martedì 18 novembre 2025

"TRA ERESIA, VERITA' E LIBERAZIONE'": LEONARDO E LUANA, EMILIO E BEPPE, FRANCESCO E MATTIA.

"Fino a quando ci saranno persone discriminate e oppresse, avrà sempre senso parlare e agire in nome della teologia della liberazione".   Leonardo Boff

Ieri, davvero inaspettatamente, ho ricevuto un ulteriore contributo, importante, per le mie spese legali. 

Un sostegno ancora, è scritto nel bonifico, in nome ed in ricordo di Emilio Gabaglio, già Presidente Nazionale delle Acli, segretario confederale della Cisl (anche organizzativo), segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati, in questa veste membro autorevole della Convenzione per la redazione della Costituzione Europea, ispiratore ed accompagnatore del percorso che ha portato alla costituzione, a Vienna nel 2006, di un'unica confederazione sindacale mondiale, la Confederazione Sindacale Internazionale (Ituc-Csi).

Non proveniva, questa volta dalla famiglia (moglie, figlie) di Emilio, ma da una figura da sempre vicina alla Cisl ed attiva, a livello apicale, nelle istituzioni europee.

Mi sono chiesto, quasi ossessivamente: Me lo merito? Come faccio ad esserne degno?

Proprio ieri non potevo che non interessarmi alle, purtroppo non nuove, gravi vicende avvenute a Prato, un tiro di sguardo dalla "mia" Pistoia, con i lavoratori in sciopero (aggiungo pakistani, solo perchè nel loro caso abbiamo una doppia, se non tripla discriminazione) picchiati, peraltro in questo caso insieme agli agenti della Digos, dagli emissari violenti e sfrontati dei padroncini crumiri (si, in questo caso cinesi, ma non è, nemmeno a Prato, una prerogativa etnica).

Anche qui mi sono chiesto, che cosa potessi fare, mentre da Pistoia mi dirigevo verso Parma, la mia città natale, dove, peraltro, a detrimento della tutela dei lavoratori e delle lavoratrici e del valore della rappresentanza sindacale, sono successe cose (specifiche) gravissime, proprio nel sindacato, proprio nella Cisl.

Ma soprattutto, mi sono chiesto, pensando a Prato, Pistoia e Parma, come mi hanno insegnato i miei maestri proprio nel sindacato, come posso capire, che posso essere con - essere tra, agire per?

Mi sono ricordato quando, da solo, in macchina, ho percorso la strada secondaria tra Pistoia e Prato, passando per Montemurlo, fermandomi, in silenziosa e lancinante preghiera a Oste, davanti all'orditoio della fabbrichetta tessile, dove ha trovato la morte, infame, anche per la gestione superficiale delle norme sulle salute e sicurezza, Luana D'Orazio. giovane donna di soli ventidue anni, lavoratrice e madre.

Una giovane donna lavoratrice, proprio quella Luana che, durante l'impiego precedente, non come operaia tessile, ma come cameriera in un bar-ristorante, aveva calcato, insieme al padre, i pavimenti della vecchia sede dell'ufficio vertenze della Cisl di Pistoia, in Viale Matteotti.

A Montemurlo sono stato anche successivamente, durante la manifestazione del primo maggio di quest'anno, con mio figlio Jacopo, uno strano (e strambo) primo maggio unitario, ma diviso, dove i "leader" (tra virgolette) delle tre confederazioni si trovavano in posti diversi (pur se collegati con maxischermi) e dove i funzionari (non mi riesce qui, parola diversa) di Cgil Cisl e Uil si allontanavano, quasi tutti/tutte, subito dopo l'intervento del proprio segretario o della propria segretaria generale.

Il primo maggio nazionale a Montemurlo, lo spiegavo a Jacopo, era un "primo maggio blu", perchè invaso da una marea dei funzionari e delegati della terza confederazione sindacale italiana, la Uil, dato che erano previste le conclusioni del segretario generale Pierpaolo Bombardieri, subito dopo l'abbraccio pubblico, e nel caso di Pierpaolo davvero sincero, con Emma D'Orazio, la mamma di Luana.

A Luana, Montemurlo, ha dedicato, in quella occasione, anche una strada.

Mentre, con Jacopo, prendevo ai gazebo una bottiglietta d'acqua sotto il caldo più che primaverile della piana Toscana (quella stessa piana di Don Lorenzo Milani a San Donato di Calenzano...) non riuscivo a non pensare proprio ai miei maestri della Cisl (e forse non solo...) che mi raccontavano, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, come si era sviluppata, dapprima timidamente, l'unità di azione sindacale, a partire dalle aziende metalmeccaniche.

Si convocavano scioperi e manifestazioni in forma rigorosamente separata, ci si trovava ai lati opposti dei marciapiedi, ma si cominciava a marciare, cantare, lottare insieme.

Prima di nascosto e, poi, "gridandolo sui tetti", o magari, nei velodromi.

Non solo nelle piazze e negli scioperi, ma anche attraverso la contrattazione articolata nelle aziende, grande intuizione, poi CONDIVISA, della Cisl.

Seguono quindi gli anni dell’impegno nel sindacato per la "verticalizzazione" (dare davvero il potere alle federazioni di categoria...), l’incompatibilità con le cariche politiche, il superamento delle differenze normative tra impiegati ed operai, sul rinnovamento delle forme di lotta e sull’unità di azione che culminerà proprio con il comizio unitario al velodromo Vigorelli di Milano, non pienamente autorizzato né dalla Fim, né dalla Cisl nazionali e condiviso da Pierre Carniti con il neoeletto segretario generale della Fiom, allora, ancora un po’ impacciato nell’arte oratoria, Bruno Trentin. 

Chi ne avesse voglia può approfondire quegli anni e quelle dinamiche (ma anche quei "sogni vissuti da svegli", "era il tempo della Speranza") in questo mio scritto, sul valore di Pierre Carniti in "questo tempo", prima che, magari per errore, venga cancellatohttps://www.fondazionetarantelli.it/wp-content/uploads/2021/06/Pierre-Carniti_2018-2021.pdf 

Insomma, tornando ad Emilio Gabaglio, una cosa che mi accomuna (lo dico pudicamente) a lui mi è venuta in mente.

Dirigenti apicali della Cisl di oggi, penso al probabile futuro segretario generale nazionale Mattia Pirulli (di altra estrazione ecclesiale) ci hanno sempre messo insieme, scherzando per carità:

"Lauria, Iuliano, Gabaglio, gli ultimi (sottointeso, per fortuna) tre teologi della liberazione nella Cisl!"

E via giù di risate, di superficiali ed estemporanee accuse di estremismo, di patenti, immeritate, di "cattocomunismo". (Gabaglio, quando, successore di Livio Labor, presiedette le Acli, a Vallombrosa, parlò di "ipotesi, opzione, socialista", non comunista!)

Al di là che "liberazione" non dovrebbe essere un termine non disprezzato da Pirulli (certo con altri accoppiamenti lessicali) sono sempre stato orgoglioso di essere, pur ridancianamente, accostato al responsabile internazionale della Cisl Giuseppe Iuliano (uno che, come ha scritto nella sua lettera aperta alla segreteria confederale Cisl per l'apertura di un dialogo nei miei confronti, rimasta desolantemente senza alcuna risposta, ha "servito"/affiancato otto o nove segretari generali della Cisl) e ad Emilio.

Racconta Leonardo Boff, ex francescano, lui sì, grande teologo della liberazione, brasiliano, della sua scelta di diventare sacerdote, nello stupendo libro in dialogo con lo psicoanalista junghiano Luigi Zoja.

Il volume si intitola: "Tra eresia e verità", una conversazione, bellissima, verso l'ecologia e la liberazione integrale

Si tratta di uno dei libri che, ormai da più di una decina di anni, hanno condizionato e ispirato moltissimo la mia attività di formatore, ricercatore e sindacalista. 

Un libro cui il teologo francescano brasiliano racconta, in dialogo con Zoja, che, da grande, voleva fare il camionista. Ma, alla domanda, posta in una Chiesa da un sacerdote tedesco, "chi vuole diventare francescano?", sente una, inaspettatamente, sorta di calore dentro. E, alza la mano.

Fa una scelta, un'eresia decisiva, etimologicamente parlando. 

Si incammina, verso la ricerca, paziente ed ostinata, della Verità.

Un cammino non senza salite, deviazioni, ripensamenti, imperfezioni.

E' bellissimo il passaggio in cui Boff, mentre sta per diventare sacerdote, parla dei propri sogni, non in senso metaforico, ma proprio letterale.

Insomma Leonardo Boff io lo metto insieme a Gustavo Gutierrez e al vescovo dei poveri (con o senza Giubileo dedicato...) Helder Camara.

Ma lo metto, anche, cislinamente, insieme a Pippo Morelli e a Beppe Stoppiglia. A Enrico Giusti. Ad Augusta Restelli...

Non siamo tre, mi dispiace Mattia, siamo una moltitudine, unita nella diversità, nell'amore dell'intreccio delle differenze, come in una huipala, la sciarpa dei popoli indigeni dell'Ecuador da cui, in queste settimane, non riesco, mai, a separarmi.

Siamo una moltitudine che, ancora oggi, si interroga, sopporta le condanne al "silenzio ossequioso" delle varie Inquisizioni, e incontra il futuro, in un kairòs, un tempo opportuno e circolare, magari (altra eresia!) attraverso i tesori nascosti delle culture indigene.

Già, ci sarebbe da scrivere parecchio sul rapporto tra culture indigene e rappresentanza, su una concezione della democrazia, politica ed economica, non solo Occidentale.

Ma, per oggi, come mi dicono in tanti e tante, ho già scritto troppo.

Il (quasi) teologo della liberazione, catto_comunista_indigeno_parmigiano (Mattia Pirulli dixit),

Francesco Lauria

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