È difficile descrivere la forza mite di Alexander Langer, la sua modernità, il suo parlare alle coscienze e agli uomini e alle donne di oggi.
Lo voglio ricordare con un suo articolo scritto del 1987, a vent'anni della scomparsa di Don Lorenzo Milani su Azione nonviolenta.
Affermava Adriano
Sofri su Repubblica nel 2001 commentando proprio questo scritto di Langer:
“La questione è: chi è il
nostro prossimo?” (Sofri ha scritto più recentemente un bel libro proprio su
questo passo del Vangelo).
“Più ordinariamente: a
quali (e quante) persone possiamo dedicarci? Noi viviamo con e per una cerchia
di persone che consideriamo "i nostri", più o meno intima, più o meno
ampia, più o meno mutevole nel tempo. Però ci portiamo dentro – scriveva Sofri
- un'aspirazione adolescente a esistere con tutti e per tutti, un rimpianto per
l'universale condivisione umana.
Questo desiderio poetico o immaturo, a piacere, è uno fra i moventi della politica militante e di altre forme di dedizione volontaria. Io avevo un grande amico, Alexander Langer, che nell'estate del 1995 si uccise lasciando poche parole: una citazione evangelica, e una dichiarazione di invincibile stanchezza”.
DON LORENZO MILANI CI DISSE: DOVETE
ABBANDONARE L'UNIVERSITÀ
1.6.1987, Da "Azione nonviolenta", giugno 1987
Quando ero studente all'Università di
Firenze, scoppiò in quella città la polemica tra don Lorenzo Milani (esiliato a
Barbiana, dall'arcivescovo Florit) ed i cappellani militari, capeggiati da un
profugo istriano che si diceva essere vicino al MSI.
I preti con le stellette avevano
definito "viltà" l'obiezione di coscienza, allora punita senz'altro
con il carcere, ed avevano approfittato se ricordo bene dell'anniversario del
Concordato lateranense tra Fascismo e Vaticano per riconfermare la loro
vocazione statalista, patriottica e di appoggio alle gerarchie militari. Don
Lorenzo Milani aveva risposto a loro su "Rinascita", guadagnandosi
insieme al direttore responsabile della rivista comunista un processo.
Personalmente ero fortemente tentato
dall'idea dell'obiezione di coscienza, ed al tempo stesso spaventato dal
rischio carcerario che essa avrebbe comportato: per intanto avevo risolto il
problema con il rinvio per motivi di studio.
Ovviamente il "caso don
Milani" e la sua presa di posizione sull'obbedienza che non era più una
virtù mi colpivano profondamente ed esprimevano una posizione morale ed
esistenziale in cui anch'io mi riconoscevo. Volevo sapere di più su don Lorenzo
Milani, e venni informato di un suo libro uscito qualche anno prima e tolto
dalla circolazione per disposizione dell'autorità ecclesiastica (sempre il
medesimo Florit, succeduto al tollerante e lungimirante cardinale Dalla Costa,
che era stato molto venerato da Giorgio La Pira).
Mi feci dire il modo di procurarmi quel
"samizdat": bisognava andare alla Libreria Editrice Fiorentina, in
via Ricasoli, individuare un certo libraio e dirgli con sguardo complice:
"sono uno dei ragazzi di don Lorenzo e dovrei prendermi il suo
libro"; cosi feci, dopo di che ricevetti regolarmente una copia di
Esperienze pastorali, tolta dall'armadietto dei veleni.
Era per me un libro di difficile
lettura, perché fortemente ancorato - anche nel linguaggio - alla realtà
toscana, dove per esempio gli operai godevano di un prestigio sociale
infinitamente superiore a quello dei contadini: tutto il contrario del
Sudtirolo, e quindi per me quasi incomprensibile, come molte delle parole usate
nel libro ("i pigionali", per esempio).
Ma avevo capito una cosa determinante:
che don Lorenzo Milani aveva deciso di voler parlare "ai poveri" e
che per poterlo fare doveva prima "dare loro la parola": cosi aveva
deciso di fare scuola, come presupposto essenziale di evangelizzazione. Caduto
in odore di filo-comunismo, era stato tolto dalla circolazione, come il suo
libro: mandarlo a Barbiana, significava renderlo muto ed isolato. Con un amico
andai a trovarlo, dopo lo scoppio della polemica sull'obiezione di coscienza.
Ci ricevette nella sua canonica, rubando un po' di tempo ai ragazzi ed alla
scuola.
Due tra le cose da lui dette mi sono
rimaste particolarmente impresse.
"Dovete abbandonare l'Università.
Voi non fate altro che aumentare la distanza che c'è tra noi e la grande massa
della gente non istruita. Fate piuttosto qualcosa per colmare quella distanza.
Portate gli altri al livello in cui voi vi trovate oggi, e poi tutti insieme si
farà un passo avanti, e poi un altro ancora, e cosi via. Ma se voi continuate a
correre, gli altri non vi raggiungeranno mai.
So bene che potrete trovare altri anche
preti! che vi diranno il contrario e che vi troveranno mille buone ragioni per
continuare i vostri studi e per diventare dei bravi medici o giudici o
scienziati al servizio del popolo. Ma in realtà sarete al servizio solo del
vostro privilegio per curare le nostre malattie e per decidere le cause nei
tribunali ci bastano i mercenari pagati, non c'è bisogno di voi". (Non lasciammo l'Università. Ma demmo inizio ad un
doposcuola a Vingone, presso Scandicci, basato sul volontariato di parecchi
universitari, e frequentato prevalentemente da figli di immigrati meridionali).
"Io so come andrà al giudizio
universale. II Signore Iddio chiamerà, insieme a me, davanti a sé il rettore
del collegio... dei gesuiti a Milano. Dirà al rettore: "vedi, tu sei stato
sempre con i ricchi. Hai fatto le loro stesse letture, hai condiviso la loro compagnia,
sei stato loro commensale, hai educato i loro figli non puoi non essere
diventato come loro. Hai sbagliato tutto, credendo magari di fare bene. Hai
chiuso gli occhi davanti a coloro che rappresentavano me, e ti sei immedesimato
nei loro oppressori. Guarda invece don Lorenzo che e qui accanto a te: lui ha
scelto unilateralmente. Lui ha capito che non si possono amare concretamente
più di 3-400 persone, ed ha scelto i poveri, i suoi campagnoli. Si e messo
dalla loro parte, ha condiviso il loro mondo. Questo io vi avevo comandato, e
tu non hai voluto ascoltare".
Ma siccome il Signore è buono, alla fine
gli darà un calcio nel sedere e lo farà entrare nel paradiso, mentre io entrerò
con tutti gli onori. Capite? Se voi state con i ricchi, non potete non diventare
come loro, se non lo siete già".
Ad un certo punto don Milani aveva proibito l'accesso a Barbiana a tutti quelli che avessero
un titolo di studio superiore alla terza media, a meno che non fossero chiamati
esplicitamente da lui e per una funzione precisa (a me capitò solo una o due
volte). Tra le rare eccezioni c'era un'anziana ebrea boema, laureata in
matematica, sopravvissuta al periodo nazista grazie all'aiuto di amici toscani
che l'avevano tenuta nascosta in montagna.
Marianne Andre arrivava a Barbiana a
piedi, con il suo zaino, e stava ad ascoltare in grande modestia, parlando solo
quando veniva invitata ad esprimersi. Diventammo amici e scoprii che aveva
conosciuto mio padre. Dopo la morte di don Milani decisi di tradurre Lettera a
una professoressa in tedesco e di cercare un editore (che ho trovato in
Wagenbach), associando a questa impresa in particolare per la revisione del
testo tedesco anche Marianne Andre, che ne era molto felice.
La ragione del suo privilegio a Barbiana
aveva una spiegazione semplice: era una perseguitata, che già aveva perso tutti
gli altri suoi privilegi legati alla sua istruzione e condizione sociale.
Due cose mi avevano sempre incuriosito e
non convinto in don Milani, ma non ho mai trovato il coraggio e l'occasione di
chiedergliene ragione. Avevo tentato di chiederlo, dopo la sua morte, a sua
madre (che era sopravvissuta a lui, e che non si e mai fatta battezzare), ma mi
ero poi arrestato sulla soglia di queste due domande, che quindi rimangono senza
risposta.
Avrei voluto capire quale eredità don
Milani aveva ricevuto e conservato dall'ebraismo, che lui aveva abbandonato per
convertirsi ad un rigoroso cattolicesimo. Ed avrei voluto domandargli la
ragione della sua (eccessiva, secondo me) fiducia nelle grandi aggregazioni (la
chiesa, la DC, i comunisti, il sindacato...), e della sua diffidenza e forse
disprezzo per le minoranze (i "filo-cinesi", il Psiup di allora, gli
"estremisti", le minoranze laico-radicali...).
Avevo capito che lui credeva molto nelle
grandi culture popolari e nella necessita che le idee forti si facessero strada
in modo non elitario tra le grandi masse. Ma ho sempre avuto il sospetto che
questa impostazione facesse in qualche modo violenza alla sua stessa storia,
tutta quanta: dalla sua origine, al suo cammino nella chiesa fiorentina, fino
all'esilio di Barbiana ed a quell'ultima sua disperata attesa di un cenno di
riconoscimento e di apprezzamento da parte del suo vescovo e persecutore, il
cardinale Florit.
Forse la prima domanda riceve
implicitamente risposta dalla seconda, e dalla legge formale della chiesa,
vissuta con la tenacia del "popolo della legge" e con la caparbietà
di un profeta che vuole indurre le corti ed i sommi sacerdoti a cambiare
strada."
Non limitiamoci ad omaggiare Langer e Don Milani, ma ricominciamo a interrogare e a interrogarci.
Grazie Alex, grazie Don Lorenzo. Continuiamo a lottare: "per ciò che è giusto".
Francesco Lauria
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