"Io voglio costruire aerei per la vita, non per la morte". (Elio Pagani)
Esattamente un anno fa usciva, per Edizioni Lavoro la nuova edizione di: "Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro." Una buona parte dei nuovi testi inseriti nel libro hanno riguardato il commento, sempre dal punto di vista del lavoro, di un testo di Don Lorenzo Milani che oggi 2 giugno , giorno dell'anniversario della Repubblica, ci appare quantomai opportuno ricordare: "L'obbedienza non è più una virtù". Nella nuova edizione del volume collettivo abbiamo inserito una lettera bellissima ai giovani di Elio Pagani, perito aereonautico, obiettore alla costruzione di armi, esperto di riconversione dal militare al civile, già delegato e attivista della Fim-Cisl. Un testimone, lavoratore e sindacalista, che ha pagato, a cavallo di anni ottanta e novanta del Novecento, il suo gesto con il licenziamento, ma che continua ancora oggi il proprio impegno sull'obiezione di coscienza, intesa in senso ampio, in particolare con l'associazione Pax Christi. In questi tempi sospesi ha ripreso vigore una riflessione importantissima per il nostro futuro, sintetizzabile in: "No al lavoro per la guerra". Il 26 maggio scorso, ad esempio, si è tenuto un momento di approfondimento sulla questione della commessa dei caccia bombardieri F35 a seguito della presa di posizione espressa dalla Commissione pastorale sociale del Piemonte e Valle d’Aosta: «Sì al lavoro per la pace, no a quello per la guerra e la produzione degli F35». L’iniziativa è stata promossa congiuntamente da Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi Italia, Comunità Papa Giovanni XXIII assieme a Città Nuova, Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Si è trattato, peraltro, della terza tappa di un prezioso itinerario (“La conversione ecologica comincia dal ripudio del lavoro per la guerra e la produzione di armi”).
Elio Pagani
Voglio arricchire questa riflessione, riprendendo un testo di Pippo Morelli, sindacalista e formatore, tra gli ideatori della grande stagione delle 150 ore per il diritto allo studio, parole risalenti a oltre quarant'anni fa. Affermava Morelli: “il crearsi di nuovi interessi e di nuovi bisogni, molti indotti dal consumismo, ma molti nati dalle trasformazioni sociali, sollecitati da gruppi emergenti o da esigenze diverse, comporta spesso un ritorno al privato, con tutte le conseguenze di diminuzione della partecipazione, di calo di consenso alle istituzioni, di partecipazione passiva alle stesse iniziative sindacali. Sarebbe un errore condannare moralisticamente tali fenomeni, valutandoli come una fuga rispetto ai precedenti impegni politici; e non basta parlare genericamente di nuove “qualità della vita”, ma occorre ricercare un nuovo equilibrio tra la sfera del lavoro, quella del privato e quella della partecipazione sociale. In altri termini il classico interesse sindacale al come lavorare (peraltro non ancora risolto se si considerano le condizioni di lavoro nelle fabbriche, il ritorno al gerarchismo, l’inquinamento ambientale, ecc.) si deve spostare al cosa e per chi lavorare.(…)"
Questa riflessione, importantissima, di Morelli può essere attualizzata concentrandoci proprio sul tema dell’intreccio tra il “come produrre” e il “cosa produrre”: una questione centrale in quest’ultimo decennio e che lo sarà ancora di più in quello che è iniziato, solo da qualche mese, così complessamente. Un tema ricordato da chi, nella pandemia, ha giustamente riflettuto, senza alcuna ingenuità, sui tagli alla spesa sanitaria nel nostro paese e, contemporaneamente, sull’esplosione (con sempre meno controlli etici, nonostante la legislazione in vigore) della spesa militare. Don Lorenzo Milani ricordava ai suoi ragazzi, e aveva scritto nella Lettera ai giudici, che i sindacati, in tutto il mondo, erano le uniche organizzazioni ad applicare su larga scala, in particolare attraverso lo sciopero, le tecniche non violente. Quello che è stato dimenticato, forse, fu il supporto (certo non unanime) che i suoi gesti i ricevettero sui luoghi di lavoro. Il sostegno all'obiezione di coscienza fu forte, come testimonia la bellissima lettera di sostegno a Don Milani e Don Borghi da parte dei lavoratori del Nuovo Pignone di Firenze (e di molte altre aziende fiorentine e non solo) e che è stata ripubblicata in Quel filo testo tra Fiesole e Barbiana. La riflessione concreta sull'intreccio tra come produrre e cosa produrre è un passo ulteriore, ancora più scomodo per il mondo del lavoro, ma è, oggi, anche uno dei fondamenti delle scelte decisive per il futuro dell'umanità. Fare memoria rappresenta, quindi, uno strumento di generatività. Quello dell'obiezione a questo modello di sviluppo (a partire dalle spese militari senza controllo) e della riconversione, delle "transizione giusta" a partire dai modelli produttivi, verso un futuro desiderabile ed equo è un grande nodo del nostro tempo, certamente scomodo e difficile, in tempi di crisi economica causata, in tutto il mondo, dall'emergenza Covid 19. E', allo stesso tempo, un tema di impegno appassionante e opportuno che ci consegna, tra gli altri, Papa Francesco. Una sfida rispetto alla quale non possiamo, nemmeno volendo, volgere la testa dall'altra parte.
(Francesco Lauria)
Nessun commento:
Posta un commento