domenica 24 agosto 2025

ROSSO COME IL CIELO. GENOVA 1971, STORIA DI UN'AMICIZIA E DI UNA RIVOLTA: GLI "ORBI" E IL SINDACATO...


Ma tu ci vedi?

E i colori... come sono?

Sono belli.

Il blu, ad esempio, è come quando vai in bicicletta e il vento ti si spiaccica in faccia. 

Anche toccando il viso di una persona si può capire se è bella o brutta.

Sai, possiamo sentire anche la luna.

"La libertà è un lusso che noi ciechi non ci possiamo permettere!"

"Gli togliamo la cosa più bella che in questi anni si portano dentro: i loro sogni… "

No, non ce l’ho fatta oggi a non pensare a Domenico.

Fra pochi mesi saranno passati cinquantacinque anni dall’occupazione e dalla stupenda vertenza dell’Istituto per ciechi di Genova, David Chiossone.

Un’esperienza che dovremmo raccontare in tutte le scuole, le aule di formazione, e in tutti i luoghi in cui possiamo rieducarci a imparare dalla realtà rivoluzionante dei nostri sogni.

Già, noi ricordiamo gli anni Settanta per lo Statuto dei lavoratori, i diritti civili, magari le 150 ore per il diritto allo studio, il servizio sanitario nazionale, la svolta nella psichiatria. E, certo, anche per le stragi e il terrorismo.

Ma c’è una lotta, una vittoria apparentemente minore, su cui è bene soffiare via la polvere dell’oblio.

Una lotta che ho conosciuto anche grazie al sindacato, meglio ad un sindacalista, un punto di riferimento per la mia vita: Domenico Paparella.

Oggi, guardando i colori della fine dell'estate, non ho potuto non pensare a lui e a quella storia.

Nel 1971 nel nostro Paese i ragazzi ciechi non potevano frequentare la scuola pubblica. La scuola dei “normali”. 

Una legge lo vietava. 

Per loro si aprivano le porte degli istituti e percorsi di vita già preordinati, solo apparentemente “protetti”.

Come Mirco, il protagonista reale della favola cinematografica (Rosso come il cielo) che ha raccontato venti anni fa questa lotta, dalla Toscana, i bambini potevano essere costretti ad allontanarsi di centinaia di chilometri dalle loro famiglie, per arrivare a Genova.

C’è una data: il 5 marzo 1971.

La polizia caricò gli studenti ciechi dell’Istituto Chiossone di Genova e i loro amici. Quella data è un simbolo: significa l’inizio della rivolta degli handicappati, degli emarginati, l’inizio di una lotta per una nuova organizzazione sociale.

C’erano state tre precedenti rivolte negli istituti per ciechi: nel ’68 al “Cavazza” di Bologna, i cui studenti poi solidarizzarono con i compagni di Genova; nello stesso anno anche all’Istituto Configliachi di Padova, dove il movimento fu represso dalla polizia; nel 1970 all’Istituto di Torino, che fu chiuso per il radicalismo della protesta.

Come hanno scritto i ragazzi del Chiossone nel 2011, a Genova, nell’estate del ’71, andò diversamente: scesero in campo e in piazza, in difesa dei giovani ciechi rivoltosi, i consigli di fabbrica, la Flm e il movimento sindacale ottenne la riammissione degli studenti espulsi, le dimissioni del direttore e il commissariamento dell’istituto. 

La lotta aprì una nuova fase che portò al superamento dell’Istituto chiuso, all’inserimento dei ciechi nella scuola di tutti, all’integrazione sociale.

E Mirco, insieme al giovane sindacalista Fim Domenico, fu tra i protagonisti di una rivolta durata alcuni mesi per rovesciare quell’atteggiamento istintivo, così comune nei confronti della diversità che, anche se non di aperta intolleranza, è di imbarazzo e compatimento.

La negazione della libertà che il direttore dell’Istituto, cieco a sua volta, voleva imporre ai suoi studenti.



I ragazzi non vedenti del Chiossone, sostenuti dai consigli di fabbrica, dagli operai dell’acciaieria, da due grandi giovani sindacalisti come Domenico Paparella della Fim e Franco Sartori della Fiom, riuscirono non solo a lottare, ma anche a negoziare per i loro diritti, per liberare le loro vite. 


Una liberazione da quella che Franca Ongaro Basaglia, nell’introdurre il volume dedicato alla vicenda: “Lotte da orbi”, aveva giustamente definito: “falsa tutela e vera violenza”.

Ma non fu solo la storia di una lotta esistenziale, politica e culturale.

Come mi ha spiegato, ormai quindici anni fa, quando, per ricordare Domenico, ho voluto incontrare a Genova molti di quei “ragazzi del Chiossone” Claudio Cassinelli, protagonista della rivolta, poi divenuto responsabile dell’istituto, questa vicenda è anche qualcosa di più.

La storia di un’amicizia. Tra un gruppo di giovani ciechi e un sindacato potente, in una città industriale, un sindacato che sapeva guardare oltre da sè, rappresentarsi, viversi come cerniera e cura nella fragilità.

I ragazzi incontrarono, infatti, nella loro difficile mobilitazione gli studenti della scuola di assistenti sociali, i comitati studenteschi, i consigli di fabbrica e i sindacati - che minacciarono se non fossero stati ritirati i provvedimenti disciplinari contro gli occupanti, di spegnere l’altoforno dell’acciaieria - le comunità cristiane di base, gruppi giovanili dei partiti e dei movimenti.

Mondi diversissimi che aiutarono questi giovani a diventare soggetti del cambiamento, trasformando dapprima il Chiossone e poi frantumando le leggi e le pratiche, spesso arretratissime, sulle scuole differenziali.

Un nuova concezione di scuola per tutti stava, infatti, alla base di quella rivolta.

Mentre immagino Mirco, il ragazzo toscano, divenuto cieco per un tragico incidente a dieci anni, sperimentare le bobine di un vecchio registratore per poi diventare uno dei più quotati tecnici del suono del cinema italiano, penso a Domenico e al suo foglio in cui annotava, da contrattualista, da un lato le richieste dei ragazzi e dall’altro le risposte della direzione dell’Istituto. 

Contribuendo a sciogliere i nodi, uno ad uno.

L’amicizia tra questi giovanissimi e il “sindacato”, i sindacalisti, ci regala l’eco di una battaglia sociale e di riscatto esemplare. 

Gli ultimi si liberano e trovano il sindacato, il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori al loro fianco. 

No, non è un sogno, è la cronaca e la storia di quei mesi decisivi per la vita di molte persone.

Nella mia mente faccio un lungo salto di oltre dieci anni e da Genova mi catapulto a Chicago, nei primi anni Ottanta.

Penso a Barack Obama, giovanissimo avvocato di strada, in un contesto del tutto diverso, fare sostanzialmente la stessa cosa dei ragazzi del Chiossone e della Flm del capoluogo ligure: essere parte di un soggetto attivo e di relazione nel cuore di una comunità che si "auto-organizza", emancipandosi.

"Il passato non ci dà risposte, ma ci aiuta a formulare, meglio, nuove domande..."

Non dimentichiamolo. 

Mai.

Francesco Lauria

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