Succede a volte che il destino ti riservi incroci fortunati.
Erano forse tre anni che non ci vedevamo con padre Arnaldo de Vidi, il missionario saveriano direttore della rivista Cem Mondialità, quando, per caso, sinceramente non ricordo esattamente il tragitto, condividemmo un viaggio su un treno regionale.
Se non erro, sono passati quasi venti anni, padre Arnaldo aveva già, di fatto, lasciato la direzione della rivista e si apprestava a tornare in missione in Brasile, dove, peraltro, ho omesso ieri, ha collaborato anche con la Fim (Fu Impresa Memorabile) Cisl (lasciamo perdere...)
Il mondo era scosso dalle reazioni del discorso di Papa Benedetto XVI° a Ratisbona, eravamo nel settembre 2006.
Ratzinger, nella sua Baviera, aveva sostenuto il forte nesso con il pensiero filosofico greco del cristianesimo, attraverso la sintesi tra Fede e Ragione.
C'era stato poi il passaggio, nel controverso e complesso discorso del Papa, sul rapporto tra Violenza e Natura di Dio, con la critica alla religione musulmana, attraverso il dialogo tra l'imperatore bizantino Manuele il Paleologo e un dotto persiano, dove si esprimeva un giudizio critico sull'uso della violenza per diffondere la fede nell'Islam.
Quest'ultimo passaggio che sembrava delineare un automatismo proprio tra Islam e violenza (dimenticando, peraltro, secoli e secoli in cui il cristianesimo si era imposto pesantemente con la spada), scatenò durissime reazione nei paesi musulmani e il "dispiacere" del Papa tedesco.
Padre Arnaldo era rimasto molto, molto perplesso dal discorso di Ratzinger, certamente, pesavano su di lui i durissimi trascorsi da cardinale di quest'ultimo, quando, a capo dell'ex Sant'Uffizio era risultato fondamentale e particolarmente punitivo nella reiterata condanna teologica di Papa Giovanni Paolo II rispetto alla teologia della liberazione, nelle sue varie forme.
Una delle critiche più severe di padre Arnaldo e Papa Benedetto era la totale, quasi per lui perversa, "occidentalizzazione" del cristianesimo e del cattolicesimo.
Un grave errore di fondo, secondo il missionario veneto, causa di strabismo e di non aderenza alla Parola.
Padre Arnaldo mi fece un esempio:
"Ricorderai la parabola dei pani e dei pesci. Qui in Occidente detta della "moltiplicazione".
In Amazzonia la narrazione è diversa, più aderente al Vangelo.
Gesù, non moltiplicò, infatti, proprio nulla.
Nulla di nulla.
Se non una cosa: la "fiducia".
E lo fece ottenendo il superamento della paura.
La paura della condivisione.
Ognuno infatti, aveva un pane e un pesce, anche di più, tra coloro che erano accorsi ad ascoltarlo.
Ma ogni persona temeva di essere tra i pochi ad essere dotata di cibo e che, tirando fuori il mangiare dalla sacca, gli altri, affamati, la potessero aggredire.
La Parola di Gesù, scioglie, invece, la paura.
E così si scopre che il cibo c'è, ed è abbondante, anche se non deve essere sprecato.
Il miracolo di Gesù non è quindi quello individuale del capitalismo della crescita infinita, mi disse padre Arnaldo, ma quello collettivo della circolarità dell'essere compagni e compagne, coloro che, letteralmente, "spezzano il pane (e puliscono i pesci), insieme."
E così, in questa ottica, quasi due millenni dopo, che due grandi maestri come Don Lorenzo Milani ed Ermanno Gorrieri ci hanno spiegato che: "NON si possono fare parte uguali tra disuguali".
Il valore spirituale, politico ed economico dell'uguaglianza, nasce da un'economia della fiducia e della felicità cooperativa, un'economia di comunione, in sintesi.
Il capitalismo neoliberale non è l'unica via, non è vero, come affermavano Ronald Reagan e Margareth Thatcher, negli anni Ottanta del Novecento, che non esistano alternative.
Le alternative ci sono, magari diverse, perchè il concetto di ricchezza e povertà, ad esempio, non può essere lo stesso a Parma rispetto ad Antananarivo o a Belem.
"Ma non solo - concluse padre Arnaldo, prima di raccogliere i suoi libri e scendere dal treno:
tutto questo ci dimostra che, se è vero che c'è una sola Verità, (non siamo dei relativisti!) esistono tanti modi, tanti cammini, tante culture, tanti doni, tante comunità ("cum munus") attivabili per raggiungerla, o, almeno, per camminare verso di essa."
Nella postfazione al mio libro: "Sapere, Libertà, Mondo. La strada di Pippo Morelli", Ivo Lizzola, nel paragrafo "La parola e il potere", sottolinea che:
"Nei luoghi di parola, di ricerca e di orientamento, di confronto e discussione (come dovrebbe essere il sindacato NdR!), occorre vivere la franchezza di quello che Raimòn Panikkar avrebbe chiamato: "dialogo dialogale", non orientato a convergere, all'uniformare, tanto meno al vincere sulle ragioni dell'altro; piuttosto teso a fare vivere nella agorà della parola spostamenti di visione e posizionamento, processi di approfondimento e scoperta di legami tra pensieri e aspetti diversi, ampliamenti delle prospettive. Sempre un po' incompiuti, ma nella consapevolezza del valore delle differenze, con ridisegni di proposte, di strategie e di posizionamenti organizzativi e personali".
Rimasi solo sul treno. Cominciava anche a fare buio, forse anche un po' freddo, indossavo solo una maglietta.
Ma quella conversazione e quel saluto mi hanno accompagnato silenziosamente e opportunamente per venti anni.
In ogni gesto, in ogni respiro, in ogni percorso, personale, sindacale e politico.
Fino ad oggi.
Francesco Lauria

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