mercoledì 17 dicembre 2025

IL BUIO, LA LUCE, LA STRADA: DI COSA SONO GRATO A ONOFRIO ROTA (EX SEGRETARIO GENERALE FAI CISL NAZIONALE)

 "(...) Per aprire feritoie nella notte che ci aspetta dobbiamo rischiare di essere pronti al fallimento e percorrere direzioni ostinate e contrarie."                        

Così scrive Guido Maria Brera nell'introduzione a: "La mossa numero 37" , Volume N.1, Chora Media, quadrimestrale diretto da Mario Calabresi.

Pensavo di scrivere un lungo post, anche in parte tecnico, sulla reggenza della Fai Cisl nazionale, decisa ieri, dopo le dimissioni da segretario generale di Onofrio Rota.

Preferisco, invece, un altro approccio.

Con Onofrio, alcuni mesi fa, ho svolto una lunga intervista, forse la seconda più lunga, di quelle che ho realizzato per il mio ultimo, "vituperato", "maledetto" libro: "Prospettive Sindacali".

No, non credo, su questo dissento con alcuni amici, che i sette anni di Onofrio a guida della Fai Cisl, siano stati "solo cinema", con i limiti che abbiamo tutti, lui si è, senza dubbio, impegnato, speso molto.

Incontrare i ghetti, la multireligiosità, la morte senza nome di una donna, la prigionia dei pescatori, i luoghi recuperati, non è stato cinema, anzi, è stato, davvero: "un atomo di verità", ovviamente, insieme, all'azione contrattuale, senza la quale un sindacato cessa di esistere come tale.

Peraltro se, come l'ex segretario generale Fai, affermava nella mia (nostra) intervista contenuta nel libro, la federazione di categoria ha al suo interno 150 nazionalità e 56.000 iscritti immigrati su 124.000, da un lato non può che sperimentare linguaggi diversi (l'ho imparato come formatore europeo e multiculturale in contesti, appunto, plurilinguistici) d'altro non può che essere attenta alle frontiere, ai confini, alle fragilità e, come diceva Onofrio nell'interlocuzione con me, alla "prossimità".

Quando Onofrio Rota, (forse troppo in solitudine, ma quando si perde il potere ci si ritrova sempre soli, ex post) ha scelto di portare la raffigurazione del pianeta: "Gaia" allo spazio recuperato dell'ex scalo merci "Dumbo" durante il congresso nazionale di Bologna, ha scelto, coraggiosamente mentre il mondo e l'Europa stanno follemente andando in direzione ostinata e contraria, la bandiera della sostenibilità che: "alimenta il futuro".

 

Continuava Onofrio nella conversazione, con parole opportune che io condivido al 101%:

"Io dico sempre al nostro gruppo dirigente: ero abituato a fare dieci ore di assemblee nei luoghi di lavoro e non erano soltanto per il contratto, non erano soltanto per i turni, non erano soltanto per i premi di produzione, ma si entrava nei luoghi di lavoro anche per spiegare i cambiamenti sociali che la società vive. Oggi il ruolo del sindacato nuovo che voleva Pastore è proprio quello anche di emancipare il mondo del lavoro, avvicinarlo e connetterlo ai profondi cambiamenti che si vivono e che non vanno subiti. Non soltanto dentro i luoghi di lavoro, ma anche al di fuori"

Ho sempre apprezzato anche la sua conclusione del nostro scambio:

"Oggi il progresso, il benessere che vogliamo così tanto che sia diffuso, che venga bene ridistribuito, ha bisogno di una visione globale; non si possono rincorrere soltanto gli appetiti dei particolarismi, perderemmo di vista i grandi e profondi cambiamenti che stanno aumentando le disuguaglianze non solo nel nostro Paese. Si muore meno di fame però c’è sempre più gente che vive troppo bene rispetto a chi vive invece con limiti oggettivi".

Qualche tempo fa, dopo le mie dimissioni dalla Cisl da iscritto e la conseguente rinuncia dei procedimenti presso i probiviri che avevo intentato (anche contro Onofrio Rota), su un celebre e famigerato, quanto il mio ultimo libro, blog, è stato pubblicato un articolo che mi ha commosso e compreso fin dentro nell'anima.

Un articolo scritto da una persona che ha sempre fatto parte della Fai Cisl e ne ha formato centinaia di dirigenti, alcuni/e, lo sto sperimentando, di uno spessore sindacale e umano unici.

L'articolo, intitolato: "Le organizzazioni non perdono mai", si può leggere qui: 

https://www.il9marzo.it/?p=10861

In quel testo si parla della contrapposizione non scontata, ma frequente, tra persone e organizzazione.

Di come l'organizzazione, la "cosa", se dimentica le persone che, in realtà, dovrebbero essere ragione di vita e di senso, di poesia e prosa, di concretezza e sogno, non ha pertanto ragione di esistere se non nella stupidità e, a volte, nella violenza.

Ho chiesto e mi sono chiesto: che cosa ci spinge a credere ancora nel sindacato? (comunque lo si chiami, qualunque sia la sua sigla, il suo "brand"...)

Come sempre non ho trovato la risposta dentro di me, ma in un dialogo prezioso, illuminante (nel vero senso della parola).

Coerentemente con quanto affermava Rota (e pazienza se con me non è stato coerente, tutti facciamo errori nella vita) il sindacato non può che esistere nelle persone: nei loro occhi, nei loro sguardi, nei loro bisogni, nelle risposte, non solo individuali, ai bisogni.

Ma anche nelle aspirazioni, nel desiderio di dignità e condivisione.

Di  essere, non solo di fare, comunità educante.

Insomma nel mio dialogo mattutino la risposta è stata semplice e vera: "Continuo a credere nel mio stare nel sindacato - ho ascoltato - perchè mi sento utile CON le persone. Basta una luce che accenda il buio. Anche una".

No, non solo parole mie. Sono parole-dono.

Parole vissute, non enunciate.

Sono, poi, grato a Onofrio Rota anche di un'altra cosa.

Di aver valorizzato estremamente, anche qui in direzione ostinata e contraria, le riviste della Fai Cisl e l'archivio storico.

Ho scritto spesso, ma sono legato in particolare ad un articolo in cui parlavo del sindacalista dei braccianti chicani Cesar Chavez.

Delle lotte contrattuali contro le multinazionali dell'uva californiana, ma anche dei computer, per il sostegno alla ricerca di lavoro, nel deserto dell'Arizona alla fine degli anni Settanta (si non avete letto male, gli anni Settanta del Novecento, anno uno era Carniti, per la Cisl...)

Di quel grido: "Si se puede!", fatto proprio decenni dopo, in lingua inglese, da Barack Obama, che veniva dallo stesso orizzonte culturale e associativo, di Chavez, avendo praticato, negli anni Ottanta, il volontariato come avvocato di strada a Chicago.

Sono grato ad Onofrio e a tutta la Fai per aver tramandato questa storia di un "leader sindacale", scomparso all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso che ha ancora tanto da insegnarci.

Sulle lotte nonviolente, ad esempio.

Sulle marce dei diritti, oppure sui boicottaggi, anche di dimensione internazionale, che coinvolgono negozianti e cittadini.

Sul modo di cambiare, radicalmente il potere, anche senza prenderlo il potere.

Sul servizio, non sul dominio.

Modernità imperscrutabile.

No, non scorderò mai, mai l'immagine di Cesar Chavez, insieme a Bob Kennedy, opportunamente ripresa (vabbè nel 2022, grazie al sottoscritto...) dalle riviste della Fai Cisl.

Chavez e Kennedy interrompono, insieme, lo sciopero della fame per i diritti e contro i sindacati gialli e mafiosi, ad esempio degli autotrasportatori.

Lo fanno nutrendosi, abbracciando insieme l'Eucarestia.

No, non serve un sindacato confessionale, men che meno cattolico, in questo tempo, in questo sfrangiato kairòs.

Servono, invece, uomini e donne, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, anziani e anziane che non smettano di: "alimentare il futuro".

Di alimentarsi, compagni e compagne che "spezzano il pane" insieme, cibo della Speranza ("Sogno che si fa da svegli!") per le Persone e anche per l'organizzazione.

Servono persone che abbiano sete di Eucarestia, quotidianamente, comunque la chiamino, anche senza essere formalmente religiosi.

Servono i sogni dei vecchi e le visioni dei giovani.

In questo tempo. 

In questo sindacato, comunque lo si voglia chiamare, basta che: "sia giustizia insieme". Davvero.

Anche perchè, come è riportato nel titolo di un recente e ricchissimo saggio sul nuovo sindacalismo nordamericano, anche erede di Chavez: "We are the Union" - "Il sindacato siamo noi".

Buona strada Onofrio.

Francesco Lauria

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