venerdì 21 novembre 2025

VERSO IL 25 NOVEMBRE, IL POTERE DELLE PAROLE: ANGELA, RULA E BARBARA (E LORENZO, CARLO MARIA, GIOVANNI, IPSIA...)

“Io non accetterò più le cose che non posso cambiare, io cambierò le cose che non posso accettare.”  Angela Davis                                    

“Se sei libero, devi aiutare qualcun altro a liberarsi. Se hai del potere, allora il tuo compito è aiutare qualcun altro a diventare più forte”. Toni Morrison                        

Mai come quest’anno la ricorrenza del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza nei confronti delle donne, è stampata, intrisa sulla mia carne, per carità, di maschio, bianco, occidentale, pure figlio unico.

Qualche giorno fa, in libreria, non ho potuto, quindi resistere allo sguardo intenso e severo di Rula Jebreal nella copertina del suo libro: “Il cambiamento che meritiamo. Come le donne stanno tracciando la strada verso il futuro” (Tea Edizioni).

In verità questa giornalista pluripremiata, questa scrittrice (saggista e romanziera) e docente universitaria che, ora, dopo aver lasciato prima Palestina/Israrele e poi l’Italia, vive a New York, io la seguo, la leggo e l’ascolto da sempre.

Ricordo bene gli epiteti sessisti che, anni fa, ha subito in diverse nostre trasmissioni televisive da maschi anziani, maschi di potere, privi di qualsiasi pudore, per la sua bellezza indiscutibile che è solo una delle porte di ingresso di una donna eccezionale, orfana di madre a soli cinque anni, impegnata, tra l’altro, del college Dar Al-Tifel a Gerusalemme, fondato e diretto dall’attivista per i diritti delle donne Hind al-Husseini, frequentato quando, fin da giovanissima, alternava lo studio e il volontariato nei campi profughi.

L’introduzione al volume, che si legge tutto d’un fiato e che consiglio a tutti/e, anche in vista del 25 novembre (facciamoli fruttare in senso generativo questi anniversari!) si intitola, donmilanamente: “Il potere delle parole”.

Rula Jebreal sceglie di iniziare il suo percorso attraverso i volti e gli sguardi delle donne con Angela Davis.

Il testo inizia così:

“Nel 1970 una ventiseienne afroamericana finisce nella lista dei dieci principali ricercati dell’FBI. Le accuse a suo carico sono gravissime: cospirazione, rapimento, omicidio. Il suo nome è Angela Davis, classe 1944, originaria di Birmingham, Alabama. La stessa città in cui, in una domenica del 1963, un gruppo di suprematisti bianchi fece esplodere una chiesa uccidendo quattro ragazzine di colore, di età tra gli undici e i quattordici anni. Angela Davis, per la precisione, viene dal quartiere di Dynamite Hill, così chiamato perché le case, chiese e negozi dei neri venivano fatti esplodere con la dinamite dai membri del Ku Klux Klan. 

Nel 1970 la Davis è professoressa associata di Filosofia all’Università della California, oltre che giovanissima leader afroamericana del movimento per i diritti dei neri e del Partito Comunista americano…” (a proposito di eresie 😊).

Il testo di Rula Jebreal, è stato così commentato/recensito: “lancia un appello agli uomini perché si metta fine alla violenza contro le donne” e: “nelle pagine del volume c’è la necessità di prendere posizione oggi, domani, in ogni giorno della nostra vita perché il silenzio davanti all’ingiustizia è complicità”.

Osservavo la copertina e il titolo del libro ieri, presso la bella sala dell’Ambrosianeum a Milano, dove si celebrava il quarantennale di Ipsia, l’organizzazione non governativa promossa dalle Acli, per la cooperazione internazionale, presieduta dal mio amico Marco Calvetto.

Un’iniziativa contrassegnata da un altro titolo importante e che mi ha colpito molto: “I passi, gli sguardi, l’impegno, l’azione”.

Un titolo-manifesto che mi ha ricordato i suggerimenti per l’impegno concreto, indirizzati agli attivisti e alle attiviste dei movimenti popolari da Papa Francesco.

Tornato nella sala, dopo aver sfiorato lo sguardo benevolo, ma altrettanto intenso di quello di Rula, del Cardinale Carlo Maria Martini, su un bel quadro posto vicino all’ingresso, ho ascoltato una lezione importantissima di un’altra donna davvero eccezionale: la professoressa Claudia Mazzuccato, docente di Diritto Penale e Giustizia Riparativa presso l’Università Cattolica di Milano.

La professoressa Mazzuccato era stata introdotta da un’altra donna, giovane e di grande valore, di cui la mia città, Parma, non può che andare fiera, seguendone i passi in tutto il Mondo: la giornalista Rai (e tante, tantissime altre cose…) Costanza Spocci.

La ricchezza e l’intensità dell’intervento, che spero sarà reso disponibile da Ipsia, della professoressa Mazzuccato è impossibile da riassumere in questa sede.

La docente dell’Università Cattolica ci ha mostrato varie immagini, tra cui il simbolo, di grandissimo significato, della Corte Costituzionale del Sudafrica che ci parla non di una giustizia che si ferma alla punizione, ma che si impegna, prioritariamente, nella protezione.

Il simbolo è un albero che ci chiede un gesto difficilissimo: “siamo disposti a stare sotto la stessa pianta con chi ci fa del male?”

Attenzione non è un discorso buonista, tutt’altro.

Pensate a quei territori contrassegnati da conflitti, guerre civili, scontri interetnici, in cui, ad esempio alla fermata dell’autobus, non si può prescindere dallo sfiorare, incontrare lo sguardo di esponenti del “gruppo rivale”, di chi, appunto ci ha fatto e ci fa del male.

Di chi, ad esempio, può aver ucciso un figlio/a.

La docente ci ha chiesto di fermarci, di riflettere sul rapporto con i nostri “altri difficili”.

Nel rapporto con loro, siamo “giustizieri” o “giusti”? Riusciamo a rinunciare sia alla bilancia che alla spada, senza far venire meno, per questo motivo, proprio la giustizia?

“E’ giusto – ci ha chiesto provocatoriamente la docente – fare del male a chi ci ha fatto del male?”

Dopo il complesso di Edipo, Mazzuccato ci ha chiesto di prendere in considerazione il complesso di Caino e ci ha consigliato (e io volentieri mi faccio ponte…) il quadro di Francisco Goya: “I due stranieri o i due fratelli?”

Io, da figlio unico, figlio di figlia unica, a sua volta figlia di figlia unica, padre di un figlio unico, non ne sono un esperto, ma condivido, oltre i confini familiari, la riflessione sottesa: “Il fratello/la sorella è il/la mio/a primo/a straniero/a”.

Tra i tanti insegnamenti della giornata, per una società e una comunità educante e nonviolenta, mi sono portato, in particolare, a casa questo: E’ sempre giusto ascoltare qualcuno/a anche se pensiamo che sia dalla parte del torto”.

Tornando al tema del rapporto con le donne e con la violenza maschile, io oggi sono orgoglioso di terminare, come mero osservatore, l’assemblea nazionale aperta di Ipsia in un circolo Acli milanese, intitolato ad uno degli uomini e dei leader più dolci, intelligenti, inclusivi che mai abbia conosciuto, frequentato, amato in vita mia: l’ex presidente nazionale delle Acli Giovanni Bianchi.

Giovanni (ma quanto, quanto mi/ci manca Silvia…?!) ha scritto, tra i suoi i tanti, un libro prezioso che ci interroga profondamente come sindacalisti e come aclisti, dedicato ad una donna davvero poco considerata nel Vangelo: Dalla parte di Marta”.

Non scorderò, concludo, le scale salite nel 2018, in un appartamento nel centro di Firenze, durante un agosto caldissimo.

Incontravo Barbara von Berger, la giovanissima insegnante di lingue, che, con Adele Corradi (altra grande donna e maestra) affiancava don Lorenzo Milani nella scuola di Barbiana, con le sue metodologie non autoritarie che avrebbero illuminato le scuole popolari e il sindacato nell’introdurre in tutti i settori la conquista contrattuale, scommessa sulla risorsa Tempo/Vita, delle 150 ore per il diritto allo studio.

La mia conversazione con Barbara von Berger che ho incluso nella seconda (di tre) edizione del mio libro: “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro”, era volta (ancora non era stato pubblicato un volume ad hoc, successivo) a dare spazio alle bambine e alle donne di Barbiana, spesso messe in ombra dai maschi (magari diventati sindacalisti) e forse anche da Don Lorenzo stesso.

Barbara, disabile, aveva superato, di slancio, una doppia discriminazione, salendo le strade di montagna del Mugello, all’ombra del Monte Giovi.

Li presentammo in anteprima, i risultati di questa conversazione, in un evento intitolato proprio: “Le bambine di Barbiana” in un 25 novembre, sempre del 2018, che oggi mi sembra lontanissimo nei locali di Via Benedetto Dei, a Firenze, sede della Usr Cisl della Toscana.

Oggi, lo dico con sincerità e so anche che sbaglio (ma siamo esseri umani), non riesco ad aprire, a leggere, a sostenere con lo sguardo e con l’anima, anche per la mia dolorosissima vicenda personale, non solo per quello che in questi mesi, purtroppo, ho imparato provando a specchiarmi in occhi trafitti, crocifissi, ma non sconfitti, vivi, di donna, nessuna delle iniziative/delle parole della Cisl sulla violenza di genere.

Nessuna.

Ma le ferite più dure e sanguinanti e, alla fine, anche il mio libro su Don Lorenzo, come ogni libro (compresi quelli di Rula) è nato da una ferita, possono farsi “feritoie”.

Donare, inaspettatamente un po’ di Pace, Luce, Ri-generazione,…di Giustizia, Riparativa.

Per farlo, però, dobbiamo imparare a guardarci negli occhi, a stare negli occhi dell’altro/a, senza, ovviamente, mai, assolutamente mai, confondere vittime e carnefici.

Senza mai farle sparire dal nostro sguardo le vittime.

Possiamo/dobbiamo rialzarci insieme, uomini e donne.

Respirare, senza soffocarci a vicenda, il respiro dell’altro e dell’altra.

Una Speranza che scrivo e vivo, guccinianamente, nel tempo/istante dell’Aurora: un “sogno che si fa da svegli!”, come ci insegnava Pierre. Il seme e l’albero, come ci insegnano le donne e gli uomini, i progetti, le opere, la visione e i sogni di Ipsia.

Francesco Lauria (maschio e figlio unico in rieducazione…😊 )

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