venerdì 22 agosto 2025

L'obbedienza non è più una virtù. No al lavoro per la guerra: la sfida del "cosa produrre"



"Io voglio costruire aerei per la vita, non per la morte".
(Elio Pagani)

Esattamente sei anni fa usciva, per Edizioni Lavoro, la seconda edizione di: "Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana. Don Milani e il mondo del lavoro”, testo collettivo da me curato e che raggiungerà una terza versione, ulteriormente riveduta ed ampliata, nel 2023.                                         

 Una buona parte dei nuovi testi inseriti nel libro nel 2019 hanno riguardato il commento, sempre dal punto di vista del lavoro, del testo di Don Lorenzo Milani "L'obbedienza non è più una virtù".                                                                               

Nella seconda edizione del volume collettivo abbiamo inserito, tra l’altro, una bellissima lettera ai giovani di Elio Pagani, perito aereonautico, obiettore alla costruzione di armi, esperto di riconversione dal militare al civile, già delegato e attivista della Fim-Cisl.                           

Un testimone, lavoratore e sindacalista, che ha pagato il suo gesto, a cavallo di anni ottanta e novanta del Novecento, con il licenziamento e che continua ancora oggi il proprio impegno sull'obiezione di coscienza, intesa in senso ampio, in particolare con l'associazione Pax Christi.        

Per un approfondimento ampio, quanto recente, sull’azione e la visione di Pagani si rimanda a questo link sul sito Peacelink: https://www.peacelink.it/storia/a/50638.html

Per una riflessione più generale sull’obiezione di coscienza alle armi e il rapporto con il lavoro si veda, invece https://www.farodiroma.it/no-alle-armi-storie-di-obiezione-di-coscienza-allindustria-bellica-laura-tussi/

In questi tempi imprigionati dalla logica e dall’economia di guerra ha ripreso vigore una riflessione importantissima per il nostro futuro, sintetizzabile in: "No al lavoro per la guerra".    

Una riflessione caratterizzata anche da gesti concreti e coraggiosi, si pensi agli esplosivi e ai cannoni bloccati, anche in queste settimane, dai “camalli” nel porto di Genova.  

Su quest’ultimo aspetto si veda, in particolare, l’interessantissimo approfondimento, anche giuridico, pubblicato a fine luglio da Il Diario del Lavoro: https://www.ildiariodellavoro.it/lobiezione-di-coscienza-dei-lavoratori-contro-le-armi-parla-lavvocato-danilo-conte-un-manifesto-per-il-diritto-del-lavoro-della-pace/                                                                

Voglio arricchire questa riflessione, riprendendo un testo di Pippo Morelli, sindacalista e formatore, tra gli ideatori della grande stagione delle 150 ore per il diritto allo studio, parole risalenti a quasi cinquanta anni fa.

Affermava Morelli: “il crearsi di nuovi interessi e di nuovi bisogni, molti indotti dal consumismo, ma molti nati dalle trasformazioni sociali, sollecitati da gruppi emergenti o da esigenze diverse, comporta spesso un ritorno al privato, con tutte le conseguenze di diminuzione della partecipazione, di calo di consenso alle istituzioni, di partecipazione passiva alle stesse iniziative sindacali.

Sarebbe un errore – continuava il sindacalista emiliano - condannare moralisticamente tali fenomeni, valutandoli come una fuga rispetto ai precedenti impegni politici; e non basta parlare genericamente di nuove “qualità della vita”, ma occorre ricercare un nuovo equilibrio tra la sfera del lavoro, quella del privato e quella della partecipazione sociale.

 In altri termini il classico interesse sindacale al come lavorare (peraltro non ancora risolto se si considerano le condizioni di lavoro nelle fabbriche, il ritorno al gerarchismo, l’inquinamento ambientale, ecc.) si deve spostare al cosa e per chi lavorare (…)"

Questa riflessione, importantissima, di Morelli può essere attualizzata concentrandoci proprio sul tema dell’intreccio tra il “come produrre” e il “cosa produrre”: una questione centrale, in particolare, in questi ultimi quindici anni, ed ancora di più in questi ultimi tre, caratterizzati dall’esplosione estrema della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e dalle tentazioni di convertire non dall’industria bellica, ma nell’industria bellica.

Il tutto a seguito del vertiginoso aumento delle spese militari, imposto dall’amministrazione americana e supinamente ed acriticamente accettato dalle cancellerie della “vecchia Europa”.

E’ noto che Don Lorenzo Milani ricordava ai suoi ragazzi, e aveva scritto nella Lettera ai giudici, che i sindacati, in tutto il mondo, erano le uniche organizzazioni ad applicare su larga scala, in particolare attraverso lo sciopero, le tecniche non violente.

Quello che è stato dimenticato, forse, fu il supporto (certo non unanime) che i suoi gesti ricevettero sui luoghi di lavoro. Il sostegno all'obiezione di coscienza fu forte, come testimonia la bellissima lettera di sostegno a Don Milani e Don Borghi da parte dei lavoratori del Nuovo Pignone di Firenze (e di molte altre aziende fiorentine e non solo) e che è stata ripubblicata, proprio, in Quel filo testo tra Fiesole e Barbiana, fin dalla prima edizione.                                                                                        

La riflessione concreta sull'intreccio tra come produrre e cosa produrre è un passo ulteriore, ancora più scomodo per il mondo del lavoro e della sua rappresentanza, ma è, oggi, anche uno dei fondamenti delle scelte decisive per il futuro dell'umanità. 

Fare memoria rappresenta, quindi, uno strumento di generatività e di sopravvivenza.

Quello dell'obiezione a questo modello di sviluppo (a partire dalle spese militari senza controllo) e della riconversione, delle "transizione giusta" a partire dai modelli produttivi, verso un futuro desiderabile, sostenibile ed equo è un grande nodo del nostro tempo, certamente scomodo e difficile, quanto necessario.

È, allo stesso tempo, un tema di impegno appassionante ed opportuno che ci hanno consegnato, laicamente, tra gli altri, Papa Francesco e Papa Leone XIV. 

Una sfida rispetto alla quale non possiamo, nemmeno volendo, volgere la testa dall'altra parte.

Francesco Lauria

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