Faceva freddo, questa mattina a Vipiteno. Cinque gradi e un vento gelido, la neve di ottobre sullo sfondo.
Ho pensato a
lungo ad Alex Langer e, al suo ultimo assistente, l’amico Uwe Staffler, mentre
mio zio Tonino tirava fuori orgoglioso dal garage la sua Fiat 500 d’epoca blu.
Ha raccontato
Uwe, in un paio di conferenze sul costruttore di ponti, valicatore di muri Alex
Langer, eventi che abbiamo tenuto a Prato e a Pistoia, insieme al terzo incomodo prof. Marco Deriu, che Langer utilizzava, da viaggiatore leggero, quasi sempre il
treno.
Quando proprio
era obbligato si serviva della sua Panda bianca, credo a metano, totalmente spartana,
non accessoriata. E, soprattutto, guidava malissimo!
Abbiamo
faticato un po’ (e, lo ammetto, la 500 d’epoca non dovrebbe essere Euro 6…) a salire
i tornanti che, dal centro di Vipiteno (Sterzing) paese natale di Alex Langer, il
pacifista cristiano che fu capogruppo dei Verdi Europei al Parlamento di Bruxelles-Strasburgo,
portano alla piccola frazione di Telves.
Lì, in una
tomba semplicissima, condivisa con altri, riposa Alex, scomparso quando era più
giovane di me, il 3 luglio 1995, a Pian dei Giullari, a Firenze, con un
terribile e non ancora del tutto spiegato suicidio.
Ho pregato
un po’ sulla tomba di Alex prima delle inevitabili foto di rito.
Mentre una
lacrima di commozione si faceva strada sulla mia guancia destra, scherzo del
destino, mi ha telefonato il comune amico (mio e di Alex) Michele Nardelli,
altro grande, eccezionale “viaggiatore leggero” nella solitudine, nelle
solitudini della politica.
Scesi di
nuovo a Vipiteno ci siamo recati nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, per l’eucarestia
in lingua italiana.
Dopo aver
sorpassato un cartellone, bilingue, sulla Laudato sì, la sorpresa.
La chiesa
gremita e l’altare drammaticamente spoglio. Non c’è più Don Giorgio a dire
messa alla Chiesa di Santa Maria Maddalena, travolto dall’inchiesta per
pedofilia e molestie voluta coraggiosamente dal vescovo di Bolzano e che lo ha spinto lontano,
per fatti, molto gravi, risalenti ad un anno prima del suicidio di Alex, il 1994.
Si tiene
comunque la liturgia della parola, si legge il Vangelo, si canta e si prega insieme.
Mentre lascio la chiesa, le parole del primo mattino, ascoltate nell’incontro di Spiritualità delle Acli nazionali in avvicinamento della Marcia Perugia Assisi risuonano nella mia mente (il prossimo 12 ottobre, non manchiamo in questo tempo frantumato, mettiamoci in cammino, questa volta aderisce persino la Cisl!).
Se Alex firmò
l’appello: “L’Europa muore o rinasce a Sarajevo”, oggi è il tempo di dire, urlare,
incendiarsi di amore nelle piazze e gridare sui tetti: “L’Europa muore o rinasce a Gaza”.

"Pensa agli
altri", non ha bisogno di commenti, va letta e riletta, proclamata,
introiettata, vissuta, dipinta, danzata.
Penso, sinceramente, che anche io muoio e rinasco nella gelida, un po' aristocratica e un po' contadina, Vipiteno-Telves.
Davanti alla
tomba di un suicida e a un altare domenicale nudo, senza eucarestia.
Nella
fragilità di chi ha ancora voglia di accogliere e rigenerare la Speranza (sogno che
si fa da svegli!), “pensare agli altri” e, come ha esortato Alex, nel suo
ultimo, drammatico, biglietto trilingue a Pian dei Giullari: “continuare in ciò che era giusto”.
Non da soli,
però... (Francesco Lauria)
"Pensa agli altri"
di Maḥmūd Darwīsh (poeta palestinese)
“Mentre prepari la tua colazione,
pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli
altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua,
pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa
tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti,
pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le
metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli
lontani, pensa a te stesso,
e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio”.
فكر بغيرك
Chi era Maḥmūd Darwīsh
Scrive Salvatore Galeone: nato in
Palestina nel 1941, Darwīsh è stato un
poeta, scrittore e giornalista prolifico. È noto per essere stato membro dell’Autorità Nazionale Palestinese e
per aver militato fino alla fine in difesa della sua terra natia, sebbene abbia
vissuto la maggior parte della sua vita in esilio.
È lui l’autore della celebre
“Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato Palestinese”.
Il dolore del distacco dalla
Palestina ha sempre accompagnato la sua produzione letteraria. Le ventiquattro
raccolte di poesie da lui composte sono amatissime dai lettori arabi, e
trattano temi quali la patria perduta, la guerra, la disillusione e la perdita della
propria identità.
Le poesie di Darwish tradotte in lingua italiana sono pochissime in confronto alla vasta produzione dell’autore palestinese. Fra le opere presenti nel nostro paese, segnaliamo “Una trilogia palestinese”.
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