mercoledì 20 agosto 2025

Un sindacato con il "coraggio di volare". E gli "epurati": Giugni, Romani, Tiboni e... Lauria!


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Ieri Giugni e Romani, oggi Francesco Lauria. Che dopo aver lasciato per un ventennio la sua impronta sulle colline fiesolane, ora fa sapere via social al mondo che la sua storia con la Cisl – intesa non come ideale, ma come rapporto di lavoro – è finita. E lo racconta a puntate (non brevi) con una specie di romanzo d’appendice sulle sue pagine di una nota rete sociale frequentata soprattutto dai meno giovani."

Un noto blog di gossip sindacale, animato da sindacalisti di destra e nato, poco più di dieci anni fa, nell'ambito di un (oggettivamente) controverso commissariamento di una Federazione di categoria nazionale della Cisl, mi ha dedicato in questi caldi giorni ferragostani, magari solo perchè a corto di argomenti estivi, un intero articolo, direi ridicolo, oltre che, su più direttrici, sostanzialmente falso.

Intendiamoci, non che mi dia particolare fastidio essere indirettamente paragonato a due pezzi da novanta della storia sociale e sindacale italiana come Gino Giugni e Mario Romani, ancorchè solo in quanto "presunto epurato" dalle colline di Fiesole, ma mi ha veramente dato fastidio questo accanirsi nei miei confronti degli anonimi leoni da tastiera de "il9marzo.it",

In cerca di improbabili notizie, infatti, i moralisti anonimi di quel blog si sono inventati, addirittura, una mia fantomatica epurazione dalla Cisl e dal Centro Studi di Firenze (in cui sono, come ho provato a spiegare loro da soli tredici anni, mentre prima ero in Via Po 21 e prima ancora al Cesos di Guido Baglioni e Domenico Paparella, ma, purtroppo, quei gossippari a buon mercato sono scarsi non solo in storia del sindacato, ma anche in matematica...). Tutto ben diverso dal mio considerare volontariamente e su precise basi etiche, umane e politiche, ormai in via di rapida conclusione un'esperienza sindacale, minore, ma, questa sì, più che ventennale,

Al di là delle vicende meramente personali che, a differenza di quelle di Giugni e Romani, sono, pertanto "minori", quello che più fa amaramente sorridere è la reiterata definizione del sottoscritto come: 

"uno di quelli per i quali la storia vera della Cisl comincia con Carniti, e che in funzione del mito di Carniti rilegge Pastore e Romani)" .

Dopo avermi manifestato una pelosa: "personale solidarietà per il difficile momento che sta vivendo"  non contenti di aver scomodato, per un mediocre funzionario sindacale quale il sottoscritto, persino i padri nobili delle relazioni industriali italiane come Giugni e Romani, gli abbagliati ex Fisba/Fai mi dedicano addirittura una notissima canzone del maestro Francesco Guccini: "Eskimo", seguendo un filo logico rispetto al quale sarei uno che gira con "le tette al vento" e che, come da quartine gucciniane dovrebbe; "saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”".

Per chi avesse tempo da perdere e volesse farsi due risate ecco il link all'articolo completo scritto dalle attempate ed improbabili verginelle che, anni fa, frequentavano le stanze del potere di Via Tevere a Roma: https://www.il9marzo.it/?p=10608

Al di là del fatto che gli "amici" destrorsi ex Fisba Fai, sicuramente, di eskimi se ne intendono davvero poco, mi sono chiesto come smentirli, come faccio sempre, non solo con le parole, ma con i fatti.

Mi sono venuti in mente due episodi, dei quali, davvero, vado molto orgoglioso.

Il primo risale al all'accordo separato sulla contrattazione firmato, il 22 gennaio 2009, in piena era bonanniana (allora gli "amici" del 9marzo.it erano ben saldi alle loro postazioni di comando).

Forse, con troppa generosità, ero considerato, in Via Po, il braccio destro (o forse "sinistro") del segretario confederale con delega al mercato del lavoro: Giorgio Santini.

Ma, è vero, lo ammetto, peraltro con suo pieno appoggio, da orgoglioso carnitiano, frequentavo anche le riunioni di redazione della rivista online (roba da estremisti, per i destrorsi del 9 marzo) Eguaglianza & Libertà.

Avevo l'onore di incontrare grandi sindacalisti trasversali alle tre confederazioni come, appunto, Pierre Carniti, Giorgio Benvenuto, Tonino Lettieri, etc.

Un po' sconfortato dal fatto che l'età media di Eguaglianza & Libertà (un po' come oggi vale per il 9 marzo) fosse parecchio avanzata decisi di organizzare un incontro di dialogo e dibattito con Pierre Carniti, con giovani sindacalisti e operatori sindacali di tutte e tre le confederazioni, provenienti da tutta Italia.

Lo tenemmo a Roma, al teatro San Genesio, quartiere Prati.

Pochi giorni prima dell'evento, proprio a seguito della firma dell'accordo separato, uscì un numero dell'allora glorioso (ora defunto) settimanale della Cgil: "Rassegna Sindacale" che riportava con grande evidenza in copertina un'intervista, proprio a Carniti, con la sua netta contrarietà all'accordo separato firmato da Cisl e Uil con Confindustria durante il quarto Governo Berlusconi, allora gongolante per la divisione fra le confederazioni, soprattutto nella figura del Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.

Soprattutto tra alcuni miei colleghi di Via Po si sparse il panico.

Che ci faranno? Possiamo partecipare, farci vedere con Carniti?

La defezioni, in realtà non furono molte, ma ci furono.

Alcuni di questi coraggiosi sono stati promossi, oggi, super segretari nazionali di categoria Cisl, travalicando la funzione tecnica in quella politica.

Carniti, che era in grande giornata, fu fantastico.

Ricordo la sua fulminante risposta ad una giovane e vivace operatrice della Cisl Lombardia, scesa a Roma per l'occasione alla domanda: "Carniti, lei cosa ne pensa della decrescita?"

Risposta: "Beh, io mi sento abbastanza, anche troppo, cresciuto. Ma, certo, non sono favorevole ad una produzione infinita, a realizzare macchine ed elettrodomestici, di cui non vi è bisogno e che magari si accalcano, ostacolandole e riempiendoli invano, alle nostre porte e ai nostri garage".

Quel giorno rimasi doppiamente folgorato: da Carniti e da Claudia Pratelli, oggi apprezzata assessora al Comune di Roma, allora giovane e bravissima ricercatrice Ires-Cgil, la cui bellezza bruna e mediterranea mi lasciò letteralmente senza fiato e senza parole, dopo che mi era stata presentata dal comune amico Emanuele Galossi.

Ma non mi accontento, cari amici del 9 marzo.

Voi mi imputate una Cisl eccessivamente basata su Carniti e Pippo Morelli.

Ma io li supero, impunemente, a sinistra.

Non da oggi.

Un anno e mezzo più tardi, rispetto al Teatro San Genesio, nel periodo in cui il mio segretario di riferimento stava per essere promosso segretario generale aggiunto della Cisl nazionale (anche se la “curia” bonanniana fece scrivere subito ad Enrico Marro su Il Corriere della Sera che non era il successore designato, in quanto fimmino e troppo di sinistra…) subii un vero e proprio "processo" dalla segreteria confederale di Via Po.

Quale era stata la mia colpa?

Aver intervistato Piergiorgio Tiboni: storico leader, dopo Carniti, della mitica Fim di Milano degli anni Settanta e Ottanta (tutti), poi uscito dalla Cisl, e fondatore del sindacato "antagonista" Cub.

Ricordo, come oggi, quel tardo e caldo pomeriggio del luglio 2010 in Viale Lombardia a Milano, alla sede della Cub.

Ricordo Piergiorgio, gentilissimo e tutt'altro che orso, come me lo avevano erroneamente descritto, aprirmi lo scrigno della sua storia e della sua memoria.

Una storia davvero gloriosa, certamente (ahi, ahi! "amici" del 9 marzo) "pansindacalista".

Questo l'incipit dell'intervista che fu poi pubblicata nel mio primo libro, edito da Giuffrè, l'anno successivo, curato con Silvia Stefanovichj ed intitolato: "A tu per tu con il sindacato" (con un ottimo intervento di Claudia Pratelli, peraltro...)

Esordivo così:

"Incontriamo Piergiorgio Tiboni   presso   la   sede    nazionale    della  CUB  che  si   trova   in   un   lungo   e   ampio   viale    alberato,    non lontano dal centro di Milano. È il tardo pomeriggio di un venerdì di piena estate, ma la sede, che traborda di bandiere e volantini, è ancora animata. Tiboni non è per nulla “l’orso” che qualcuno ci ha descritto,  ma  accetta  volentieri  una  lunga  chiacchierata che si sviluppa tra i temi dell’attualità sindacale e della sua lunga storia personale nel sindacato..."

Sull'esperienza fimmina e cislina di Tiboni riportavo della chiacchierata...

"Parliamo  ora  di  Piergiorgio  Tiboni.  La  sua  è  una figura indubbiamente originale del sindacato italiano.  Per  molti  anni  Lei  ha  guidato  la  Fim-Cisl  di  Milano  prima  della  netta  rottura  con  l’organizzazione  dei  metalmeccanici  della  Cisl.  Può raccontarci  un’esperienza  che  ricorda  ancora  con  piacere  vissuta  nel  sindacato  cislino  e  come invece ha vissuto la separazione conflittuale con quella che per trent’anni era stata, pur in posizioni  spesso  minoritarie,  la  sua  organizzazione di appartenenza? 

La Fim di Milano  - rispondeva Piergiorgio - è stata un’esperienza straordinaria  avviata  da  Pierre  Carniti,  e  poi  proseguita  da  altri  dirigenti  sindacali  come  Bruno  Manghi,  che  aveva  come  caratteristica  una  grande  apertura  a  quello che di nuovo si muoveva nella società. I  quadri  della  Fim  di  Milano  arrivavano,  ad  esempio, dalle lotte studentesche, oltre che dai luoghi di lavoro.  

Fu  un  grande  laboratorio.  

Quell’esperienza  esprimeva anche un modo non burocratico di vivere  il  sindacato,  la  delega  era  ridotta  al  minimo,  gli  obiettivi  tenevano  aperte  prospettive  non  solo  di  tutela  immediata,  ma  anche  di  cambiamento  dei  rapporti di potere che ci sono nella società. Non volevamo semplicemente “abbattere il capitalismo”,  ma  avevamo  la  consapevolezza  di  poter  profondamente    migliorare    il    contesto    sociale    nell’ambito dei rapporti tra capitale e lavoro. È un’esperienza che io ricordo come positiva e che, a  mio  parere,  è  terminata  quando  non  si  è  voluto  più     accettare     il     pluralismo     reale     interno     all’organizzazione. 

L’esperienza della Fim di Milano era in larga parte anche  l’esperienza  della  Cisl  milanese,  non  si  fermava   a   una   categoria.   Era   anche,  in   parte,   l’esperienza  della  Fiom  e  della  Uilm  di  Milano.  L’intervento  “normalizzatore”  colpì  tutte  e  tre  le  organizzazioni,  ovviamente  in  modo  eclatante  con  il nostro gruppo dirigente. L’esperienza,  nella  mia  visione,  fu  quella  di  un  gruppo che non accettò di adeguarsi alla linea politica  largamente  prevalente,  pur  non  mettendo  in  discussione l’unità dell’organizzazione, rivendicando un pluralismo di idee. L’antefatto  organizzativo  fu  lo  scioglimento,  a  livello sindacale, delle province per costituire i comprensori.   Allora   la   Fim   di   Milano   aveva   oltre   62.000 iscritti, era  la  più  grande  organizzazione  della Cisl nell’industria."

Continuava Tiboni:

"Ci veniva richiesto un adeguamento  politico  a  fronte  di  una  ricollocazione  nell’organizzazione  dei  sindacalisti  della  Fim di  Milano che erano stimati dal punto di vista tecnico. 

Non ho avuto, invece, particolari interlocuzioni con la  sinistra  sindacale  storica,  mentre  ho  partecipato  alla prima grande assemblea del teatro lirico di Milano, in cui migliaia di delegati contestavano le decisione dei gruppi dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Per noi l’obiettivo era soprattutto di mantenere viva  un’idea  di  sindacato  non  subordinato  né  alle  imprese né ai governi. 

Quando  la  Fim  di  Milano  fu  commissariata,  noi  rifiutammo  un  accordo  che  “accompagnasse”  il  congresso straordinario successivo, nel 1991. Decidemmo l’uscita con una assemblea di 250/300 delegati  che  si  riunirono  nel  salone  della  Cisl  di  Milano in via Tadino per valutare il da farsi. 

Eravamo una trentina di sindacalisti a tempo pieno che si trovarono anche in una forte difficoltà personale. Non    c’era    esperienza    di    sindacato    di    base    nell’industria:  decidemmo  che  tutti  quelli  che  ave-vano  il  posto  di  lavoro  in  azienda  rientrassero  al  lavoro,  tutti  gli  altri  (compreso  io)  finanziarono  l’attività dei primi anni della Flmu-CUB (la nuova organizzazione) con le proprie liquidazioni. L’autosufficienza  della  CUB  dal  punto  di  vista  economico  fu  raggiunta  solo  nel  tardo  1995,  prima  ricevevamo solo uno stipendio molto parziale, solo alcune mensilità nel corso dell’anno."

Non mi accontentai di questa risposta, non volevo parlare solo strettamente di sindacato...

Lei  è  stato  protagonista  di  alcune  iniziative  che  hanno  saputo,  in  particolare  negli  anni  settanta  e ottanta, guardare oltre il sindacato. Nel 1976 è stato  tra  i  protagonisti  della  fondazione  a  Milano di Radio Popolare e, successivamente, di una rivista molto significativa: Azimut, che si avvaleva,  tra  l’altro,  dell’apporto  di  un  reporter  che  ha fatto la storia della fotografia in Italia: Uliano Lucas. Può raccontarci meglio, dal suo punto di   vista   personale,   la   genesi,   lo   sviluppo   e   l’evoluzione di queste esperienze? 

Rispose Tiboni:

"Radio Popolare corrispondeva all’esigenza di avere un  mezzo  di  informazione  indipendente.  Realizzammo un accordo con un’area molto ampia di organizzazioni,  dai  gruppi  della  sinistra  extraparlamentare,  a  pezzi  della  Cgil,  ad  altri  e  organizzammo l’idea di una forma nuova di comunicazione. Il  progetto  venne  presentato  da  Piero  Scaramucci,  ma  lo  discutemmo  insieme.  Tentammo  anche  di  realizzare una televisione, ma per una serie di motivi  (tra  cui  il  mancato  accordo  con  Dario  Fo)  la  cosa non andò in porto. 

Decollò  invece  la  radio  che  aveva  una  redazione  autonoma, e veniva gestita in forma cooperativa. I  rapporti  si  allentarono  con  la  vicenda  del  nostro  commissariamento. 

Azimut   rispondeva   invece   a   un   altro   obiettivo:   quello  di  avere  uno  strumento  aperto,  una  rivista  cui  collaborasse  un’area di intellettuali che poteva arricchire la nostra capacità di elaborazione. Questi contributi intellettuali servivano ai quadri sindacali per  sviluppare  un  percorso  individuale  di  ricerca  e  di informazione libera, non di indottrinamento. La produzione di Azimut  fu  uno  dei  motivi  addotti  per  il  commissariamento.  Allora  producevamo,  insieme a altri, anche una rivista di diritto del lavoro che  analizzava  le  tendenze  della  magistratura  dal  punto  di  vista  dei  lavoratori.  Una  pubblicazione  molto apprezzata che continua ancora oggi."

Ebbene, cari "amici del 9 marzo", cari/e tutti/e.

Ho, sempre, sempre non da ora, che la splendida anomalia della Cisl fosse, come successe nel congresso confederale nazionale del 1989, (quello in cui la rivista cislina Prospettiva Sindacale si chiedeva, con un altro milanese come Gian Primo Cella, se alla Cisl rimanessero due anime, una di "destra" e una di "sinistra", o se non ne fosse rimasta nemmeno una...) avere dentro di sè da... "Bonanni a Tiboni."

In quel congresso, ironia della storia, Bonanni e Tiboni intervennero, infatti, l'uno dopo l'altro.

E' possibile verificarlo con la preziosa registrazione dei lavori operata da Radio Radicale (allora i dibattiti congressuali Cisl venivano, al contrario di oggi, trasmessi...):

https://www.radioradicale.it/scheda/32673/lavoro-e-solidarieta-in-italia-e-in-europa?qt-blocco_interventi=0

Quel congresso fu caratterizzato dall'intervento bellissimo ed iperschietto dell'allora segretario generale aggiunto Eraldo Crea, altra grandissima figura cislina che andrebbe riscoperta e riletta.

Insomma, per concludere...

Io ho scelto in tempo.

Da sempre, sto, senza ideologismi, dalla parte degli ultimi, dei più deboli, di chi ha sete di futuro, di chi oltrepassa muri e costruisce ponti di solidarietà e di pace, in Italia, in Europa, nel mondo.

Ho scelto il sindacato, cari "amici" del 9 marzo. Il "fare giustizia insieme" come ci ricorda l'impegnativa etimologia della parola.

Senza sè e senza ma. E senza tempo.

Certe scelte, infatti, non si maturano, nè per convinzioni, nè per convenienza.

Certe scelte si vivono visceralmente o non si vivono affatto.

Si testimoniano, mai da soli, ma in quella grande comunità educante, avrebbe detto Pippo Morelli, pur conflittuale del sindacato.

Un sindacato che, come dicevano sia Carniti che Tiboni: "abbia il coraggio di volare".

Una comunità in cui, scriveva Pippo Morelli, esiste assolutamente anche il: "diritto e il dovere di dissentire".

Non a prescindere, ma quando è utile a far fare passi in avanti alla causa, alle aspirazioni, alle idee forza dei lavoratori e delle lavoratrici.

Francesco Lauria


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