “scelti dalla vita”. 
Non si può essere sindacalisti prescindendo dai luoghi in cui si opera, dalla vita che si vive. E i luoghi del lavoro, le tradizioni, le sofferenze della povertà della sussistenza agricola nella prima metà del Novecento, la durezza della vita nelle cascine, irrompono nel racconto.
Si chiede Carera: che cosa hanno avuto di speciale questi luoghi, pur abbastanza periferici, per “produrre” un numero così ampio di grandi figure che hanno trasformato la sofferenza in emancipazione, la povertà in sete di eguaglianza, la religiosità, non in ribellismo, ma in inquietudine trasformativa, vissuta con profonda laicità?
Viene ricordata la tensione di Don Primo Mazzolari, quel suo: “obbedire in piedi” che anche Carniti aveva conosciuto direttamente e sottolineato spesso nelle proprie testimonianze.
Riprende il professore su come sia impossibile crescere in un ambiente senza sentirselo dentro, anche se, magari si è solo quindicenni, come il Carniti, che probabilmente incrociò un Guido Miglioli che, dopo tante battaglie, nel 1951 si avventurò, proprio nella zona di Castelleone, in un tentativo coraggioso quanto impossibile per i tempi, prendendo parte alle elezioni amministrative con la lista civica: “Avanguardia”.
In quei frangenti, al di là dei politicismi, non si può non tenere presente il confronto durissimo con gli agrari e la tensione/competizione, spesso inevitabile, con i comunisti.


Andando avanti nella biografia sarebbe poi scontato parlare del celebre corso al Centro Studi del 1956, quello in cui, insieme a Carniti, si è formata una parte consistente della futura classe dirigente della Cisl.
E non è banale ricordare che la tesina finale di Carniti in quel corso fu proprio incentrata sulle forme di aggregazione e cooperazione tra contadini e braccianti nel cremonese volte a riequilibrare, almeno un po’, l’enorme differenza di potere con i possidenti agrari.
Vincenzo Saba, direttore del Centro Studi, scriveva di una “generazione particolare”: una generazione che ha sofferto la fame e che ha saputo reagire. Un filo che lega epoche diverse: da Pastore a Carniti.
Carera ricorda che il sindacalista cremonese frequentò, anni dopo, un altro corso a Firenze; la cosa è meno nota.
Si tratta di uno dei primi corsi per i contrattualisti aziendali, uno di quei percorsi formativi che, ci ha fatto presente recentemente Bruno Manghi, la Cisl ha messo in campo in quel di Fiesole anticipando la realtà: la contrattazione articolata si sarebbe concretizzata, infatti, solo negli anni successivi.
Una realizzazione che deve molto, non solo alle linee strategiche della Cisl da Ladispoli in poi e ai percorsi formativi, ma all’azione sul campo, determinata e innovativa, di uomini come Carniti, insieme ad altri fimmini del “rinnovamento”, due nomi per tutti: Franco Castrezzati e Pippo Morelli.
Interessante è la dinamica dei corsi a Firenze frequentati da Carniti, dinamica che Carera riprende da Saba.
Saba, che fu direttore dal 1955 al 1959, ricordava nei suoi scritti e nelle sue lettere che i corsisti erano seguiti attentamente, giorno per giorno. Si formò in quegli anni, una generazione di giovani che, con le proprie specificità, contribuirono anch’essi alla fondazione del sindacato nuovo.
Sta qui una lezione della storia della Cisl da ricordare anche oggi: essere dirigenti in una stagione o nell’altra richiama sempre e comunque a un’identità condivisa. Anche quando si deve competere per essere scelti: nel 1956, ad esempio, su 430 candidati ne furono individuati (e a quanto pare bene) solo 24.
Un altro tema ancora da approfondire è quello della cultura laburista. Una riflessione che Saba ha posto vent’anni fa tracciando il legame tra Pastore, Romani e Dossetti e che Carniti ha seppe poi declinare in forme nuove, anche nella sua esperienza con i Cristiano Sociali. L’obiettivo è costante: saper portare in sede politica i temi del lavoro.
Quando, nel giugno del 2019, scelsi, durante la giornata di storiografia e cultura sindacale, di accostare Pastore e Carniti pensavo, sinceramente, di operare una forzatura, pur calcolata e ragionevole.
D’altronde ricorderò sempre una riunione sui temi dell’arbitrato di una decina di anni fa, nella sede della Fondazione Pastore in via del Viminale. Rappresentavo la confederazione e in quella occasione il compianto, ma particolarmente tagliente prof. Mario Grandi, facendomi imbufalire, esordì così: “Carniti, nel 1983, ricordandosi, per un attimo, di essere un sindacalista della Cisl….”
In realtà Carera, e poi anche Annamaria Furlan hanno sviluppato diversi elementi di continuità tra Carniti e Pastore. Ce n’è un altro che mi convince molto: il saper organizzare la squadra e, contemporaneamente, valorizzare, senza sudditanza, un gruppo plurale di intelligenze.
Come ricordato da Giuseppe De Rita, in una recente commemorazione di Pastore, va colta, anche per la difficile temperie odierna, l’importanza della costruzione di relazioni, dell’aggregare persone che possano aiutare i grandi leader nel trovare risposte valorizzando la collaborazione con chi, anche nel mondo accademico, è attento ai temi sociali e del lavoro.
Davvero, senza cercarne altri più forzati, è questo il grande tratto comune, direi unico tra i due: Pastore e Carniti. Basti ricordare da un lato la creazione del Centro Studi di Firenze e del gruppo di supporto al Ministero del Mezzogiorno e dall’altro l’eccezionale esperienza della rivista Dibattito Sindacale, alla Fim di Milano e il grande sviluppo della cultura cislina durante la segreteria generale di Carniti a cavallo del difficile passaggio tra anni settanta e ottanta del Novecento.
Ci sono ovviamente momenti epocali che sviluppano “cose nuove”. Viene ricordato il bellissimo manifesto della Fim del 1968 e la tensione carnitiana nel riscoprire la dimensione tradeunionistica, il ripartire dalla base per impegnarsi con esigenza per l’incompatibilità e per l’unità sindacale.
Un tema complesso: partire dal potere nella fabbrica per poter affermare un potere reale nella società, a volte etichettato dai critici di Carniti con il termine che, se interpretato alla lettera, a me non è mai dispiaciuto: “pansindacalismo”.
Carera, con gentilezza anche eccessiva, mi cita diverse volte. Riprende da un mio scritto un bellissimo incipit di una relazione di Carniti ad un consiglio generale Cisl del 1977, quello in cui diverrà segretario generale aggiunto di Macario.
Il sindacato non deve: “fare da guardia alle istituzioni”, ma ripartire dalla base, anche quella più povera, arrabbiata, scarsamente rappresentata. Pochi giorni dopo quel consiglio generale Luciano Lama, il mite segretario generale della Cgil, molto stimato da Carniti, verrà cacciato in malo modo dagli studenti e dai movimenti “metropolitani” dall’Università di Roma.
Carera chiude citando un testo di Carniti che non conoscevo, l’intervento del 2013 nel volume degli scritti in onore di Gian Primo Cella, uno di quegli intellettuali a cui l’incontro con il sindacato e con Carniti ha cambiato la vita.
In quello scritto, in un testo pieno di interventi accademici, Carniti ricorda che occorre: “partire dai poveri per capire le cose”.
Torno per un attimo ai miei pensieri.
A mia madre che, proprio alla stessa età di Giulio Pastore, rimane, bambina, orfana del padre, amatissimo.
Alla Resistenza delle pianure della Bassa, non solo quella delle montagne, alla politica e al sindacato, alle generazioni, ai dialoghi interrotti e alle parole nuove.
Intervengono poi i figli Flavio e Pierre jr, che ricorda a tutti l’uscita del bando del premio per i giovani ricercatori dedicato al padre, la sorella di Pierre, in un intreccio di emozioni che è difficile riportare.



Prima delle belle conclusioni, a braccio, di Annamaria Furlan, prende la parola Antonia Carlino, moglie di Giuseppe Garraffo che, con il marito, ha condiviso la stagione della nascita della Cisl Medici e l’amicizia profonda con tutta la famiglia Carniti.
Parlando di questa amicizia e di queste stagioni, intrecciando la Sicilia alla nebbia delle curve tra Castelleone e Crema, Antonia trova un’immagine che mi porterò nel cuore e nell’anima per tutto il viaggio di ritorno: “Koinonia di pensieri”.
Ripenso a questo concetto mentre rileggo un messaggio ricevuto qualche ora prima.
“Fermati, guarda il cielo e… respira”.
Koinonia non è una parola qualunque: significa comunione, mettere insieme, non solo le “cose”, ma se stessi.
Come le prime comunità cristiane.
Se il sindacato continua ad essere questo ha certamente un futuro importante davanti a sè.
I testimoni come Carniti, tra storia e memoria, non devono, però, diventare santini, comodi quanto superficialmente traditi.
Devono aiutarci a remare controcorrente, a scegliere di respirare e, insieme ai poveri, di puntare gli occhi proprio dritti verso le nuvole del cielo.
Non occorre “assaltarle”, basta accorgersi di esse.
Mi accorgo, mentre cerco sempre senza navigatore l’imbocco dell’autostrada che mi riporti ai piedi degli Appennini a Pistoia, che sono nuvole inaspettatamente disorientate d’azzurro.
Un azzurro che riporti a casa con te, persino se hai tante salite e più di una paura, fuori e dentro, da attraversare.
Persino se riparti nell’autunno, piovigginoso, di Castelleone. In un sabato che, anche grazie alla memoria viva di Pierre Carniti, torna a sembrare, altrettanto inaspettatamente, domenica.
Chissà dove si posa la cenere dei sigari, lassù nel cielo.

Francesco Lauria

venerdì 4 ottobre 2019

WE DO! I CARE. Presentazione Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana a Rubiera (RE)


Il filo intrecciato tra la periferia di Barbiana e la bellissima esperienza della cooperazione di comunità nelle aree fragili. Un'occasione di memoria e di progetto. 
A Rubiera (RE), martedì 15 ottobre con la FNP Cisl Emilia Romagna.