Un noto blog di gossip sindacale, animato da sindacalisti di
destra e nato, poco più di dieci anni fa, nell'ambito di un (oggettivamente)
controverso commissariamento di una Federazione di categoria nazionale della
Cisl, mi ha dedicato in questi caldi giorni ferragostani, magari solo perchè a
corto di argomenti estivi, un intero articolo, direi ridicolo, oltre che, su più
direttrici, sostanzialmente falso.
Intendiamoci, non che mi dia particolare fastidio essere
indirettamente paragonato a due pezzi da novanta della storia sociale e
sindacale italiana come Gino Giugni e Mario Romani, ancorchè solo in quanto
"presunto epurato" dalle colline di Fiesole, ma mi ha veramente dato
fastidio questo accanirsi nei miei confronti degli anonimi leoni da tastiera de
"il9marzo.it",
In cerca di improbabili notizie, infatti, i moralisti anonimi
di quel blog si sono inventati, addirittura, una mia fantomatica epurazione
dalla Cisl e dal Centro Studi di Firenze (in cui sono, come ho provato a
spiegare loro da soli tredici anni, mentre prima ero in Via Po 21 e prima
ancora al Cesos di Guido Baglioni e Domenico Paparella, ma, purtroppo, quei
gossippari a buon mercato sono scarsi non solo in storia del sindacato, ma
anche in matematica...). Tutto ben diverso dal mio considerare volontariamente e su
precise basi etiche, umane e politiche, ormai in via di rapida conclusione
un'esperienza sindacale, minore, ma, questa sì, più che ventennale,
Al di là delle vicende meramente personali che, a differenza
di quelle di Giugni e Romani, sono, pertanto "minori", quello che più
fa amaramente sorridere è la reiterata definizione del sottoscritto come:
"uno di quelli per i quali la storia vera
della Cisl comincia con Carniti, e che in funzione del mito di Carniti rilegge
Pastore e Romani)" .
Dopo avermi manifestato una pelosa: "personale
solidarietà per il difficile momento che sta vivendo" non
contenti di aver scomodato, per un mediocre funzionario sindacale quale il
sottoscritto, persino i padri nobili delle relazioni industriali italiane come
Giugni e Romani, gli abbagliati ex Fisba/Fai mi dedicano addirittura una
notissima canzone del maestro Francesco Guccini: "Eskimo", seguendo
un filo logico rispetto al quale sarei uno che gira con "le tette al
vento" e che, come da quartine gucciniane dovrebbe; "saper scegliere in tempo, non
arrivarci per contrarietà”".
Per chi avesse tempo da perdere e volesse farsi due risate
ecco il link all'articolo completo scritto dalle attempate ed improbabili
verginelle che, anni fa, frequentavano le stanze del potere di Via Tevere a
Roma: https://www.il9marzo.it/?p=10608
Al di là del fatto che gli "amici" destrorsi ex
Fisba Fai, sicuramente, di eskimi se ne intendono davvero poco, mi sono chiesto
come smentirli, come faccio sempre, non solo con le parole, ma con i fatti.
Mi sono venuti in mente due episodi, dei quali, davvero, vado
molto orgoglioso.
Il primo risale al all'accordo separato sulla contrattazione
firmato, il 22 gennaio 2009, in piena era bonanniana (allora gli
"amici" del 9marzo.it erano ben saldi alle loro postazioni di
comando).
Forse, con troppa generosità, ero considerato, in Via Po, il
braccio destro (o forse "sinistro") del segretario confederale con
delega al mercato del lavoro: Giorgio Santini.
Ma, è vero, lo ammetto, peraltro con suo pieno appoggio, da
orgoglioso carnitiano, frequentavo anche le riunioni di redazione della rivista
online (roba da estremisti, per i destrorsi del 9 marzo) Eguaglianza &
Libertà.
Avevo l'onore di incontrare grandi sindacalisti trasversali
alle tre confederazioni come, appunto, Pierre Carniti, Giorgio Benvenuto,
Tonino Lettieri, etc.
Un po' sconfortato dal fatto che l'età media di Eguaglianza
& Libertà (un po' come oggi vale per il 9 marzo) fosse parecchio avanzata
decisi di organizzare un incontro di dialogo e dibattito con Pierre Carniti,
con giovani sindacalisti e operatori sindacali di tutte e tre le
confederazioni, provenienti da tutta Italia.
Lo tenemmo a Roma, al teatro San Genesio, quartiere Prati.
Pochi giorni prima dell'evento, proprio a seguito della firma
dell'accordo separato, uscì un numero dell'allora glorioso (ora defunto)
settimanale della Cgil: "Rassegna Sindacale" che riportava con grande
evidenza in copertina un'intervista, proprio a Carniti, con la sua netta
contrarietà all'accordo separato firmato da Cisl e Uil con Confindustria
durante il quarto Governo Berlusconi, allora gongolante per la divisione
fra le confederazioni, soprattutto nella figura del Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.
Soprattutto tra alcuni miei colleghi di Via Po si sparse il
panico.
Che ci faranno? Possiamo partecipare, farci vedere con
Carniti?
La defezioni, in realtà non furono molte, ma ci furono.
Alcuni di questi coraggiosi sono stati promossi, oggi, super
segretari nazionali di categoria Cisl, travalicando la funzione tecnica in
quella politica.
Carniti, che era in grande giornata, fu fantastico.
Ricordo la sua fulminante risposta ad una giovane e vivace
operatrice della Cisl Lombardia, scesa a Roma per l'occasione alla domanda:
"Carniti, lei cosa ne pensa della decrescita?"
Risposta: "Beh, io mi sento abbastanza, anche troppo,
cresciuto. Ma, certo, non sono favorevole ad una produzione infinita, a
realizzare macchine ed elettrodomestici, di cui non vi è bisogno e che magari
si accalcano, ostacolandole e riempiendoli invano, alle nostre porte e ai
nostri garage".
Quel giorno rimasi doppiamente folgorato: da Carniti e da
Claudia Pratelli, oggi apprezzata assessora al Comune di Roma, allora giovane e
bravissima ricercatrice Ires-Cgil, la cui bellezza bruna e mediterranea mi
lasciò letteralmente senza fiato e senza parole, dopo che mi era stata presentata
dal comune amico Emanuele Galossi.
Ma non mi accontento, cari amici del 9 marzo.
Voi mi imputate una Cisl eccessivamente basata su Carniti e
Pippo Morelli.
Ma io li supero, impunemente, a sinistra.
Non da oggi.
Un anno e mezzo più tardi, rispetto al Teatro San Genesio, nel
periodo in cui il mio segretario di riferimento stava per essere promosso
segretario generale aggiunto della Cisl nazionale (anche se la “curia”
bonanniana fece scrivere subito ad Enrico Marro su Il Corriere della Sera che
non era il successore designato, in quanto fimmino e troppo di sinistra…) subii
un vero e proprio "processo" dalla segreteria confederale di Via Po.
Quale era stata la mia colpa?
Aver intervistato Piergiorgio Tiboni: storico leader, dopo
Carniti, della mitica Fim di Milano degli anni Settanta e Ottanta (tutti), poi
uscito dalla Cisl, e fondatore del sindacato "antagonista" Cub.
Ricordo, come oggi, quel tardo e caldo pomeriggio del luglio
2010 in Viale Lombardia a Milano, alla sede della Cub.
Ricordo Piergiorgio, gentilissimo e tutt'altro che orso, come
me lo avevano erroneamente descritto, aprirmi lo scrigno della sua storia e
della sua memoria.
Una storia davvero gloriosa, certamente (ahi, ahi!
"amici" del 9 marzo) "pansindacalista".
Questo l'incipit dell'intervista che fu poi pubblicata nel
mio primo libro, edito da Giuffrè, l'anno successivo, curato con Silvia
Stefanovichj ed intitolato: "A tu per tu con il sindacato" (con un
ottimo intervento di Claudia Pratelli, peraltro...)
Esordivo così:
"Incontriamo Piergiorgio Tiboni
presso la sede nazionale
della CUB che si trova
in un lungo e ampio
viale alberato, non lontano dal centro di
Milano. È il tardo pomeriggio di un venerdì di piena estate, ma la sede, che
traborda di bandiere e volantini, è ancora animata. Tiboni non è per nulla
“l’orso” che qualcuno ci ha descritto, ma accetta
volentieri una lunga chiacchierata che si sviluppa tra i temi
dell’attualità sindacale e della sua lunga storia personale nel
sindacato..."
Sull'esperienza fimmina e cislina di Tiboni riportavo della
chiacchierata...
"Parliamo ora di
Piergiorgio Tiboni. La sua è una figura
indubbiamente originale del sindacato italiano. Per molti
anni Lei ha guidato la Fim-Cisl di
Milano prima della netta rottura con
l’organizzazione dei metalmeccanici della Cisl.
Può raccontarci un’esperienza che ricorda
ancora con piacere vissuta nel sindacato
cislino e come invece ha vissuto la separazione conflittuale con
quella che per trent’anni era stata, pur in posizioni spesso
minoritarie, la sua organizzazione di appartenenza?
La Fim di Milano - rispondeva Piergiorgio - è stata
un’esperienza straordinaria avviata da Pierre
Carniti, e poi proseguita da altri
dirigenti sindacali come Bruno Manghi, che
aveva come caratteristica una grande
apertura a quello che di nuovo si muoveva nella società. I
quadri della Fim di Milano arrivavano,
ad esempio, dalle lotte studentesche, oltre che dai luoghi di
lavoro.
Fu un grande
laboratorio.
Quell’esperienza esprimeva anche un modo
non burocratico di vivere il sindacato, la delega
era ridotta al minimo, gli obiettivi
tenevano aperte prospettive non solo di
tutela immediata, ma anche di cambiamento
dei rapporti di potere che ci sono nella società. Non volevamo
semplicemente “abbattere il capitalismo”, ma avevamo la
consapevolezza di poter profondamente
migliorare il contesto sociale
nell’ambito dei rapporti tra capitale e lavoro. È un’esperienza che io
ricordo come positiva e che, a mio parere, è
terminata quando non si è voluto più
accettare il
pluralismo reale interno
all’organizzazione.
L’esperienza della Fim di Milano era in larga
parte anche l’esperienza della Cisl milanese,
non si fermava a una
categoria. Era anche, in
parte, l’esperienza della Fiom e
della Uilm di Milano. L’intervento
“normalizzatore” colpì tutte e tre le
organizzazioni, ovviamente in modo eclatante
con il nostro gruppo dirigente. L’esperienza, nella mia
visione, fu quella di un gruppo che non accettò
di adeguarsi alla linea politica largamente prevalente,
pur non mettendo in discussione l’unità
dell’organizzazione, rivendicando un pluralismo di idee. L’antefatto
organizzativo fu lo scioglimento, a livello
sindacale, delle province per costituire i comprensori.
Allora la Fim di
Milano aveva oltre 62.000 iscritti,
era la più grande organizzazione della Cisl
nell’industria."
Continuava Tiboni:
"Ci veniva richiesto un adeguamento politico
a fronte di una ricollocazione
nell’organizzazione dei sindacalisti della Fim di
Milano che erano stimati dal punto di vista tecnico.
Non ho avuto, invece, particolari interlocuzioni con la
sinistra sindacale storica, mentre ho
partecipato alla prima grande assemblea del teatro lirico di Milano, in
cui migliaia di delegati contestavano le decisione dei gruppi dirigenti
nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Per noi l’obiettivo era soprattutto di mantenere
viva un’idea di sindacato non subordinato
né alle imprese né ai governi.
Quando la Fim di Milano fu
commissariata, noi rifiutammo un accordo
che “accompagnasse” il congresso straordinario successivo,
nel 1991. Decidemmo l’uscita con una assemblea di 250/300 delegati
che si riunirono nel salone della
Cisl di Milano in via Tadino per valutare il da farsi.
Eravamo una trentina di sindacalisti a tempo pieno che si
trovarono anche in una forte difficoltà personale. Non c’era
esperienza di sindacato di
base nell’industria: decidemmo che
tutti quelli che ave-vano il posto di
lavoro in azienda rientrassero al lavoro,
tutti gli altri (compreso io) finanziarono
l’attività dei primi anni della Flmu-CUB (la nuova organizzazione) con le
proprie liquidazioni. L’autosufficienza della CUB dal
punto di vista economico fu raggiunta
solo nel tardo 1995, prima ricevevamo solo uno
stipendio molto parziale, solo alcune mensilità nel corso dell’anno."
Non
mi accontentai di questa risposta, non volevo parlare solo strettamente di
sindacato...
Lei
è stato protagonista di alcune iniziative
che hanno saputo, in particolare negli
anni settanta e ottanta, guardare oltre il sindacato. Nel 1976 è
stato tra i protagonisti della fondazione
a Milano di Radio Popolare e, successivamente, di una rivista molto
significativa: Azimut, che si avvaleva, tra l’altro,
dell’apporto di un reporter che ha fatto la
storia della fotografia in Italia: Uliano Lucas. Può raccontarci meglio, dal
suo punto di vista personale, la
genesi, lo sviluppo e
l’evoluzione di queste esperienze?
Rispose
Tiboni:
"Radio Popolare corrispondeva all’esigenza di avere
un mezzo di informazione indipendente.
Realizzammo un accordo con un’area molto ampia di organizzazioni,
dai gruppi della sinistra extraparlamentare,
a pezzi della Cgil, ad altri e organizzammo
l’idea di una forma nuova di comunicazione. Il progetto venne
presentato da Piero Scaramucci, ma lo
discutemmo insieme. Tentammo anche di realizzare
una televisione, ma per una serie di motivi (tra cui il
mancato accordo con Dario Fo) la cosa non
andò in porto.
Decollò invece la radio che
aveva una redazione autonoma, e veniva gestita in forma
cooperativa. I rapporti si allentarono con
la vicenda del nostro commissariamento.
Azimut rispondeva invece a
un altro obiettivo: quello
di avere uno strumento aperto, una
rivista cui collaborasse un’area di intellettuali che poteva
arricchire la nostra capacità di elaborazione. Questi contributi intellettuali
servivano ai quadri sindacali per sviluppare un
percorso individuale di ricerca e di informazione
libera, non di indottrinamento. La produzione di Azimut fu
uno dei motivi addotti per il commissariamento.
Allora producevamo, insieme a altri, anche una rivista di diritto del
lavoro che analizzava le tendenze della
magistratura dal punto di vista dei
lavoratori. Una pubblicazione molto apprezzata che continua
ancora oggi."
Ebbene,
cari "amici del 9 marzo", cari/e tutti/e.
Ho,
sempre, sempre non da ora, che la splendida anomalia della Cisl fosse, come
successe nel congresso confederale nazionale del 1989, (quello in cui la
rivista cislina Prospettiva Sindacale si chiedeva, con un altro milanese come
Gian Primo Cella, se alla Cisl rimanessero due anime, una di "destra"
e una di "sinistra", o se non ne fosse rimasta nemmeno una...) avere
dentro di sè da... "Bonanni a Tiboni."
In
quel congresso, ironia della storia, Bonanni e Tiboni intervennero, infatti,
l'uno dopo l'altro.
E'
possibile verificarlo con la preziosa registrazione dei lavori operata da Radio
Radicale (allora i dibattiti congressuali Cisl venivano, al contrario di oggi,
trasmessi...):
Quel
congresso fu caratterizzato dall'intervento bellissimo ed iperschietto
dell'allora segretario generale aggiunto Eraldo Crea, altra grandissima figura
cislina che andrebbe riscoperta e riletta.
Insomma,
per concludere...
Io
ho scelto in tempo.
Da
sempre, sto, senza ideologismi, dalla parte degli ultimi, dei più deboli, di
chi ha sete di futuro, di chi oltrepassa muri e costruisce ponti di solidarietà
e di pace, in Italia, in Europa, nel mondo.
Ho
scelto il sindacato, cari "amici" del 9 marzo. Il "fare
giustizia insieme" come ci ricorda l'impegnativa etimologia della parola.
Senza
sè e senza ma. E senza tempo.
Certe
scelte, infatti, non si maturano, nè per convinzioni, nè per convenienza.
Certe
scelte si vivono visceralmente o non si vivono affatto.
Si
testimoniano, mai da soli, ma in quella grande comunità educante, avrebbe detto
Pippo Morelli, pur conflittuale del sindacato.
Un
sindacato che, come dicevano sia Carniti che Tiboni: "abbia il
coraggio di volare".
Una
comunità in cui, scriveva Pippo Morelli, esiste assolutamente anche il:
"diritto e il dovere di dissentire".
Non
a prescindere, ma quando è utile a far fare passi in avanti alla causa, alle
aspirazioni, alle idee forza dei lavoratori e delle lavoratrici.
Francesco Lauria

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