Sintetizza l'algoritmo Ai di Google (peraltro davvero esemplare e utile nel riassumere il sempre più complesso "caso Lauria-Cisl") che: "La banalità del male" della filosofa ebrea Hannah Arendt analizza il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann e sostiene che il suo male non derivava da una profonda malvagità demoniaca, ma da un'incapacità di pensare, una pigrizia mentale e un'adesione acritica al sistema, che lo rendevano un "burocrate" efficiente nell'eseguire ordini spesso criminali.
Il concetto di fondo della Arendt evidenzia come il male
estremo possa manifestarsi attraverso azioni ordinarie e come la mancanza di
pensiero critico e responsabilità individuale possa condurre ad atrocità.
Ho riflettuto a lungo se, peraltro proprio nel giorno in cui
si apre la due giorni di formazione formatori sulla partecipazione al Centro
Studi di Firenze, fosse corretto accostare Adolf Eichmann, un criminale
assoluto, all’attuale situazione della formazione sindacale nella Cisl e, in
particolare, al Centro Studi, realizzando un parallelo, ovviamente indiretto,
con una figura, certamente molto diversa come Marco Lai, l’attuale direttore
del Centro Studi Nazionale Cisl di Firenze.
Non fosse altro perché io non ho mai condiviso nulla con
gerarchi nazisti e pensatori neofascisti mentre con Marco Lai, che neonazista
(ma forse anche pensatore) non è, oltre ad averci collaborato per quindici
anni, ho anche co-curato un libro sulla figura del giuslavorista assassinato
dalle Brigate Rosse Marco Biagi e l’incontro-intreccio con il sindacato riformatore.
Devo anche ammettere che quando ho confrontato questa impostazione
con comuni amici (miei e di Lai) formatori e formatrici il consenso non è stato
unanime e ho registrato, al contrario, parecchie perplessità.
Proprio per questo motivo cercherò di essere molto preciso
(fornendo ampia bibliografia di appoggio) e pacato nei toni (spesso da Marco
Lai vengo definito, anche pubblicamente, un “kamikaze”).
Sono state pubblicate, ormai altre una decina di anni fa, due
mie conversazioni con Bruno Manghi e, più recentemente, un contributo scritto del
sociologo torinese in un libro da me curato insieme alla splendida (inteso in
senso generale…) formatrice e storica milanese Adriana Coppola (“Dobbiamo
creare tutto dal nuovo”) che affrontano il tema dell’analisi delle radici,
delle caratteristiche concrete e della visione relative alla formazione
sindacale nell’evoluzione progressivamente complessiva della Cisl.
Del 2012-2013 è, poi, la prima opera che mi ha visto
impegnato al Centro Studi, sotto la direzione di Mario Scotti, firmatario,
peraltro, di un bellissimo (e sinteticamente efficace) appello a Daniela
Fumarola a mio favore che, ad oggi, non ho valorizzato come meritava e che,
ovviamente, a quanto mi risulta non ha avuto alcuna risposta (chi volesse, lo può
leggere qui: https://fiesolebarbiana.blogspot.com/2025/10/carissima-daniela.html
).
Si tratta della ricostruzione della biografia di tutti i
direttori del Centro Studi di Firenze in occasione dei sessant’anni di insediamento
del Centro in Via della Piazzola, sulle colline che, da Firenze, portano a
Fiesole, nella frazione di San Domenico.
Ecco i link per recuperare tutti e quattro di documenti:
Intervista a Bruno Manghi per la rivista Sindacalismo:
https://www.centrostudi.cisl.it/wp-content/uploads/2014/07/20140424163144.pdf
Intervista a Bruno Manghi per Quaderni di Rassegna Sindacale
(non dovrei dirlo io, ma forse il più bello e completo contributo esistente
sulla formazione sindacale nella Cisl…arricchito dal confronto con la formazione
sindacale nella Cgil e utilizzato, come testo portante, in almeno due tesi di
laurea magistrale):
https://www.centrostudi.cisl.it/wp-content/uploads/2014/07/QRS%202%202014%20p_243-276.pdf
Riferimenti al libro: “Dobbiamo creare tutto dal nuovo. Il
divenire della Cisl, fondamenti, incontri, esperienze” (mi raccomando l’edizione
accresciuta del 2022, non quella del 2021!):
https://www.edizionilavoro.it/catalogo/saggistica/studi-di-storia/dobbiamo-creare-tutto-dal-nuovo
“60 anni in Via della Piazzola. Un percorso nella storia del
Centro Studi di Firenze attraverso la biografia dei suoi direttori”:
https://www.centrostudi.cisl.it/formazione/quaderni-del-centro-studi/quaderno-n-21/
Concentrandomi, per brevità ed efficacia, solo sulla
conversazione con Manghi pubblicata in Quaderni di Rassegna Sindacale (che
causò non pochi problemi al coordinatore di redazione, il prof. Adolfo Braga, perché
nel confronto tra Cisl e Cgil, sulla formazione sindacale, quella cislina ne
usciva incomparabilmente più ricca e profonda…) provo a tirare alcune somme.
Sottolineava Manghi nella nostra conversazione:
“La formazione è uno
dei temi, forse il tema in assoluto, che è più caratterizzato in Cisl da una
forte continuità. La storia della Cisl ha avuto certamente evoluzioni anche
molto marcate, ma sulla formazione c’è una continuità straordinaria. È un
tratto che si fonda sull’importanza che la formazione riveste per l’agire non
solo del sindacalista a tempo pieno, ma anche dell’attivista sindacale e del
delegato aziendale”.
Curiosamente, poi, Bruno proseguiva citando il
famigeratissimo (almeno in tempi recenti 😊) libro di Bruno Baglioni sulla storia e la
cultura sindacale della Cisl:
“Come ben ha ricordato
Guido Baglioni (2011) in un suo recente libro – come passa ahimè veloce il
tempo NdR - dobbiamo distinguere diversi
livelli di formazione in Cisl, ma non possiamo dimenticare i famosi corsi di
tre giorni (o meglio di tre sere) che, a tappeto, venivano svolti fin dagli
inizi per comunicare e raccontare i fondamenti basilari della concezione
sindacale cislina. Certo, era una formazione di base, sui principi più che
sulle tecniche della contrattazione, in parte standardizzata, ma che aveva
un’importanza centrale in un’Italia degli anni cinquanta in cui il «sindacato
libero» muoveva i primi passi.”
Ancora:
“L’innovazione di
Pastore e Romani non era scontata, né assimilabile senza difficoltà in quel
contesto temporale, pertanto la formazione, a ogni livello, assumeva un valore
associativo e politico di assoluta preminenza.”
“Subito dopo la
formazione di base dei quadri fu conseguente l’idea della costituzione del
centro studi di Firenze. Occorreva un luogo per la formazione di secondo
livello, della dirigenza sindacale e dei contrattualisti. Firenze nacque e si
radicò con questo preciso compito”.
Proseguendo Manghi comincia ad addentrarsi sui temi della
libertà e della partecipazione attraverso la formazione sindacale:
“Pertanto la Cisl
praticò una duplice strategia per la formazione: da un lato la formazione per
la dirigenza, con il ruolo di Mario Romani e di Vincenzo Saba, dall’altro la formazione
diffusa, che permetteva a tutti di essere protagonisti, di imparare e di
confrontarsi. Era una strategia duplice, ma con un’ispirazione comune e con
aspetti molto interessanti sul fronte partecipativo. Se oggi è scontata una
formazione molto «circolare» e attraverso il lavoro di gruppo, allora non lo
era assolutamente. Quest’ispirazione va al di là della pura metodologia
formativa, incrociandosi con il tema della partecipazione e della libera
discussione, della democrazia deliberativa nell’associazione, per dirla in
termini cislini.”
Il sociologo cislino torinese approfondisce poi il ruolo dei
formatori e delle formatrici sindacali all’interno della Cisl:
“La Cisl, per svolgere
la formazione, ha da sempre sviluppato un nucleo di professionisti delle
attività formative interno all’organizzazione. Questi formatori hanno avuto
un’importanza fondamentale, ma non va dimenticato che non ci si fermò mai a
un’autosufficienza autoreferenziale e si aprirono i corsi anche a tecnici
esterni che operavano nelle aziende, come nel mondo della cultura o all’interno
delle università. Il tema è centrale: la formazione si progetta «in casa», ma
si deve aprire all’esterno”.
Si sviluppa poi il nodo centrale della riflessione manghiana
sulla formazione sindacale Cisl:
“Se pensiamo alla Cisl
delle origini, l’impostazione – che definirei «severa» – della formazione, che
aveva nel centro studi di Firenze il proprio modello principale, prevedeva, in
tempi di non elevata scolarizzazione dei quadri sindacali, anche dei dirigenti,
l’accostamento a libri e documenti, l’ascolto delle lezioni, l’insegnamento
della tecnica nel prendere appunti, colloquio di esame e svolgimento di tesine
in forme simili a quelle di un itinerario accademico.
Si trattava di
un’azione volta a trasformare persone che venivano direttamente dal mondo del
lavoro, per le quali era importante essere introdotte in un percorso di studio
«classico».
Ma lo ribadisco: la
formazione in Cisl, fin dai primi anni, non fu solo questo. La metodologia
della discussione per gruppi si diffuse sin dai primi campi scuola, con una
forte influenza delle esperienze illuminate del mondo cattolico francese che si
erano diffuse in Italia già dagli anni cinquanta, a partire dall’Azione
cattolica, passando, soprattutto in Piemonte, per le esperienze della Gioventù
operaia cristiana (…)
Passando agli anni
settanta, nella Cisl i formatori sperimentarono metodologie più complesse: il
formatore diviene non solo colui che «possiede» la metodologia, ma che la
condivide e organizza l’apprendimento.
Negli anni novanta e
duemila vengono poi implementate altre metodologie di apprendimento, la cui
origini sono collocabili soprattutto in America Latina, in particolare di
apprendimento cooperativo1. Il filo conduttore, a eccezione della formazione
«classica», non è puramente metodologico, ma politico-sindacale. Tutti hanno la
parola e non soltanto uno: la formazione è cellula di un organismo realmente
democratico. Mi riferisco ad esempio, durante gli anni sessanta, ai cosiddetti
club, molto diffusi oltralpe. Penso al club Jean Moulene o al circolo
Tocqueville: l’obiettivo era rifondare la democrazia con i metodi partecipativi
e il confronto. Non va sottovalutato il rapporto tra apprendimento tradizionale
e cooperativo nella Cisl: era importante, per i sindacalisti, anche imparare a
redigere un rapporto, dar conto di una lettura, sviluppare approfondite analisi
sul campo. È questa doppia dimensione a far risaltare un dato interessante: il
valore di una grande libertà nella manifestazione delle opinioni che però si
sviluppava sulla base di un progetto organico. (…)
Un altro tema da non sottovalutare è il ruolo della
formazione sindacale nei rapporti internazionali.
Sottolinea Manghi:
“È un tema trasversale
a Cgil, Cisl e Uil. In particolare per la Cisl, ogni volta che l’organizzazione
si muove, dalla Polonia al Cile, dal Brasile alla Spagna, al Mozambico, più
recentemente alla Birmania, la prima proposta portata avanti è proprio quella
di cooperare nella formazione sindacale. Significativa, nei primi anni ottanta,
è stata l’esperienza della scuola sindacale di Belo Horizonte, per la quale, in
un Brasile che usciva lentamente da una dura dittatura militare e dove la Fiat
si installava massicciamente, si mobilitarono migliaia di metalmeccanici
italiani. Non si possono dimenticare figure di «sindacalisti dei due mondi»
come Enrico Giusti e Alberto Tridente, o la fondazione dell’Iscos,
l’organizzazione non governativa della Cisl. Una storia molto bella è legata
alle esperienze in Colombia, Costarica e in tutta l’America Centrale portate
avanti con la sezione della Cisl internazionale che organizzava i sindacati
dell’America Latina e dei Caraibi. Altre esperienze significative furono quelle
legate al filone del «teatro dell’oppresso» o anche l’inserimento nei corsi più
lunghi di inusuali esperienze di meditazione”.
Un altro tema da affrontare è quello del rapporto tra
intellettuali e sindacato, e tra formazione e ricerca.
Continua Bruno:
“È un’esperienza molto
antica. Penso alle riviste: in casa Cisl, ad esempio, è impressionante la
ricchezza dei periodici sindacali fino alla metà degli anni novanta. Si
trattava di periodici molto aperti all’apporto di intellettuali, accademici e
no. Citerei, fra gli altri, Dibattito Sindacale, Prospettiva Sindacale,
Progetto, Contrattazione. Pensiamo poi alle analisi e ai dibattiti sul fenomeno
industriale o alle discussioni sulla programmazione economica. Rispetto al
rapporto tra formazione e ricerca citerei almeno l’apporto, fin dagli anni
cinquanta, presso il centro studi di Firenze, di intellettuali anche eterodossi
rispetto alla Cisl come Gino Giugni, Federico Mancini, Franco Archibugi. Una
relazione con il mondo intellettuale molto libera. Eravamo così «sicuri» della
nostra casa che non ci chiudevamo in essa: centinaia di studiosi hanno
incontrato, o anche solo sfiorato, il sindacato nel corso dei decenni.” (…)
A metà degli anni duemila Manghi ha fatto ritorno a Firenze,
come direttore, esercitando quindi responsabilità in epoche molto diverse nei
centri studi Cisl. Che fili rossi trarre, quale riflessione sul rapporto fra sindacato
e futuro, e tra sindacato e formazione?
“Data la mia età, la
cosa che resta impressa maggiormente sono le persone, cioè i volti, le storie,
gli incontri, anche qualche scontro. È un impatto umano bellissimo, che
racchiude anche la dimensione della convivialità. Io ho in testa questo
affresco.
Possiamo aggiungere
che la formazione resiste, come richiesta, al di là delle congiunture, perché
fa parte di un processo umano per cui tantissime persone desiderano entrare nei
meccanismi dell’apprendimento. Questo aspetto, nel sindacato, nella Cisl, è
molto forte. La gente ama, in un ambiente amico, mettersi alla prova, imparare
qualcosa, se tutto ciò ovviamente non avviene in maniera opprimente”.
Quali riflessioni, quindi, sul futuro? Conclude Manghi:
“La formazione ha
successo soprattutto perché, in particolare nel sindacato, non è strettamente
un obbligo, ma un investimento volontario.
La formazione, da
adulti, è anche «fatica», si può dire che costituisca un tesoro umano e
professionale inesauribile. Un aspetto più problematico è quanto la formazione
sia realmente collegata alle politiche organizzative. Ovviamente io ho vissuto
il momento della formazione nella prima fase, in cui la Cisl si afferma, poi la
grande espansione del sindacalismo.
Oggi il momento è
diverso, più difficile.
La formazione rischia
di creare nelle persone attese che non si verificano: è la grande questione
della gestione dell’apparato sindacale. Mentre la formazione di chi in azienda
vuole restarci, perché ad esempio è una Rsu stimata, ha meno problemi, la
formazione di chi sta per diventare sindacalista a tempo pieno (o è già a tempo
pieno) è molto delicata, se non è accompagnata da una politica di gestione e
sviluppo del personale sindacale adatta.” (…)
Per concludere sinteticamente (avverbio inversamente proporzionale
a Francesco Lauria…), al di là delle questioni contingenti e lo scontro,
durissimo, direi esistenziale e valoriale, tra me e Marco Lai di questi ultimi
mesi, il tema di fondo, in coerenza proprio con gli insegnamenti di Manghi, è
questo:
LA FORMAZIONE SINDACALE NELLA CISL E’ UN TENTATIVO DI VITA E
VISIONE DI UNO SPAZIO AUTENTICO DI LIBERTA’ E NON LA TRASMISSIONE, PIU’
FREQUENTE IN ALTRE ORGANIZZAZIONI SINDACALI CONFEDERALI, ARIDA ED IRREGIMENTATA
DI UNA: “DOTTRINETTA”.
Se si smarriscono la democrazia interna, la trasparenza, il
dibattito pubblico, una conseguente politica, individuale e organizzativa, dei
quadri (Pippo Morelli docet…) la funzione della formazione sindacale viene,
inesorabilmente, drammaticamente meno.
Si fanno strada, invece, direbbe invece la Arendt, “la
mancanza di pensiero critico collettivo e di responsabilità individuale”.
E, magari addirittura senza accorgesene, si lasciano
compere, con la banalità del male, vere e proprie atrocità verso la storia, la
cultura, le idee forza, la passione competente della storia della Cisl e della
formazione sindacale.
Massacrando, peraltro, quella “persona umana” che si
vorrebbe salvaguardare, accompagnare, “curare”, elevare attraverso la sua “coscientizzazione”,
avrebbe detto Paulo Freire.
Pensateci, care formatrici e cari formatori cislini, mentre,
in questi giorni, vi incontrate, scambiate esperienze, competenza e sorrisi, e
ricevete, in comode pillole e in sessioni per lo più frontali, la “dottrinetta”,
magari attraverso comode dispense (una l’ho, inopinatamente anche scritta io
con Emmanuele Massagli…).
La libertà non si racchiude, carissimi e carissime, in una
mano sola, ma abbraccia il mondo intero.
Francesco Lauria
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