mercoledì 30 gennaio 2019

IL SINDACATO ALLA SCUOLA DI DON MILANI (Avvenire, 30 gennaio 2018)


Una bellissima recensione di Roberto Righetto, riportata anche in prima pagina, su Avvenire di oggi del libro collettivo da me curato per Edizioni Lavoro: "Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro".

A ormai un anno dalle celebrazioni per il cinquantenario del Priore, un libro mette in luce come Barbiana sia stata laboratorio per le lotte sindacali degli anni Sessanta e Settanta Vi giuro che vi dirò sempre la verità anche quando non fa onore alla mia ditta Chiesa»: sono le prime parole che don Lorenzo Milani dice agli operai e contadini che partecipano alla scuola popolare da lui creata a San Donato di Calenzano, dove era stato inviato come cappellano nell'ottobre del 1947. Nella parrocchia, che allora contava 1300 anime, aveva trovato un popolo lacerato, di scarsissimo livello culturale, in un clima di feroce spaccatura fra cattolici e comunisti. Lui pensa che il prete deve stare sempre dalla parte dei più deboli e si pone l'obiettivo di lottare contro la povertà, che oltre che di carattere economico consiste nella mancanza di sapere. Di qui la sua iniziativa rivolta a credenti e non credenti, che ha incredibile successo nonostante le critiche di parte del mondo cattolico tradizionale. Lo racconta uno dei suoi primi allievi di Barbiana, Michele Gesualdi, che purtroppo ci ha lasciato un anno fa, in quello che è stato (assieme a L'uomo del futuro di Eraldo Affinati, per Mondadori) il miglior contributo uscito nel 2017 per l'anniversario della morte del Priore, pubblicato dalle edizioni San Paolo col titolo Don Lorenzo Milani. L'esilio di Barbiana. Non è un caso che non pochi allievi di don Milani abbiano seguito la via dell'impegno sindacale come conseguenza diretta dell'insegnamento ricevuto. Diversi di loro, fra cui lo stesso Michele Gesualdi, Agostino Burberi e Paolo Landi, provenivano proprio da Barbiana, altri (come Maresco Ballini, Roberto Romei, Pieraldo Isolani) da Calenzano. Tutti comunque accomunati da due istanze: il desiderio di trasmettere il senso dell'importanza della cultura agli operai e di portare i valori dell'uguaglianza nel mondo del lavoro e delle imprese. Se per questi ragazzi la scuola di vita e di formazione era stata soprattutto Barbiana, il centro studi della Cisl di Fiesole divenne la loro università. Lì impararono le dinamiche dell'economia e dell'imprenditoria per divenire capaci di difendere i diritti dei lavoratori. Proprio a Barbiana molti sindacalisti si recavano per conoscere l'esperimento del Priore e, durante un incontro in cui alcuni di essi si lamentavano per l'esistenza delle gabbie salariali e per le differenze di stipendio fra uomini e donne nelle fabbriche, don Lorenzo sbottò volendoli spronare: «Cos'è che aspettate per eliminarle? Cosa vi pagano a fare i lavoratori?». Il denso rapporto fra la lezione di Milani e ilmondo del sindacato è esplorato in un volume uscito a fine 2018 dalle edizioni Lavoro e giustamente intitolato Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana (pagine 218, euro 16). Volume curato da Francesco Lauria e contenente vari interventi, fra cui quello della segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan, venuto alla luce alla fine delle celebrazioniper la morte di don Milani. Un anniversario che durante il 2017 e nell'anno passato ha visto la pubblicazione di numerosi libri e la realizzazione di convegni e mostre, il tutto culminato con la visita di papa Francesco a Barbiana i128 giugno 2017. Quel giorno Bergoglio fra l'altro disse: «Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c'è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani». l'intuizione della forza della parola, che don Lorenzo scriveva sempre con la "P" maiuscola e in corsivo, fu un concetto riIl sindacato alla scuola di don Milani marcato nel 1983 anche dal cardinale Martini in un intervento all'Università Cattolica. Così come la coscienza che per insegnare a parlare ai suoi ragazzi e ai suoi poveri era indispensabile l'apporto della scuola, una scuola concepita come «modo d'essere e ininterrotto pensare». Lo spiega bene il sociologo Bruno Manghi nel suo scritto, che ricostruisce come la scuola di Barbiana abbia avuto un'influenza precisa sulle lotte sindacali. A partire dalla pubblicazione della Lettera a una professoressa, scritta collettivamente dal Priore e dai suoi ragazzi nel 1967 e pubblicata nel maggio di quell'anno, esattamente un mese prima della morte di don Milani. «Fortissimoannota Manghi fu l'impatto nel sindacato». Tanto che Manghi lega le proposte contenute in quel testo alla successiva realizzazione delle 150 ore per il diritto allo studio. L'idea originaria si deve a Bruno Trentin, il quale però pensava ai diritti legati alla formazione professionale già in vigore in Francia. Ma col passar del tempo prevalse la formula di «una grande forma di educazione collettiva» attraverso il recupero della scuola dell'obbligo. Un'opera cioè di coscientizzazione delle masse che non avevano avuto la possibilità di frequentare la scuola, la stessa che don Milani aveva voluto realizzare a Calenzano attraverso la scuola popolare. «Nel 1975 spiega ancora Manghi si raggiunse l'operatività: i sindacati si impegnarono a fondo in questo ritorno a scuola di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici per almeno un decennio». La parola divenne strumento di conoscenza e dignità, di formazione delle coscienze abbattendo la povertà culturale e spirituale. A sua volta Francuccio Gesualdi, fratello minore di Michele e fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo, nel suo contributo rammenta: «A Barbiana priore ci spronava a pensare e diventava furioso di fronte a chi non sapeva argomentare le proprie scelte». In Esperienze pastorali, libro uscito nel 1958 e sanzionato dal Sant'Uffizio, don Milani ribadiva la sua convinzione che l'inferiorità linguistica, che faceva sì che molti dei contadini e degli operai del tempo non fossero in grado di comprendere la maggior parte degli articoli di un giornale, fosse alla base dell'esclusione culturale e sociale. Ma oggi, sottolinea Gesualdi, nuove forme di analfabetismo si diffondono per la difficoltà enorme di ciascuno a districarsi nella complessità delle informazioni che ci arrivano via Internet, cui si aggiunge spesso la censura mediatica. Come rileva Francesco Scrima, direttore del Centro studi Cisl di Firenze, fino ai primi anni Sessanta il 65% dei ragazzi dagli 11 ai 14 anni limitava il suo percorso di studi alla scuola primaria e nel censimento del 1961 risultavano analfabeti quasi 4 milioni di italiani. Senza oleografie e nemmeno con la volontà di appropriarsi di don Milani rivendicando un rapporto privilegiato, il volume avvia un percorso e una ricerca, quella delle relazioni fra Barbiana e il sindacato, che sino a ora sono state poco indagate, ed è ricco di aneddoti significativi. Come quello su Giulio Pastore, fondatore della Cisl e a quel tempo impegnato in politica, che acquistò decine e decine di copie della Lettera a una professoressa per regalarle a collaboratori e amici. «Cercasi un fine si legge proprio nella Lettera -. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null'altro che essere uomo. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?». Fra i suoi allievi furono molti i sindacalisti. Sosteneva spesso l'urgenza di schierarsi coi lavoratori come atto d'amore essenziale per il cristiano Alla professoressa destinataria della famosa "Lettera" scrive: «In questo secolo come vuole amare se non con la politica, col sindacato o con la scuola?» Don Milani con un gruppo di bambini a Barbiana: il primo a destra è Michele Gesualdi (Roberto Righetto)

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