mercoledì 12 novembre 2025

"IL RICHIAMO DELLA (BUONA) STRADA". MASCHI DA RICOSTRUIRE, FERITE E FESSURE DA AMARE

 "L’intuizione di una donna è molto più vicina alla verità della certezza di un uomo".

"Caro San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all'esterno di tante piccole chiese di montagna. Affreschi spesso sbiaditi, ma ben riconoscibili. Tu - omone grande e grosso, robusto, barbuto e vecchio - trasportavi il bambino sulle tue spalle da una parte all'altra del fiume, e si capiva che quella era per te suprema fatica e suprema gioia".

     Alex Langer, Lettera a San Cristoforo, 1990

Raffaele Alberto Ventura si chiedeva, su Domani dello scorso 22 ottobre: "Che cos'è un maschio? Come si deve comportare? In che modo la società si aspetta che si approcci all'altro sesso? Ma soprattutto: dove è scritto, chi ce lo spiega?"

Il giornalista del quotidiano ci suggerisce, come punto di partenza e non di approdo, una riflessione, una lettura davvero interessante: il libro di Manolo Farci, Quel che resta degli uomini (nottetempo).

Scrive Ventura su Domani:

"Essere maschi è di destra? Per quanto suoni assurdo ascrivere un genere intero a una parte politica questa è un'associazione di idee che rischia di imporsi nel dibattito pubblico. Da questo rischio muove il sociologo Manolo Farci nel suo saggio, analizzando come la questione maschile sia diventata uno dei fronti principali delle attuali guerre culturali, in America e poi qui da noi".

Aggiunge il commentatore, molto opportunamente:

"Il vecchio patto patriarcale, che garantiva agli uomini un dividendo di status in cambio dell'adesione a un rigido codice emotivo e comportamentale, è saltato. Oggi l'investimento in virilità - forza, stoicismo, competizione - offre un rendimento decrescente in un'economia che premia competenze relazionali e flessibilità. Ciò che resta è un soggetto smarrito, sospeso tra la nostalgia per un potere che non ha mai davvero posseduto e l'incapacità, per citare Farci, di: inventarsi un copione diverso".

Se, come affermano, ancora opportunamente, sia Farci che Ventura affrontiamo il paradosso che: "la liberazione dai ruoli tradizionali non ha prodotto uomini nuovi, ma un vuoto" non possiamo non renderci conto, con urgenza che nell'era dell'"uomo decostruito, la vera sfida è ricostruirlo".

Come figlio, padre, educatore, formatore, ricercatore mi sono chiesto, in tempi di enormi, pervasivi, invadenti conflitti, chi sono io? Dove sto andando? Chi è l'altro/l'altra per me?

Come sto, come vivo, come respiro: "nella ferita dell'altro/a"?

Davvero credo in un poter per/con e non in un "potere su", in una logica di dominio?

La Vita è fatta anche di incontri, occasioni, feritoie in cui, inspiegabilmente, inaspettatamente, può farsi strada la luce, anche nella sofferenza, nella violenza, nel silenzio, nell'assordante complicità.

Siamo abituati, cito un pensiero che mi è stato, recentemente, donato e affidato a: "fare e parlare troppo... senza chiederci, ma l'altro come sta, davvero, dentro? Cosa lo muove, che cosa sente? Cosa vive?"

Non sempre è semplice capire, soprattutto da maschi decostruiti, impauriti, talvolta inconsapevoli, disabituati all'ascolto, in primis di se stessi e delle proprie emozioni più profonde.

Ma se ci programmiamo più sull'essere (sull'esistere con?) che sul fare, possiamo, forse, accogliere l'altro e imparare a stare meglio anche con noi stessi.

Nel "grande mistero della Vita" si può cadere, anche rovinosamente.

Si può rimanere, nostro malgrado o anche per responsabilità nostra, soli.

Non si può però smettere di interrogarsi, di "cercare la Verità".

Anche il dolore va: "attraversato", non rimosso, non ignorato, non combattuto, non maledetto.

Nel "tempo della performance", noi non siamo i nostri errori, essi non ci: "definiscono".

In questo tempo, grazie ad una persona, ad una donna stupenda che il mistero della Vita mi ha fatto re-incontrare,, sto imparando che: anche la "qualità degli addii" conta.

Occorre anche sapere lasciare andare, co rispetto e delicatezza, che hai amato, nella vita di coppia, come nella missione sociale, nell'orizzonte di senso condiviso, nelle nuvole, nei cieli condivisi, "disorientati" di azzurro.

Il dialogo e il tempo, kairòs o krònos che sia, persino l'attesa, sono i primi "strumenti di Pace" che abbiamo a disposizione.

Solo così si possono attraversare i: "muri del cuore", della paura, della violenza.

Come, in questi mesi, ho provato a spiegare a mio figlio Jacopo, quotidianamente a parole, non sempre riuscendoci con l'esempio, non c'è MAI un tempo opportuno per odiare, nemmeno l'indifferenza.

Al di là, dei titoli, fortunati, lo sosteneva anche Antonio Gramsci.

Se, infatti, in Gramsci, come ben scrive David Bidussa, "Odio gli indifferenti" sono le prime parole che il lettore si trova di fronte, poi il grande pensatore aggiunge subito che: "occorre l'intelligenza, se si vuole provare a cambiare".

Perchè la: "violenza è debolezza", sempre.

Occorre, invece, amare, accompagnare, curare, la fragilità, la vulnerabilità, le ferite dell'altro/.

Pierre Carniti, mi raccontava, mi sussurrava e io lo racconto e lo "grido dai tetti", da anni a tutti/e, in ogni corso di formazione che lui si definiva, soprattutto, dalle proprie "cadute".

Dai voti di estrema minoranza. Dalla solitudine e dalla sconfitta. Dall'esilio.

E' proprio dal pozzo, dal nero del pozzo che si può risalire e ri-generare, ri-generarsi.

Occorre, infatti, saper rigenerare un tempo che, nel presente, e senza dimenticare il proprio passato, le proprie cadute, sa disegnare futuro.

Al fin fine è proprio come Vittorio Foa, definiva dall'estero, con un misto di invidia e sincera ammirazione, la Cisl.

Scriveva Paulo Freire  ne la "Pedagogia degli oppressi": 

"Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, solo gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo. Non sono nel mondo semplicemente per adattarmi ad esso, ma per trasformarlo. Come posso dialogare se proietto sempre la mia ignoranza sugli altri e non percepisco mai la mia?"

Se anche il sindacato deve saper essere, esistere come "comunità educante" anche la formazione non deve, mai: "essere un rito".

Scriveva Pippo Morelli nell'introdurre un testo fondamentale per la formazione sindacale: "Il guscio fragile" di come: "sia più difficile preparare un corso che una relazione, come sia più delicato condurre un'assemblea che fare un comizio, come sia essenziale capire e farsi capire che non firmare un buon contratto".

Affermava Chiara Morelli, al funerale del padre, a Reggio Emilia, con parole scout che mai ho voluto dimenticare: "Ho sognato una strada". E del pezzo di strada fatto insieme metto tre cose nel mio , zaino e non so se sarò altrettanto capace di insegnarle a mio figlio; tre cose per cui vale la pena di spendere una vita:

- la solidarietà, perchè la fatica portata insieme è meno fatica per tutti;

- la giustizia, perchè ciò che abbiamo ci è stato dato e tanto dobbiamo restituire;

- la gratuità, perchè più si da e più ci sarà dato.

Come scrive don Giorgio Basadonna: "non si sta fermi, siamo fatti per camminare, per crescere, per divenire".

C'è, infatti, una lunga, lunga traccia che: "si perde nel cielo, che scavalca il tempo e approda all'eterno".

Ma, intanto, si cammina!

Cantava, scoutianamente, Pippo Morelli con suo figlio e le sue figlie, magari attraversando da Firenze, verso la nostra Emilia, il passo della Futa, schivando l'autostrada del Sole, ora direttissima:

L'appel de la route - Il richiamo della strada

(...) Se il tuo cuore qualche volta è catturato da grandi sogni.

se tu cerchi le forti virtù che ci sollevano,

ben lontano dai sentieri battuti

segui la strada senza tregua.

Ohè, ragazzo, ragazzo,

tu che cerchi, tu che dubiti,

presta l'orecchio alla mia canzone:

ascolta il richiamo della strada.

Tu che conoscesti i molti segreti di questa strada,

i calvari drizzati al cielo, sotto la grande volta,

tu sarai per l'amore di Dio

ogni giorno in ascolto.

Quando la notte avrà diffuso il silenzio nel bosco,

tu ti addormenterai senza paura, pieno di speranza,

e la voce del Signore dentro di te

sarà la tua ricompensa."

Buona strada!

PIPPO e CHIARA (Morelli) - FRANCESCO (Lauria) e... il suo nome è ora: "cosa impossibile da dire", ma è intriso di gioia nel mio cuore, nella mia strada.

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