"E terra e acqua e vento / Non c'era tempo per la paura.
Nati sotto la stella / Quella più bella
della pianura.
Avevano una falce / E mani grandi da
contadini
E prima di dormire / Un padre nostro,
come da bambini.
Sette figlioli sette / di pane e miele a
chi li do?
Sette come le note / Una canzone gli
canterò.
"Francesco, ma come mai prima delle
testimonianze, a pag. 391, hai messo questa canzone, è un errore?"
Quando ho ricevuto questa telefonata dalla casa editrice, poco prima che: “Sapere, libertà, mondo”, il mio libro su Pippo Morelli, grande sindacalista di Fim, Flm e Cisl, andasse in stampa, ammetto di avere abbozzato un sorriso.
Questa stupenda canzone della band
marchigiana dei Gang, dedicata alla vita e al sacrificio dei sette
fratelli Cervi, non era un refuso, ma rappresentava qualcosa, per me,
di intimamente importante.
Quella di Pippo Morelli e
della sua famiglia è, infatti, una storia emiliana, come, in buona parte, la
mia.
Affonda le radici, vale per tutta la mia
terra, nella Resistenza partigiana, in uno spazio, come scrivono i fratelli
Severini, nato: "sotto la stella, quella più bella della
pianura".
Una terra delimitata dal grande fiume
che ne congiunge le province e ne delimita il non invalicabile confine.
La mia generazione, adolescente nella
metà degli anni Novanta del Novecento, è forse l'ultima ad essere cresciuta a
contatto con la memoria viva della Resistenza, fosse essa rappresentata dai
propri nonni o meno.
Ricordo come oggi i vecchi partigiani
cristiani nel complesso dei Giardini di San Paolo a Parma mettere in ordine
documenti e vecchie sedie, rispolverare quadri, racconti e memorie.
Tra quei partigiani, durante la lotta
resistenziale, c'era anche mio nonno Anesio Finardi, scomparso
prematuramente nel 1960, di cui ho racconti molti frammentati dei compagni di
lotta, conosciuti superficialmente, come direbbero gli austriaci, "un
attimo prima del Mezzogiorno".
Ecco, quella canzone dei Gang
rappresenta la centralità dell'esperienza resistenziale della mia Emilia, certo
un racconto spesso non sufficientemente plurale che ha oscurato per tanti
decenni anche le proprie ombre.
E così, accostandolo al sacrificio dei sette fratelli Cervi e di Quarto Cimurri, non è contraddittorio ricordare anche Giorgio Morelli, il partigiano "Solitario", fratello di Pippo. Il primo ad issare il tricolore nella Reggio Emilia liberata, ferito gravemente, nel dopoguerra (nè morirà successivamente a soli ventuno anni) da ignoti sicari comunisti.
Ma ci restituisce anche le intense
parole di Giorgio Morelli, tratte dal suo diario, scritte due giorni prima di
morire, non per mano fascista, ma per mano appunto comunista, una mano fratricida, in
quello che sarebbe stato poi definito, pur tra tante strumentalizzazioni, il
"triangolo rosso", a guerra ampiamente finita.
Scriveva il Solitario: "Ho una
tristezza infinita nell'anima. Quasi un presentimento che debba avvenire
qualcosa di inatteso, di acerbo. Forse questa mia giornata terrena potrebbe non
vedere l'alba di domani. Non mi spaventa la morte. Mi è amica, poichè da tempo
l'ho sentita vicina. (...)
Nell'istante prima del mio tramonto, mi
prenderebbe una sola nostalgia, quella di aver poco donato. Oggi la mia
confessione ultima sarebbe questa: l'odio non è mai stato ospite della mia
casa. Ho creduto in Dio, perchè la sua fede è stata la sola e unica forza che
mi ha sorretto".
Un'eredità non semplice da portare per
Pippo, specialmente nel suo territorio.
Ha testimoniato nel libro Massimo Storchi (era il periodo successivo al terremoto dell’editoriale, datato 29 agosto 1990, del comunista Otello Montanari sulle violenze partigiane del triangolo rosso: “Chi sa parli!”)
"Fu Morelli a chiedermi se avessi
scoperto qualcosa di più sul fratello Giorgio. Il clima a Reggio Emilia non era
semplice, ma lui non aveva quel più di astio, spesso visceralmente anticomunista,
comprensibilissimo e piuttosto diffuso tra i familiari delle vittime della
violenza politica comunista nel dopoguerra. Quello che Morelli cercava, con
grande attenzione e sensibilità, era di conoscere meglio quello che era
avvenuto al fratello, il contesto socio-politico e, ovviamente, anche le
responsabilità. Pippo Morelli era stato capace di rielaborare il lutto. Non gli
interessava il martirologio, ma un confronto aperto, maturo. Gliene sono sempre
stato riconoscente".
Forse è per questo che dalla pianura,
anzi dal grande fiume di mio nonno Anesio, che era di Colorno, le note e le
parole si incamminano verso i monti, attraverso quei “sentieri partigiani” che
Pippo Morelli contribuì a riscoprire proprio all'inizio degli anni Novanta del
Novecento, da vice presidente del Parco del Gigante.
Me li immagino, nonno Anesio, Giorgio,
Pippo, i sette fratelli, Quarto Cimurri, i fratelli Dossetti, Ermanno Gorrieri
e Luigi Paganelli, incamminarsi verso altre terre emiliane che hanno
conosciuto, contemporaneamente, un'immane tragedia e poi un sogno, infinito,
certo a volte contraddittorio, ma genuino, di Pace e Giustizia.
Sì, non è breve, la strada della Pianura
verso le Querce di Montesole.
Ma io me li immagino davvero, insieme, tutti quanti
camminare in salita e incrociare lo sguardo del cielo.
Penso all'esile figura di Don Giuseppe Dossetti che, decenni dopo, li benedice da lontano, con i loro canti...
"E in quella pianura / Da Valle Re
ai Campi Rossi
noi ci passammo un giorno / e in mezzo
alla nebbia
ci scoprimmo commossi.
Sette figlioli sette / di pane e miele a
chi li do?
Sette come le note / Una canzone gli
canterò.
Oggi, nella fine dell’estate del 2025, grazie
alla giovane storica Marta Busani, ho un altro libro “morelliano” da leggere.
Si tratta della biografia di Giorgio
Morelli, il Solitario, edita da Studium.
Una pubblicazione importante anche per riflettere su
una Resistenza ed un antifascismo plurali.
La leggerò a Pistoia dove vivo, in quella che Francesco Guccini ha definito giustamente come la più emiliana delle città toscane.
Dalla città guardo, furtivo, i monti.
Penso, però, anche al mio grande Fiume e
a una lotta per la libertà e la democrazia che molto è costata, ma in cui
tantissimo, pur tra sanguinanti contraddizioni, si è anche donato e amato.
Francesco Lauria
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