“Ricordo un’etica democratica, discussa e partecipata, non imposta. Si discuteva a lungo, infatti, sui comportamenti personali e collettivi. Tutto questo serve ancora oggi: e noi «vecchi», se forse possiamo dare una mano ai giovani sindacalisti di oggi, lo possiamo fare anche proprio ricordando, «testimoniando» questo tipo di episodi e di valori”. Pippo Morelli, ultimo intervento pubblico, inedito, febbraio 1993.
“Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e
diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno
sogni, i vostri giovani avranno visioni.” Gioele 3,1
“Il passato non ci dà risposte, ci consente di formulare
meglio delle domande”. Vittorio Foa, Il Cavallo e la Torre. Riflessioni su una
vita, 1991.
Arrivare a San Pellegrino in Alpe, il paese più alto di
tutto l’Appennino (1525 metri sul livello del mare), al confine tra le province
di Lucca e di Modena, non è uno scherzo.
I tornanti, più volte utilizzati dal Giro d’Italia e l’attestato
gratuito consegnato in automatico a tutti i ciclisti che raggiungono la piazza
del piccolo centro della Garfagnana, estremo confine delle terre matildiche, lo
testimoniano.
Ieri, in realtà, a San Pellegrino, al netto della guida
parecchio sportiva del mio amico Federico, ci sono arrivato comodamente in
auto.
La vera fatica, infatti, è iniziata dopo.
C’è una camminata, normalmente piuttosto semplice, battuta
dai (non moltissimi) turisti: “il giro del Diavolo”.
Le persone “normali”, il giro del Diavolo lo completano,
ordinariamente, in meno di due ore.
Capita, invece, di affidarsi al consiglio dato un po’ a caso
da un gruppo di giovani emiliani (la mia “heimat” mi ha tradito!) e di
imboccare, al rifugio Burigone, tutt’altra strada, accorgendosene parecchio ma
parecchio, dopo…
A volte gli errori, portano anche benefici, tutto
allenamento in più in vista dell’imminente Cammino (“portoghese”) di Santiago,
da affrontare con Jacopo nell’ormai prossimo mese di settembre…
Camminando, quindi a lungo nella stupenda Garfagnana di
confine, attraverso il crinale che divide Toscana ed Emilia, con un clima
perfetto (e qualche goccia di pioggia da tardo agosto…) ho avuto modo di
riflettere sui temi che, complici anche alcuni contributi davvero penosi sulla
mia persona, ho rilanciato in questi giorni.
Andiamo con ordine.
Le varie “anime” della Cisl.
Un importante ex segretario confederale, Giovanni Guerisoli,
oggi arrabbiatissimo con la confederazione, di cui è stato anche responsabile
amministrativo/organizzativo, mi ha rimproverato di attardarmi in riflessioni
fuori tempo, ignorando la reale questione centrale per la Cisl che sarebbe
quella “etica”.
Consapevole, con il grandissimo Vittorio Foa, che: “Il
passato non ci dà risposte, ci consente di formulare meglio delle domande” ho
scavato nei miei scritti (“inutili, di estrema sinistra, che fanno perdere
soldi e risorse alla Cisl”, sembrerebbe…).
Ho ritrovato l’ultimo bellissimo intervento di Pippo
Morelli, ormai ex, pronunciato un mese prima del maledetto ictus che lo fece
tacere per sempre, pur conservandone la vita:
“Ricordo un’etica democratica, discussa e partecipata, non
imposta. Si discuteva a lungo, infatti, sui comportamenti personali e
collettivi. Tutto questo serve ancora oggi: e noi «vecchi», se forse possiamo
dare una mano ai giovani sindacalisti di oggi, lo possiamo fare anche proprio
ricordando, «testimoniando» questo tipo di episodi e di valori”. Pippo Morelli,
ultimo intervento pubblico, inedito, febbraio 1993
Già, un’etica democratica, discussa e partecipata, non
imposta.
Un’etica trasversale alle due storiche (o quasi) anime della
Cisl.
Scriveva Franco Marini, nel suo ultimo intervento scritto,
pubblicato prima della morte ed inserito nel mio volume: “Sapere, Libertà,
Mondo. La strada di Pippo Morelli.
“Colgo volentieri l’occasione che il Centro studi Cisl di
Firenze e Francesco Lauria propongono a me e ad altri protagonisti della vicenda
sindacale che va dagli ultimi anni Sessanta fino agli Ottanta e ai primi
Novanta, per rendere a Pippo Morelli – e non solo a lui – un omaggio e un
riconoscimento di valore che non è uso scambiarsi o esplicitare, nei momenti
del confronto, della competizione e degli antagonismi tra strategie
alternative, che hanno caratterizzato le vicende della nostra Cisl, così come
avviene in ogni sano organismo collettivo, vivente e vivace.
In quel periodo di storia sociale, ma anche politica e
culturale, del nostro Paese, infatti, si sono svolte partite, aperte e
combattute, nelle quali erano in gioco poste, spesso di grande portata, perfino
rispetto agli equilibri geopolitici mondiali, per scelte di civiltà, per
opzioni ideologiche e per assetti di potere connessi alla grande finanza, all’
economia e alla riorganizzazione della divisione internazionale del lavoro e
della produzione.”
“Non si deve mai aver paura del confronto delle idee e delle
tendenze – scriveva Franco nel mio libro -degli orientamenti e delle scelte che
si fanno a viso aperto, con leale chiarezza e rispetto del metodo e delle
prassi democratiche. Non bisogna temere le divisioni, quando le proposte
strategiche che si affrontano, con il coinvolgimento e la mobilitazione attiva
della base degli associati, non sono dettate dalle sole, pur legittime,
ambizioni di guida... e diciamo pure «di potere», di chi si espone al vaglio
delle assemblee, nei posti di lavoro e nei dibattiti congressuali”.
Continuava Marini, “sempre Franco”, nel volume e la sua
lezione sarebbe essenziale per taluni dirigenti apicali oggi colpevolmente
smemorati:
“(…) torno al tema propostomi e alle vicende della Cisl di
quei decenni per riaffermare che aver saputo navigare in quel contesto di
profonde trasformazioni strutturali del Paese e aver saputo amalg mare e dare
forma e profilo incisivo alle nuove generazioni della società italiana del
lavoro, della produzione e della socialità, fu e resta non piccolo merito della
Cisl.
In tale crogiuolo, personalmente mi ritrovai – e ancora mi
ritrovo – assieme ad amiche e compagni che emblematicamente voglio etichettare
come «quelli della Tesi 2», che si contrapposero alla maggioritaria «Tesi 1».
E spero che, in queste citazioni d’epoca, non si smarriscano i lettori più giovani di una pubblicazione dedicata a un leader anche morale e intellettuale, oltre che sindacale, della sinistra cislina, come Pippo Morelli. Pippo, infatti, come mostra l’accurata ricostruzione di Francesco Lauria, non fu certo parte accessoria del tempo sindacale, sociale, politico e ideale di cui stiamo parlando.
Mi riferisco ad aspetti come quelli di un internazionalismo generosamente – anche se non sempre saggiamente – sbilanciato verso il Terzo mondo, quello del Sud, dei paesi emergenti dell’America latina e dell’Asia; mi riferisco alle suggestioni e agli scenari di cui si andavano facendo palestre e animatori giornali neocomunisti come «il manifesto» o ultracomunisti come «Lotta continua» o il «Quotidiano dei lavoratori», e ancora: a movimenti e ambienti extraparlamentari a pulsione anarco-insurrezionalista; a nuove aggregazioni giovanili studentesche ingenuamente operaiste e inconsapevolmente piccolo-borghesi e fascistoidi... e insomma, a tutto ciò che è storia di un «altro ieri nazionale» burrascoso, avventurista e a tratti tragico o grottesco.
Personalità dotate dell’acuta sensibilità sociale di Pippo e, in generale, di
tutta la sinistra sindacale, non solo cislina, non potevano non essere parte di
tali magmatici, eterogenei ma attivissimi fermenti. E dal canto mio soggiungo
che la loro assenza dallo scenario contemporaneo sarebbe stata una grave
mutilazione della nostra rappresentatività sindacale.
“Quella assenza dunque non ci fu – affermava Marini.E
nessuno di noi «riformisti avrebbe desiderato che le voci e i pungoli della
«sinistra carnitiana» non recassero noia a un astratto «manovratore» che non
poteva esistere nell’imprinting genetico del nostro organismo: democratico e
aperto, sorvegliato solo dall’autodisciplina di ciascuno e dalla consapevolezza
che una Cisl senza dialettica interna non avrebbe avuto alcun senso di
esistere.”
La lezione di Franco Marini non potrebbe essere più chiara:
“Alla luce di questa macrostoria vissuta – e mi avvio alla
conclusione di questo breve contributo di omaggio all’amico e compagno, ma
anche leale competitore, Pippo Morelli – potremmo ridimensionare al giusto
livello tattico episodi transeunti e occasionali come quelli che peraltro non
potevano mancare nel diligente affresco di segnato dall’amico Francesco Lauria.
Mi riferisco a passaggi specifici – anche se delicati e pregnanti per il
benessere interiore di un organismo collettivo – come quelli dell’assemblea di
Abano Terme (1987) a proposito della sospensione del limite statutario che
restringeva a due soli i mandati elettivi a specifiche cariche e funzioni, in
nome di una positiva rotazione di esperienze e come vaccinazione preventiva
contro tentazioni feudalistiche.
E mi riferisco alle divergenze, di opinioni e di concrete
scelte operative, riguardanti la gestione del Centro studi di Fiesole da parte
di Pippo e a consimili, normali frizioni che sono pane quotidiano nelle
migliori e più armoniose famiglie. Siamo uomini di mondo. E almeno in sede di
riflessioni a loro modo storiche, come questa, non è improprio confessarci
reciproca mente la strumentalità di tali «cavalli di battaglia»: da cui
scendere o su cui salire, all’occorrenza di qualche torneo o scaramuccia...
Ma a questo punto voglio chiudere con un messaggio cui
tengo, sul quale spendo convintamente le residue energie del mio impegno
sociale.
Parlo della unificazione organizzativa del sindacalismo
italiano, che è stato orizzonte costante, non solo di dirigenti generosi, amati
e lungimiranti come Morelli, ma anche di ciascun militante e attivista in ogni
luogo di lavoro. Non esistono più ragioni per disertare questo appuntamento per
manente della storia sindacale italiana... E sì che ne sono esistite, e pesanti
come macigni.
Indugiare ancora oggi, avrebbe senso solo alla luce di
meschine preoccupazioni di ruoli e carriere. Ne va della continuazione, nel
nuovo millennio, ormai ventennale, di una funzione essenziale per l’efficacia
della tutela del lavoro, in specie del «nuovo lavoro» di giovani donne e
ragazzi, che si confrontano con i tempi di impieghi destrutturati, in cui
ciascuno rischia di rimanere solo, davanti a controparti datoriali non di rado
evanescenti o facenti capo a multinazionali senza patria e senza fissa di mora.
Sono ancora convinto – concludeva Marini - che una grande
storia sindacale come la nostra è destinata ad avere un’altrettanto grande
stagione futura di protagonismo forte. Ma il tempo per avviarla è adesso.
Facciamolo anche in onore delle tante, degne e grandi Persone come Pippo, con
cui abbiamo marciato. Magari confrontandoci, ma sempre lealmente e puntando ad
andare più avanti!”
Non si può non notare (a meno che non si voglia proprio!) che gli ultimi scritti dei compagni di
avventura di Fiesole: Franco Marini e Pierre Carniti, terminano entrambi con una
riflessione, impegnativa per gli attuali quadri dirigenti di Cgil Cisl e Uil,
sulla mancata unità sindacale.
Il “grande balzo interrotto”, per usare una famosa definizione,
fulminante come sempre, di Bruno Manghi.
Ricordo come fosse oggi, Franco Marini, invitato da me a
Pistoia, riaccendere gli sguardi dei ragazzi delle scuole superiori, “cammellati”
ad un nostro evento, dopo ore di vane chiacchiere sindacali.
Parlò loro di Amazon insediatasi nella zona, a lui molto
umanamente prossima, di Rieti.
Della difficoltà e della necessità di organizzare lavoratori
e lavoratrici al tempo delle piattaforme digitali.
Ancora non conoscevo la splendida esperienza della Fit-Cisl del Lazio su questo...
Concordo solo in questo caso con Guerisoli: per questi
ragazzi e ragazze, spesso immigrati, contano davvero poco Tesi 1 e 2 (preistoria)
e, forse, anche poco le divisioni, le differenze tra Cgil Cisl e Uil.
Per oggi “il cammino del diavolo”, anche nella sua versione
prolungata, è terminato.
Affronterò la questione della “ricollocazione” dei dirigenti
sindacali nell’ottica di Pippo Morelli, la questione dei due e dei tre mandati,
la necessità di non chiudersi in una burocrazia, ma di essere, sempre,
associazione e, dal mio punto di vista, anche movimento.
Non prima di chiudere con l’ultima citazione che ho evocato.
Lasciamoci i bei tornanti e il fresco di San Pellegrino in
Alpe alle nostre spalle.
Torniamo al caldo della città, alle fabbriche, alle strade
(intese non come traiettorie umane, ma come luoghi di lavoro tra il virtuale ed
il fisico), alle campagne degli sfruttati e delle sfruttate.
Continuiamo ad ascoltare i “sogni” dei nostri vecchi.
Continuiamo a sognare, a cantare, a danzare.
Magari, anche se siamo “estremisti di sinistra”, cari
umoristi anonimi del 9marzo.it non Eskimo.
Ma rimaniamo a Guccini, alla “Canzone delle domande consuete”.
“Non andare... vai. Non restare... stai. Non parlare...
parlami di te.
E siamo qui, spogli, in questa stagione che unisce
Tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove
Non so dire se nasce un periodo o finisce
Se dal cielo ora piove o non piove
Pronto a dire «buongiorno», a rispondere «bene»
A sorridere a
«salve», dire anch’io «come va?»
Non c’è vento stasera.
Siamo o non siamo assieme?
Fuori c’è ancora una città
Se c’è ancora balliamoci dentro stasera
Con gli amici cantiamo una nuova canzone... ...
tanti anni, e sono qui ad aspettar primavera
Tanti anni, ed ancora in pallone
Non andare... vai. Non restare... stai.”
Continuiamo, senza tentennamenti, a sostenere, innalzare, le
“visioni” dei giovani.
Ce lo diceva, molto prima di Tesi 1 e Tesi 2, tanti,
tantissimi anni fa, uno che se ne intendeva parecchio di profezie concrete…
“Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e
diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno
sogni, i vostri giovani avranno visioni”. Gioele 3,1.
Francesco Lauria
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