Care Paola, Fabiana, Anna Rosa,
inserisco in copia la mia avvocatessa (siete quattro donne) semplicemente perchè, visti i precedenti, ho timore e presagio che possiate usare questo messaggio contro di me.
Non mi rispondete più nè al telefono, nè, quasi sempre, alle mail (se non per comunicazioni burocraticamente risibili) perciò non posso che rivolgermi a voi pubblicamente.
No, nonostante le due ore dormite negli ultimi due giorni non sono riuscito, maledettamente, a prendere sonno.
Per fortuna mi sono distratto un po' con le notizie, apparentemente speriamo positive, provenienti da Gaza.
Mi sono fatto una doccia, uno shampoo, come avrebbe cantato Giorgio Gaber.
Forse anche due.
Mi manca il respiro, sto male, non riesco a smettere, come un bambino, da ore di piangere. Ininterrottamente.
Non ho problemi ad ammettermi, a farmi giudicare per questo, anche se sono un "maschio".
Mi viene anche, credetemi da ore, da vomitare.
Purtroppo, nonostante, almeno abbia cenato, non riesco, oggi, in questo giorno per me maledetto, nemmeno in quello.
Ieri mattina, vi ho pensato a lungo, a ciascuna di voi tre, mentre, per la prima volta in venti anni esatti, attendevo con il Mattia, il mio sindacalista di fiducia, giunto per me da Milano, senza poter entrare nella sede confederale, umiliato e massacrato nell'anima e nel corpo sul marciapiede di Via Po (mi scappava anche la pipì).
E' vero, per carità, non vorrei mi querelasse anche Claudio, la guardia giurata, anche lui mi conosce da tempo immemorabile: visto che non ce la facevo più mi ha offerto di entrare, solo per andare direttamente in bagno, forse seguito (spero non fin dentro!) da lui.
Non ho ceduto all'umiliazione, ma poi, forse per la tensione, una volta entrato, durante la lunga audizione con Alessandro Spaggiari e Danilo Battista, responsabile del personale e direttore di sede, in bagno ci sono andato, indisturbato.
Una decina di volte.
Tutto questo nella sede di Via Po 21 a Roma, abitata dalle persone che ho stimato, vissuto e incontrato, per anni ed anni.
Quella Via Po 21 ho tutelato, appunto, per anni e anni e che VOI, oggi, care Paola, Fabiana, Anna Rosa (non mi ricordo mai se il nome si scrive tutto attaccato o staccato), dovreste, a vostra volta, tutelare.
In queste concitate ore, non riuscivo a credere ai miei occhi, mi stupiva profondamente constatare che voi tre e magari tanti altri colleghi e colleghe, con cui ho condiviso un'intera vita lavorativa, non foste lì ad accogliermi, ad abbracciarmi, a sostenermi, a incoraggiarmi, a volermi bene.
A farmelo sentire, a "fare chiasso", come avrebbe detto, il compianto (quanto ci manca!) Papa Francesco.
Questo anche al di là di possibili divergenze (lo so non ho mai avuto un carattere facile, ma ho sempre avuto anche, lo sapete bene, un'anima viva e resistente).
Tutto questo, care Paola, Anna Rosa, Fabiana, anche al di là di possibili ripercussioni personali e lavorative.
Vivaddio!
Fare sindacato è anche rischiare per i lavoratori, prendersi denunce,, manganellate, soffrire la fame e la paura nei presidi, incontrare, curare, tutelare, amare la fragilità altrui.
Non è stare borghesemente, vigliaccamente, spudoratamente a guardare mentre i lavoratori e le lavoratrici vengono vilipesi, intimoriti, privati del loro orizzonte di senso ideale e della loro base di sostentamento materiale.
Vivaddio!
Fare sindacato, essere, fare la Cisl è qualcosa di ben preciso, ce lo ha insegnato, decenni e decenni fa, Bruno Manghi, proprio a noi, eredi di Giulio Pastore, lavoratore dodicenne attaccafili.
Fare sindacato è, in qualsiasi latitudine del globo, nel freddo delle steppe e nel sudore dei deserti, nel traffico delle metropoli, far incontrare il pane e le rose, la prosa e la poesia, i bisogni ed i sogni, gli ideali e gli interessi, le aspirazioni e le Speranze.
Far incontrare le persone, renderle meno sole, combattere, ogni giorno, le asimmetrie di potere, nel lavoro, come nella custodia, quotidiana, di una democrazia compiuta, avrebbe detto Aldo Moro.
Fare, essere sindacato, nel contrattare anche con il diavolo, è proprio ascoltare i silenzi e ridare voce a chi non a voce, ritrovando le Parole e la Parola come ci hanno insegnato non solo Don Lorenzo Milani ed i suoi ragazzi cresciuti come sindacalisti, ma proprio Gesù, il Vangelo, la Buona Novella.
Invece no.
Non c'eravate, non c'era proprio nessuno ieri (oggi? è notte fonda) a Via Po 21.
Non avete nemmeno risposto alla mia richiesta di essere osservatrici al mio lungo "processo", privo di alcuni strumenti costituzionali di difesa, quasi come in un regime totalitario.
Non c'eravate, ieri, quando si rivendicava la possibilità di non rispondere nemmeno all'Università di Bologna rispetto alla mia trasferta (nè accettata, nè rifiutata) di lunedì prossimo, 13 ottobre.
Una trasferta dedicata ad una grande, infinita stupenda conquista sindacale, cui ho dedicato la mia tesi di dottorato e un volume pubblicato in tre diverse edizioni: le 150 ore per il diritto allo studio.
Già, anche quella straordinaria e complessa stagione deve oggi essere dimenticata.
Ci sono fior di dirigenti nazionali di categoria (le stesse categorie che avevano inserito le 150 ore, unitariamente, in tutti i contratti nazionali del pubblico e del privato e che ora, di contratto in contratto nazionale, riducono gli spazi per il diritto allo studio delle lavoratrici e dei lavoratori) che dicono che, in fondo, la grandissima conquista delle 150 ore, culturalmente unitaria (Carniti, Benvenuto, Trentin...) era: "roba da Cgil".
Ho pensato a quando, insieme a Paola e Mirella, anni fa, abbiamo, insieme difeso Domenico Dettori, alle sue belle parole pubbliche di questi giorni, proprio il contrario del mio sgomento per il vostro silenzio e la vostra inerzia.
La faccio breve, carissime Paola, Fabiana, Anna Rosa.
Nessuno, vi obbliga, se non ve la sentite (al di là dei vostri burocratici: "la tua situazione non ci riguarda direttamente come Rdp") ad essere rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici, ad essere le mie rappresentanti.
Nessuno vi obbliga ad essere, a vivere il sindacato.
Ad essere la Cisl. Quella vera.
A rappresentare, ascoltare, tutelare, combattere una buona battaglia che non può essere, davvero, solo la mia battaglia.
Nessuno vi obbliga, avrebbe detto Pierre Carniti, citando San Paolo, a: "conservare la fede".
Dimettevi.
Seduta stante.
Credetemi, ci fate una figura migliore.
Francesco Lauria
(quello che ne resta).
P.S. non riceverete più, state tranquille, altre mie lettere. Anche questo indirizzo di posta elettronica, avrà, credo, breve vita.
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