domenica 17 agosto 2025

LA STRANA SCELTA DI NON ADERIRE ALLO SCIOPERO GENERALE DEL 17 AGOSTO E LE VOCI DEI SINDACATI PALESTINESE E ISRAELIANO ALL’ULTIMO CONGRESSO NAZIONALE DELLA CISL


Come ha scritto Michele Giorgio su Il Manifesto, quando è entrata nella sede dell’Histadrut, Einav Zangauker, nota rappresentante del Forum delle famiglie degli ostaggi, si aspettava la piena adesione della principale federazione sindacale israeliana. Invece, l’Histadrut non ha aderito allo sciopero generale indetto per il 17 agosto per protestare contro la continuazione della guerra voluta da Benyamin Netanyahu e l’approvazione, da parte del governo, di un piano per l’occupazione di Gaza city. 

«Se uno sciopero – non solo per un giorno, ma più lungo – potesse porre fine alla questione, fermare la guerra e riportare indietro gli ostaggi, lo proclamerei con tutte le mie forze. Ma non è così», si è difeso Arnon Bar-David, presidente dell’Histadrut, impegnandosi solo a creare le condizioni per la partecipazione allo sciopero, senza conseguenze, di singoli lavoratori.

La delusione di Zangauker e del resto della delegazione del Forum è stata forte. Non ha il peso di un tempo, ma l’Histadrut – colonna portante del movimento sionista e della creazione di Israele, un tempo maggior datore di lavoro del paese pur essendo un sindacato – resta sempre importante. 

La mancata adesione, scrive ancora Michele Giorgio, è stata un colpo basso per gli organizzatori dello sciopero generale. Essa conferma che solo una porzione dell’opinione pubblica, del mondo del lavoro e dell’imprenditoria contesta la linea della guerra ad oltranza a Gaza di Benyamin Netanyahu.

Nonostante la mancata adesione del sindacato lo sciopero ha avuto un’adesione enorme e ha portato due milioni di israeliani e israeliane in piazza.

Ho riascoltato gli interventi del sindacato palestinese ed israeliano pronunciati in occasione del ventesimo congresso confederale Cisl, nella giornata inaugurale del 16 luglio scorso (è possibile trovarli qui, a partire dal minuto 23.30: https://www.youtube.com/watch?v=-3Y_S7k-8oY )

Due interventi diversi, ma indicativi.

L’intervento della segretaria confederale del sindacato palestinese Pgftu ha denunciato “l’occupazione sionista”.

Ha parlato di genocidio e pulizia etnica in corso dal 1917, citando il prezioso lavoro, per le Nazioni Unite, dell’italiana Francesca Albanese, candidandola al Premio Nobel per la Pace.

L’esponente della più grande confederazione sindacale palestinese ha delineato una realtà di discriminazione, razzismo e fascismo, ricordando l’impegno del suo sindacato per la creazione di uno stato indipendente.

Ha stilato, poi, un parallelo tra la situazione attuale e le violenze del regime fascista in Italia e di quello boero in Sudafrica, elencando le violenze gravissime, in particolare sui bambini, e il crollo del sistema sanitario.

Ha, inoltre, parlato della guerra contro i giornalisti e dell’enormità del numero dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

Il sindacato in Palestina sta faticando duramente – ha detto - i diritti sono in totale regresso, viste le dimensioni sociali, politiche ed economiche dell’occupazione israeliana, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.

È intervenuta, poi, sulla politica di “cantonalizzazione” del governo israeliano che ha lasciato i villaggi palestinesi isolati gli uni dagli altri, con gravissime difficoltà per i lavoratori e le lavoratrici palestinesi per raggiungere i propri posti di lavoro, anche qui con un parallelo con il Sudafrica dell’apartheid.

Ha ricordato le aggressioni, le percosse nei check point e la perdita di moltissimi posti di lavoro, vista anche la mancanza del rilascio dei permessi, in piena violazione delle norme dell’Ilo.

Lotta per i diritti quindi: nel pieno dell’occupazione. Diritti ad una vita decorosa, all’umanità, alla giustizia sociale.

Ha chiesto di ascoltare la voce del popolo palestinese e di fermare il genocidio. Per una Palestina libera.

Un intervento accorato, sincero, scuotitore di coscienze, quello della sindacalista palestinese, anche se ha, oggettivamente, ignorato la collega israeliana, seduta a pochi metri da lei.

È poi intervenuta un’altra sindacalista, giovane responsabile delle relazioni internazionali della confederazione Histadrut.

Ha ricordato che Histadrut non rappresenta solo ebrei e cittadini israeliani, ma tutti i lavoratori e le lavoratrici, a prescindere dalla loro religione, etnia, orientamento sessuale.

Ha parlato dell’importanza di percepire la voce delle donne, tutte le donne e dell’importanza dell’inclusione dei migranti e delle persone con disabilità.

Si è, poi, incentrata sull’istruzione e sulla formazione professionale necessarie, perché: “la conoscenza è potere”.

L’obiettivo – ha detto - è “l’umanesimo nel posto di lavoro” in un ambiente sicuro e pacifico da raggiungere attraverso: “l’unità nelle lotte”.

Quando i lavoratori si uniscono – ha sottolineato – vincono.

I lavoratori vogliono I’impegno per la lotta per la pace e si uniscono nella preghiera per la fine della guerra a Gaza.

Ha poi ricordato la tragedia del 7 ottobre come causa dell’attuale situazione nella regione e il ruolo di Hamas (“persecutore del popolo palestinese, sindacato Pgftu compreso).

Ha parlato di Hamas come nemico del mondo, non solo di Israele, di Hamas come affamatore del popolo palestinese.

Ha sottolineato che Histadrut: “non è il governo israeliano”, ma che si oppone al terribile: “governo Netanyahu”, vuole il rilascio degli ostaggi, la fine della sofferenza dei civili innocenti di Gaza, la ripresa del processo di pace.

Ha aggiunto: “noi non semineremo mai semi di odio e di ostilità tra lavoratori e sindacati israeliani e palestinesi, proteggeremo i diritti dei lavoratori palestinesi e vogliamo collaborare con i sindacati palestinesi”.

I lavoratori palestinesi, ha aggiunto, sono il ponte per costruire la pace, insieme al valore dei contratti collettivi, della formazione professionale, della salute e sicurezza nei posti di lavoro.

Un impegno per tutti i lavoratori e per raggiungere la pace attraverso uno stato palestinese da costruire assieme allo stato di Israele: due popoli, due stati.

Va trovato un denominatore comune – ha aggiunto - tra i sindacati israeliani, palestinesi, italiani, europei, mondiali, attraverso i negoziati e il dialogo.

Il sindacalismo – ha detto – deve fungere da modello contrario rispetto ai politici: “paralizzati e paralizzanti”.

I sindacati – ha continuato - sono i rappresentanti reali delle: “radici della pace”. 

Non c’è altra soluzione che una pace costruita sulla fiducia reciproca tra palestinesi ed israeliani.

Solo insieme – ha detto – si possono cambiare le cose, a partire dal lavoro.

Dobbiamo scegliere di non essere nemici, ma pragmatici costruttori di futuro.

Le guerre dividono – ha concluso – mentre i sindacati uniscono. Democrazia, libertà, diritti umani sono il fulcro della nostra azione di unità e solidarietà.

Abbracciate la speranza, ha gridato la sindacalista, la pace, tutti noi!

Un intervento oggettivamente bellissimo, di prospettiva, di dialogo.

Che stride, però, con la dissennata scelta di Histadrut di non aderire allo sciopero generale del 17 agosto.

Concludo citando il bel lavoro del blog Sindacalmente, intitolato: “Esiste un’altra Israele” che raccoglie le voci di pace della società civile israeliana: https://sindacalmente.org/content/esiste-unaltra-israele/ 

Non stanchiamoci mai di promuovere voci di pace e di dialogo, anche e soprattutto a partire dal lavoro.

Francesco Lauria


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