sabato 23 agosto 2025

A 18 anni dalla scomparsa. Lo scrigno scomodo dei diari di Bruno Trentin. E quelle domande ritrovate del 1990, in parallelo con Alex Langer



Il 23 agosto del 2007 scompariva il grande leader sindacale Bruno Trentin.

Ricordo come fosse oggi la camera ardente nella sede della Cgil e Giovanna Marini cantare tre, indimenticabili, brani durante i funerali laici: "Il tempo delle ciliegie", canzone simbolo della Comune di Parigi, "We shall overcome" e "Bella ciao".

"Lo scrigno scomodo dei diari di Bruno Trentin", pubblicato il 26 luglio 2017 su Conquiste del Lavoro, è forse il mio articolo più citato e ripreso. Ebbi, all'epoca anche la grandissima soddisfazione di ricevere dalla moglie di Bruno, la giornalista Marcelle "Marie" Padovani, un messaggio bellissimo, in cui riconosceva che ero stato uno dei pochissimi, forse l'unico, a comprendere e valorizzare a pieno la controversa operazione della prima, parziale, pubblicazione dei Diari dell'ex leader della Cgil.

Chi aveva vissuto il periodo raccontato da Trentin in quella prima pubblicazione, quello corrispondente all'intervallo 1988-1994, legato alla sua leadership in Corso d'Italia, infatti, non si riconosceva nei giudizi durissimi di Trentin, che, forse, aveva risparmiato un solo sindacalista, per lo più della Cisl, Eraldo Crea.

Penso, solo per fare un nome, ad Emilio Gabaglio che proprio non si capacitava della modalità di descrizione operata da Trentin, pur intimamente, di esperienze europee ed internazionali che avevano vissuto insieme.

Continuo a pensare che questi diari, certamente più di quelli successivamente pubblicati (questa volta in forma non integrale) nel 2021, siano uno scrigno scomodo, maledettamente utile e prezioso per tutti noi.

Un grido d'accusa e d'amore per il sindacato, ma anche una profonda introspezione, la cui severità verso se stesso di Trentin non era certamente inferiore di quella riservata agli altri.

Nel rileggere i miei scritti di Trentin e nel confrontarli con quelli su Alex Langer ho notato una cosa che mi era sempre, colpevolmente, sfuggita e che, a quanto mi risulta, non è mai stata fatta notare comunque da nessuno.

Nel marzo del 1990 Langer scrive delle sofferte ed illuminanti domande a se stesso (verranno ritrovate cinque anni dopo nel suo Pc); nel settembre del 1990 Bruno Trentin, attraverso il suo diario, fa la stessa cosa.

Qui il link alle domande di Alex Langer: https://web.peacelink.it/langer/langer_6.html

Per chi avrà la pazienza di rileggere il mio articolo su Conquiste del Lavoro più sotto sono anche le esigenti e profonde domande che Trentin pone a se stesso...

LO SCRIGNO SCOMODO DEI DIARI DI BRUNO TRENTIN

Come aprire uno scrigno: prezioso, quanto scomodo. E’ questa la prima sensazione che si prova leggendo le oltre cinquecento pagine dei diari di Bruno Trentin, recentemente pubblicate da Ediesse, a dieci anni dalla scomparsa del grande intellettuale ed ex segretario Cgil.

Uno scrigno ricco anche di momenti intimi e semplici, come quando il sindacalista si accorge delle piante germogliate nel suo ritiro di Amelia, in cui racconta della fuga dal temporale che sorprende lui e Marie (la moglie Marcelle Padovani) in Corsica, in cui sospende le sue, spesso amare, riflessioni sulla politica e sul sindacato o magari sulla natura del marxismo, per raccontare di una puntata fugace a Sperlonga. Senza dimenticare, ovviamente, le innumerevoli arrampicate in montagna, partendo dalla base di San Candido, che sarà anche il luogo della sua rovinosa caduta in bicicletta che ne determinerà la lunga agonia e poi la morte.

La pubblicazione dei Diari, curata con grande meticolosità e passione da Igino Ariemma, racchiude, integralmente e senza tagli, le ruvide e affascinanti pagine che accompagnano Trentin durante la guida della Cgil, come segretario generale, durante sei anni decisivi e turbino- si sul piano nazionale ed internazionale: dal 1988 al 1994.

Si tratta solo di una parte dei manoscritti conservati, che vanno dal 1977 all’agosto del 2006 (il momento dell’incidente), con l’esclusione del periodo 1999-2001, poiché il quaderno che conteneva gli scritti di questi due anni fu rubato a Trentin mentre era in viaggio a Parigi.

Il periodo pubblicato accompagna gli anni della caduta del comunismo nei paesi dell’Est e, conseguentemente, del crollo e della frantumazione del Pci e della fine, tormentata, viscosa, illusoria, della nostra Prima Repubblica. Marcelle Marie Padovanì tratteggia, nella sua breve introduzione al testo, gli “anni più difficili” del marito, l’acuta solitudine accompagnata da tre crisi: politica (all’interno e all’esterno del sindacato) esistenziale (con depressioni ricorrenti), di coppia (poi risolta positivamente).

Ma nei diari, come scrive Padovanì, c’è anche, in un contrasto deflagrante e affascinante, la gioia di vivere, l’esistere nell’arrampicare, un amore sconfinato per la lettura (e, a giudicare dalla mole dei diari, anche per la scrittura) di questo “intellettuale sindacalista”, come lo definisce Ariemma.

Nelle pagine di Trentin ci sono i momenti topici della “concertazione” e i tormentati accordi del luglio del 1992 e del 1993, ci sono viaggi di lavoro e di vita, alcuni poetici e profondissimi, come quelli in Messico ed in Sud Africa, e ci sono domande molto attuali, come quelle scritte a se stesso nel settembre del 1990: “Quale partecipazione? Quali rapporti fra la democrazia economica e l’umanizzazione del lavoro? Quale politica dei redditi: con la centralizzazione e la monetizzazione della contrattazione collettiva o con una politica fiscale manovrata? Quale contrattazione collettiva: su quale contenuti e dove? Quale il rapporto tra la difesa e la promozione del godimento dei diritti individuali e la contrattazione collettiva? Quale periodicità della contrattazione nazionale? Quale riforma istituzionale? E al servizio di quale governo dell’economia? Quale il posto dell’umanizzazione del lavoro e della riconversione ecologica nella politica economica dello Stato?”

Trentin anticipa e riflette sulle trasformazioni tecnologiche, le collega, spesso amaramente, con la perdita di potere dei lavoratori rispetto al governo dell’organizzazione del lavoro. Dai temi del lavoro passa spesso alla riflessione sulle diverse nature, di- verse vie del socialismo: sono le pagine che accompagnano, in particolare, il massacro di Piazza Tienanmen, con il suo rifiuto endemico della via autoritaria e totalitaria che soffoca la libertà e la democrazia, innanzitutto del lavoro, e il domandarsi come agire per far vivere, invece, “la via libertaria del socialismo, del primato della liberazione del lavo- ro come nucleo creativo della democrazia”.

Come già accennato, vi è poi tutto il tema della riflessione, amara e tormentata, sul sindacato come soggetto politico, la cui pulsione identitaria risiede nella concretezza del progetto e del programma: quel sindacato dei diritti spesso, anche recentemente, non ben compreso e misconosciuto, con eccessiva leggerezza e superficialità.

Il complesso delle variegatissime, a volte davvero sorprendenti letture di Trentin, puntigliosamente annotate nel diario, è un tesoro immenso per ricostruire il suo percorso intellettuale e, si direbbe, etico esistenziale, non solo per i saggi, ma anche per le novelle, i romanzi, i racconti, citati spesso in francese.

Uno scrigno da cui attingere, anche criticamente, così come, non è mai tempo perduto ripercorrere il solco di un uomo assolutamente unico nel panorama politico e sindacale italiano ed europeo.

Un’Europa, quella federata e sociale, che Trentin “ha nel sangue”, che desidera costruire concreta- mente (e per questo dedica alle burocrazie europee, anche sindacali, affondi durissimi) e che, come gran parte dei veri costruttori dell’Europa, ha maturato dentro di sé, valicando i confini, praticando la Resistenza, inseguendo le orme di un grande padre: Silvio Trentin.

 Gli spunti dei diari sono tantissimi: a partire dalla provocazione, anche per il pensiero di matrice cristiana, dei riferimenti, molto profondi, esigenti, riconoscenti, al personalismo francese.

Sul sindacato ci sono pagine dure e al tempo stesso ancora oggi attuali e interroganti, come la sua risoluta distanza dagli “scimmiottamenti dei partiti politici”, magari con la promozione di iniziative anche in campo legislativo, che possono minare l’autonomia dei soggetti sociali e far rischiare derive corporative.

E’ molto interessante, in tempi come quelli di oggi di disintermediazione ostentata, la sua riflessione su: “nuove regole che contengano nuovi diritti e nuovi doveri” sulla rappresentatività, sulla democraticità interna, sulle iniziative e il radicamento nella società in rapporto ai corpi intermedi.

Appare tuttora illuminante la polemica trentiniana sull’errore sindacale di soffermarsi solo sugli aspetti quantitativi e “salarialisti” della contrattazione collettiva, senza occuparsi sufficientemente della remunerazione della flessibilità, della formazione permanente (altra sua grande e antica intuizione), della professionali-tà, dell’organizzazione del lavoro. Aspetti di quella “libertà che viene prima” che è il fulcro del messaggio del Trentin di questi e dei successivi anni.

La veemenza delle pagine dei diari è riservata ad un sindacato (a partire dalla Cgil) e ad una politica (a partire dal PCI) che mantengono senso e valore solo se protesi ad un progetto, pur non ideologico, di società e che, invece, Trentin, all’apice almeno apparente della sua influenza sulla scena italiana, vede, con grande sofferenza e rabbia, troppo spesso limitati alle strategie e alle tattiche per l’accesso e la gestione del potere per il potere, in una tragica autoreferenzialità.

Il sindacalista, nella sua riflessione sulla sinistra e sul comunismo, è poi molto duro con il moderatismo falsamente riformista, ma anche con le “liturgie del movimentismo”, in particolare di quelle che predicano la “liberazione dal lavoro e non nel, attraverso, il lavoro”.

Si interroga, a cavallo tra anni ottanta e novanta, sulla “crisi del conflitto di classe” e sul “successo culturale e politico” della restaurazione liberale e conservatrice e disegna il profilo dei “nuovi diritti” come condizione culturale, conoscitiva, progettuale di un necessario cambio di paradigma. E’ difficile concordare pienamente con Igino Ariemma, quando, in conclusione del suo breve saggio introduttivo, ci parla dei diari come di pagine prevalentemente di speranza. 

Quello che traspare, in realtà, è un non contenuto tormento, una mai soddisfatta ricerca, un rigore a volte debordante, anche su se stessi. Sta proprio qui la profondità, la preziosità, l’autenticità scomoda di queste pagine: anche i giudizi che appaiono a volte livorosi e non sempre giustificati, si inseriscono in questo contesto: la ricerca di un’autorealizzazione della persona nella società che è percorso mai finito e mai soddisfatto di liberazione. 

Un percorso, è vero, non privo di temporanei “disorientamenti d’azzurro” e che termina, almeno nei diari pubblicati, con uno sguardo al cielo tra i monti: un tempo che tiene e che, almeno per un momento, ci lascia l’immagine finale di un Trentin: “più sereno, più fiducioso”.

Con questa provvisoria pacatezza, le pagine, solo per ora, si chiudono.

Francesco Lauria

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