domenica 9 novembre 2025

"SCARAVOLTARE IL MONDO, ABOLIRE LE TANTE MISERIE". MARIO, BERNARDO, BEPPE, PARMA. E IO.

Il beffardo messaggio di Pino Acocella ("Lauria, lo sanno tutti, è telecomandato dal Pd...") per repulsione ha reso sempre più forte, in me, il ricordo dell’incredibile e, davvero, “matta” esperienza vissuta a Parma, nel corso delle elezioni amministrative del 1998.

Eravamo ancora nel Novecento.

Una città, dal dopoguerra, sempre governata, anche piuttosto bene, per lunghi tratti, dal Partito Comunista (unica interruzione il pentapartito, con il cambio di alleanze del Psi, in piena epopea craxiana nel 1980-1985) si rendeva improvvisamente conto che occorreva pensare ad un’alternativa.

D’altronde erano tempi di pieno bipolarismo e, anche se si era assistito al suicidio assistito del primo Governo di Romano Prodi, cominciava ad essere normale e sperimentata, per i cittadini italiani, l’idea di vivere in un mondo in cui l’alternanza rappresentasse la regola e non l’eccezione.

D’altronde la c.d. seconda Repubblica era stata “battezzata” proprio nella tornata amministrativa di cinque anni prima, nel1993. 

A Parma, successe, in realtà, qualcosa di diverso e più complesso.

Nel centro sinistra si decise di candidare, per il terzo mandato, un notaio, si dice massone, Stefano Lavagetto. Se paragonato alla classe politica di oggi certamente anche lo stesso Lavagetto non può che essere rivalutato, ma allora, almeno ai nostri giovani occhi, egli rappresentava l’iper continuità di una classe dirigente, aristocratica e schizzinosa, in piena crisi di contatto con la realtà e con la città, succube di scelte di partito (anche se il “Partito” ormai non c’era più…) prese a Bologna e a Roma.

Una condizione di minorità, peraltro, poco in sintonia con la “grandeur” frustrata dei cittadini di Parma, la mia città, che si autodefiniscono tutt’oggi abitanti di una: “piccola Parigi”.

Io avrei votato per la prima volta.

Avevo mancato di pochissimo il referendum consultivo che aveva deciso il destino di Piazzale della Pace, piazza cuore della città, bombardata dagli americani nel 1944 e, per decenni, semplice parcheggio di contorno del Piazzale monumentale della Pilotta e del celebre Teatro Farnese, anch’esso fortemente rimaneggiato dai bombardamenti alleati, ma ricostruito, pur con perdite artistiche significative.

I cittadini avevano dovuto scegliere sul progetto di ricostruire una parte dei monumenti bombardati nel 1944 secondo il concetto del: “dov’era, com’era” o su quello di uno spazio verde, all’inglese, con alcuni accorgimenti architettonici, opera dell’architetto ticinese Mario Botta, che avrebbe comunque reso la Piazza uno “spazio pubblico”, fruibile e molto “libero” (e oggi con alcuni problemi di degrado che non possono essere risolti solo con strumenti "securitari"...)

La scelta bocciò nettamente l’idea di conservazione e del dov’era com’era, peraltro zoppicante a causa della possibile ricostruzione, solo parziale, della piazza originaria.

Era un segno del desiderio di cambiamento dei cittadini. Pochi, all’inizio, lo colsero.

La città vedeva un partito–stato in grave difficoltà, il Pds, che esprimeva ben 24 consiglieri comunali su 40 (maggioranza assoluta), che governava in provincia, in regione e a livello nazionale e di cui ben 7 consiglieri, giusto per dare un’idea, erano espressione diretta dell’Arci, gloriosa realtà, che però faceva incetta di commesse culturali, ricreative, sportive, proprio dal Comune.

Ovviamente anche tutti gli autobus dell’azienda di trasporto locale, la Tep, erano assicurati con l’Unipol, come ebbi modo di rimarcare in un confronto televisivo con i candidati sindaci, presso una delle due televisioni locali, cui, proprio fortuitamente, tra tutte le quinte superiori della città, era stata invitata la mia.

Il sindaco Lavagetto veniva dipinto, in gran parte a ragione, come un solitario arroccato presso la “torre d’avorio”, per molti inavvicinabile, garanzia che tutto quello che c’era stato prima, sarebbe continuato.

Il 1998 era stato anche l’anno dello smacco della Stazione Mediopadana dell’Alta velocità.

Seguendo logiche di spartizione politica e non la geografia, infatti, l’ubicazione progettuale della stazione fu spostata verso Est ed assegnata a Reggio Emilia e non a Parma, più baricentrica nel tracciato tra Bologna e Milano.

Un vero smacco per la “piccola Parigi”, defraudata dai postcomunisti bolognesi e reggiani a favore della storica città rivale!

Certo, furono negoziate compensazioni, ma anche gli industriali della città, è bene tenerlo presente, se ne risentirono.

Nel Pds, meglio, nell’allora Sinistra Giovanile, c’erano due persone, due trentenni geniali a guida di un gruppo di ragazze e ragazzi liberi e sfrontati. Un po’ incoscienti, ma assolutamente positivi.

I leaders erano il consigliere provinciale Bernardo Cinquetti (prematuramente purtroppo scomparso nel 2018), bravissimo musicista, dolcissimo e ironico. Uno di quelli che incontri e non dimentichi mai più, tanto sono originali e il consigliere comunale Giuseppe Longinotti, più recentemente resosi famoso con le parodie politiche a Striscia La Notizia, anche autore de Le Iene (ve le ricordate in Cisl?)dalla personalità più controversa, ma forse più politicamente radicato.

 

Bernardo lo incontrai anni dopo, per caso, su una linea secondaria della metropolitana di Parigi, aveva lasciato l’Italia e aperto un ristorante italiano, dove immagino, per anni si è poi bevuto e suonato fino a tarde ore e dove l’atmosfera e il cibo hanno saputo fondersi, creando alchimie irripetibili.

Giuseppe lo abbiamo, appunto, spesso visto sugli schermi, in questi anni, autore televisivo e non solo, in passato tra i cardini, soprattutto dietro le quinte, del programma Le Iene.

Insomma nel cuore dell’Oltretorrente, il luogo storico delle barricate antifasciste del 1922, in vicolo Santa Maria, la sede della Sinistra Giovanile era un crogiolo di giovani parecchio ribelli, anomali per una giovanile di partito, una vera comunità che, alla casella postale attigua del Pds locale aveva, beffardamente aggiunto…: “Cadavere”.

Io non ne facevo parte organicamente. Frequentavo il Partito Popolare (ero un pallido moderato, altro che estremista di sinistra!), ma ero comunque attratto sia da questa bellissima esperienza, sia da una "compagna" che mi piaceva molto e che, ovviamente, era innamorata di Cinquetti o forse di Longinotti, anzi credo di entrambi, pur se a fasi alterne. Insomma non di me.

Al di là di questo, negli anni precedenti, oltre a tanta politica fatta seriamente, ad una “scuola di politica” semipermanente, davvero libera e frequentata, si realizzarono eventi creativi e geniali, come l’”irruzione” (concordata) durante il programma Moby Dick di Santoro (allora approdato a Mediaset) in cui vestiti da duchi di Parma Piacenza e Guastalla, Cinquetti, Longinotti e compagni prendevano in giro il progetto secessionista padano della Lega Nord.

Non paghi organizzarono anche le: “elezioni del pensiero” in Piazza Garibaldi, la piazza centrale della città, come parodia delle finte elezioni autogestite della Lega, quella in cui il futuro leader Matteo Salvini si presentò con l’indimenticabile lista dei “Comunisti Padani”.

Ma quello che riuscì a scardinare un sistema di potere saldissimo che sembrava essere indifferente a tutto e a tutti, fu un’alchimia e una circostanza irripetibile.

Dal basso, pur saldandosi con ambienti diversi della città, la sinistra “creativa” e insoddisfatta dello status quo, rimise in campo una figura leggendaria e unica: Mario Tommasini.

Tommasini era un grande eretico (ricordo che "eresia", significa letteralmente: "scelta") della sinistra parmense

Una figura gigantesca, paladino delle lotte sociali, dei più deboli, in particolare legato alle decennale mobilitazione, guidata da Franco Basaglia, per democratizzare e de-psichiatrizzare la salute mentale (con quanta superficialità ed ignoranza ho visto, recentemente, trattare questo tema nella Cisl!)

Un eretico perché mai si era piegato alle logiche da caserma del comunismo parmense ed emiliano, pagandone carissimi prezzi nel rapporto con la politica, nonostante grandi manifestazioni di stima: un episodio su tutti: in un’occasione, quando venne a Parma, Enrico Berlinguer si rifiutò di passare dal “Bunker”, così era chiamata la sede del Pci di Parma, e si recò direttamente a Vigheffio, da Tommasini, nella fattoria che il leader “eretico” aveva fondato come luogo terapeutico e di riscatto.

Un eretico nel senso "liberante " e "coscientizzante" della bellissima conversazione tra Lugi Zoja e Leonardo Boff: "Tra eresia e verità".

Insomma, in quegli strani mesi del 1998, si saldarono a Parma tre grandi filoni, più qualche altro spezzone civico: il movimento "Libera la Libertà" che candidava Mario Tommasini a sindaco, la Sinistra Giovanile di Cinquetti e Longinotti (cui non riuscì ad opporsi la minoritaria ala “lealista” dei giovani ortodossi del partito) e la lista civica di centro: “Civiltà Parmigiana” guidata dall’ex vicesindaco Dc Elvio Ubaldi, esponente di quella sinistra democristiana che però, in un contesto come Parma, non voleva allearsi con il “cadavere” Pds e il cespuglio Ppi.

Fu una campagna elettorale incredibile: Gli adesivi con scritto: “Mario Tommasini just do it!” invasero la città, insieme a tantissimi progetti ed idee “utopiche”: dai bambini, agli anziani: una città a colori, insomma.

Chiaramente c’è anche una vicenda meno eroica. 

Una parte dei poteri forti della città, sostenne, anche economicamente, sia Ubaldi e Tommasini, capendo che l’occasione di creare e praticare un’alternativa alla sinistra tradizionale fosse davvero più unica che rara.

Tommasini arrivò al 19 per cento. Ubaldi e Lavagetto al 30. Il ballottaggio scatenò la voglia di novità della città e l’ex democristiano stravinse, nonostante il fatto che Tommasini, a differenza di molti suoi sostenitori, decise di non assolutizzare lo strappo e di non prendere posizione, rinunciando quindi ad “incassare” per sé, i risultati di un esito quasi scontato.

Da allora, il centro sinistra a Parma ha quasi sempre perso.

Non ha mai capito la lezione: è rimasto litigioso e, soprattutto, è crollato tutto quel sistema di potere “collaterale” che aveva permesso al Pc e al Pds di “dominare” la città.

Io non ho mai avuto il carisma beffardo, intelligente e poetico di Bernardo Cinquetti e nemmeno l'arguta faccia tosta di Giuseppe Longinotti.

Ma ho, proprio sui temi della salute mentale e della promozione inclusiva della cittadinanza, collaborato, in seguito, con Mario Tommasini.

E' stato un onore immenso, non ho mai interagito con una persona così dolce e così attenta, che ero solito sentire, per consigli, al telefono fisso intorno alle sette del mattino.

Nella testa, mentre ascolto, in questi giorni disperati Don Chisciotte e Cirano di Guccini mi risuona, ripetutamente, una sua frase: 

"Scaravoltare il mondo, abolire le tante miserie..."  

Non parliamo, non parlava solo delle miserie economiche.

Ma anche di quelle morali, spirituali, etiche, relazionali dell'umanità.

Di chi, dopo venti anni, per mera paura o per becero opportunismo rinnega progetti comuni, sogni condivisi, amicizia profonda.

Come affermavano (e praticavano concretamente) proprio Don Lorenzo Milani e Mario Tommasini si può sempre, insieme, spostare il baricentro del mondo, anche di un solo centimetro, verso il bene comune.

Non bisogna mai rassegnarsi, mai cedere all'odio, ma abituarsi al buio, occorre, come fece Don Lorenzo nel puntolino invisibile di Barbiana, far diventare voce (mai solitaria!) il silenzio.

Come riportava il titolo di un bel libro di una quindicina di anni fa, si può fare buona Politica anche senza, per forza, (è una scelta, non giudico gli altri) militare in un Partito.

Sia esso il Pd o altri.

Capito XXX? (No, nel ricordo di Mario e di Bernardo, in questo finale, non meriti più nemmeno di essere nominato...)

Francesco Lauria

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