martedì 19 agosto 2025

“Dove trovi l’energia per fare”, per scrivere “ancora”? Continuiamo in ciò che è giusto.


Il mio risveglio antecedente all’aurora è più “disconnesso”, più lento del solito…

Il compagno di ogni “ante-mattina”, lo schermo del cellulare, infatti, è disperso, introvabile.

Per fortuna, nel buio degli ultimi scampoli della notte, l’appartamento è grande.

Jacopo, mio figlio, dorme profondamente nel letto a castello sopra il mio, mentre ascolto di sfuggita il suo respiro e un tuono, per fortuna lontano.

Il rito di ogni mattina, il duplice caffè, la colazione con sempre almeno due yogurt greci, le medicine per la pressione e per il colesterolo, è movimentato dal luogo che una volta avremmo chiamato “di villeggiatura”. Non ricordo, però, dove ho messo tutto.

Apro la porta, ascolto, rapito, i rumori del risveglio del bosco, ne sono ai confini, a oltre mille e cento metri d’altezza.

Una mattina così, non la ricordavo da un po’, accompagnata dal profumo e dai suoni della natura e sfiorata dal fresco, quasi dal freddo. Una benedizione dopo i primi due terzi di agosto davvero torridi.

Ho “divorato” l’ultimo lascito su Alexander Langer di Goffredo Fofi attraverso il volume collettivo da lui curato. Prendo ora in mano il quasi omonimo: “Continuate in ciò che è giusto. Storia di Alexander Langer”, del mio pressochè coetaneo (mannaggia a lui, è degli anni ottanta, di un anno più giovane di me) Alessandro Raveggi.

La camminata nel bosco della notte precedente, illuminata dalle torce che si portano sulla testa, niente di avventuroso, sono state comprate al Decathlon di Prato, mi aveva fatto, di nuovo, pensare di sfuggita ad Alex, “viaggiatore notturno”, saltatore di muri, costruttore di ponti.

Indovinare, al buio, gli alberi non mi aveva fatto dimenticare, quel maledetto (sì maledetto!) albicocco, attraverso il quale, Alex trent’anni fa, il 3 luglio 1995, a Pian dei Giullari, a Firenze, la quasi mia Firenze, si è tolto la vita. A soli quarantanove anni.

Nel suo libro Raveggi, ho scoperto in questa “antemattina”, compie un viaggio che ho sempre pigramente rimandato: la camminata sulle orme di Alex (che in realtà raggiunse, per l’ultimo viaggio, Pian dei Giullari in auto) e la ricerca, pur infruttuosa, di quell’albicocco.

Scriveva Langer:

“Gli alberi stessi non si vedono le radici, eppure viaggiano, migrano. Non hanno bocche, ma parlano, avvertendo i loro simili in caso di pericolo. Ma loro: saranno mai tristi, infinitamente percossi marciti dentro come fuori?”

Risuonano in me, da settimane, le frasi, profetiche e soffertissime, risalenti al 1990, trovate nel suo computer:

“Tu che ormai fai – il militante – da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del ’68 (già “da grande”), dell’estremismo degli anni ’70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l’America Latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell’ecologia – da dove prendi le energie per “fare” ancora?”

Già da dove e, soprattutto, anche io perché prendo le energie per fare, per scrivere ancora?

Non so perché, ma anche a me, proprio come a Raveggi, quelle frasi ricordano le manganellate e i lacrimogeni di Genova, nel luglio del 2001, sei anni dopo esatti la morte di Alex.

Ricordano quell’essere percossi dal potere e dai poteri della mia generazione, quel sentirsi soli, maledettamente soli, senza partito, senza sindacato, senza orizzonti.

La memoria si confonde. È ancora mattino presto.

Quando Alex si è tolto la vita, c’erano sì i telefonini, ma internet era proprio agli inizi.

Non eravamo ancora iperconnessi come lo siamo oggi (a meno che, come me, nella notte non li si perda i cellulari!).

Potevamo, forse, essere più lenti, più soavi, più profondi.

Come, pur con qualche incoerenza, ci invitava il turbolento e mai domo Alex.

Un capitolo del libro di Raveggi scompagina le carte: “andiamo incontro al tempo come esso ci cerca”, si intitola.

Già, quel tempo circolare, che riporta Alex, il suo timido e il suo impegno ostinato, tra le nostre braccia, sulle nostre spalle, come San Cristoforo con il bambino.

Quel kairòs di Alex Langer che non ci abbandonerà mai, sia che ci troviamo a Sterzing-Vipiteno, sia che camminiamo tra i monti della Garfagnana, terra di quasi confine tra Toscana, Emilia, Liguria.

Immaginare altre vite, altre aurore, senza perdere lo stupore, senza disperdere le parole, i suoni, gli odori, anche la solitudine, del tramonto.

Padre Ernesto Balducci, tra Firenze e Fiesole, ci narrava proprio della “terra del tramonto”, con una lezione di sostenibilità e circolarità che non abbiamo ancora abbastanza meditato, rielaborato, rilanciato.

Una lezione che incrociava l’intuizione profetica (ma non velleitaria) di Alex, quella conversione ecologica necessaria della società, come della politica, come della singola persona che sarebbe importantissimo che il sindacato facesse propria e promuovesse, non frenasse.

Ogni giorno, quando salgo a San Domenico di Fiesole, alla volta del Centro Studi Cisl di Via della Piazzola, mi chiedo: “ha senso continuare?”

Dove lo trovo scritto, possibilmente nel granito, o almeno nella pietra: “ciò che è giusto”?

Come posso, come possiamo, continuare sulla strada tracciata da Alex anche quell’ultimo, definito, ma non definitivo giorno a Pian dei Giullari?

“Andiamo incontro al tempo come esso ci cerca”.

Trent’anni di kronos sono passati dall’ultimo viaggio di Alex.

Eppure dobbiamo continuare a cercare, ostinati come lui, ciò che è ancora e magari per sempre sarà giusto. O tale ci apparirà.

Senza certezze, ma con quel cammino leggero che travalica il tempo, oltrepassa i muri, costruisce ponti.

Tra i popoli, tra le persone, tra le organizzazioni, tra le generazioni…

Grazie, Danke Alex.

Continuiamo a seguire, e qualche volta anche a re-inventare, la nostra strada comune, inconsapevolmente, ma testardamente condivisa.

Francesco Lauria

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