domenica 21 dicembre 2025

ANGELA (E CHICO) MENDES: IL RICHIAMO DELLA FORESTA E DI UN SINDACATO SEME DI FUTURO

Ringrazio il mio amico Gianni Alioti per la segnalazione dell'intervista, pubblicata il 20 dicembre scorso dal quotidiano Il Manifesto, ad Angela Mendes, figlia di Chico, il sindacalista seringueiro amico degli alberi, ucciso dalla mafia dei latifondisti estrattivisti, ovviamente con la complicità delle istituzioni brasiliane, il 22 dicembre del 1988.

Cresciuto con la voce ispirata di Augusto Daolio in "Ricordati di Chico", ho sempre saputo, fin da piccolo, chi sia stato Chico Mendes, l'ho sempre ammirato con tutto me stesso, ben prima di occuparmi direttamente di sindacato.

Poi ho scoperto anche la bella canzone Chico Mendes dei Gang, contenuta in un album capolavoro come: "Le radici e le ali" e, ovviamente, divorato il libro di Gianni : "Chico Mendes. Un sindacalista a difesa della natura", pubblicato da Edizioni Lavoro.

Su Chico Mendes ho scritto anche io, varie volte e, in particolare, a trent'anni dalla morte, su Conquiste del Lavoro, il quotidiano della Cisl (quando mi ci facevano ancora scrivere) e su C3dem, il portale Costituzione, Concilio, Cittadinanza.

https://www.c3dem.it/chico-mendes-trentanni-dopo/

L'attualità di Chico Mendes è spiegata, perfettamente,, nella sua bella intervista dalla figlia Angela, dal Brasile, dall'Amazzonia, dopo il totale fallimento della Cop30 di Belem.

Molto più vicino a me ho scoperto un sindacato (si, lo voglio dire, una federazione di categoria della Cisl) che, anche durante alcuni direttivi, non smette, con i propri delegati e le proprie delegate, di abbracciare gli alberi.

Se non è il rito di un giorno, si tratta di un seme, giovane, di futuro, proprio di quelli di cui ci parla Angela Mendes.

Non perdiamo la Fede. 

Crediamoci ancora, ritroviamoci, non solo in teoria, ma nell'azione quotidiana, di ogni istante, nelle parole concrete di Angela Maria Freitosa Mendes....

Francesco Lauria

Sara Segantin (BELEM)


Brasile Il 22 dicembre di 37 anni fa veniva ucciso Chico Mendes, la figlia Ângela ne ha raccolto l’eredità continuando la lotta per la giustizia socio-ambientale dei popoli dell’Amazzoni 

Ângela Maria Freitosa Mendes aveva diciotto anni quando suo padre fu assassinato. Era il 22 dicembre 1988 e Francisco Alves Mendes Filho, noto al mondo come Chico Mendes, venne ucciso a sangue freddo nella sua casa, a Xapuri, da Darci Alves da Silva, figlio di un bovaro locale. Chico, seringuero – raccoglitore di gomma – e attivista ambientale, è l’icona dei martiri dell’Amazzonia. Ângela continua la lotta del padre, con gli empates, barriere umane contro il disboscamento, e tramite il Comitato Chico Mendes, con cui lavora per la giustizia socio-ambientale tra pressione politica, iniziative culturali e formazione di giovani leader della foresta.

A quasi quarant’anni dall’assassinio di Chico Mendes, cosa resta della sua eredità?

Mio padre lottò per il diritto al territorio e all’educazione; diritti basilari ai quali chi vive nella foresta e nelle periferie non ha accesso. Quel che riuscì a fare Chico è la prova che possiamo ottenere questi diritti solo con un lavoro collettivo. Tutta la sua vita parla di collettività: non è possibile avanzare come società se non coltiviamo una spirito di unione, perché viviamo nella stessa casa, condividiamo la stessa casa, respiriamo la stessa aria.

Come iniziò la lotta di Chico? Qual era il cuore del conflitto in Amazzonia?

Lui era un seringueiro, un raccoglitore di lattice dagli alberi di caucciù. I seringueiros vivevano nella foresta da generazioni, il loro stile di vita si ispirava a quello dei popoli indigeni. Mentre il governo imponeva un’organizzazione del territorio fatta di lotti e linee rette, estranea alla realtà amazzonica, i seringueiros seguivano il tracciato delle estradas de seringa, i sentieri della gomma, che non sono diritti, si distribuiscono organicamente nella foresta, come i corsi d’acqua. Era il modello che gli indigeni già adottavano per la demarcazione delle terre. I fazendeiros – allevatori e latifondisti volevano trasformare la foresta in pascoli di bestiame, spesso con incentivi statali, così bruciavano tutto e uccidevano chi si opponeva. Per reagire, i seringueiros organizzarono assemblee, coinvolsero i popoli indigeni, ascoltarono le loro esperienze e visitarono le loro terre. Nel 1987, Chico e il leader indigeno Ailton Krenak stabilirono l’Alleanza dei popoli della Foresta, per una lotta unificata per il diritto ai territori. Fu incredibile: indigeni e seringueiros erano sempre stati messi gli uni contro gli altri. Superare questo dolore – che allora sanguinava ancora – fu una grande vittoria collettiva.

Da quel processo nasce l’idea rivoluzionaria delle riserve estrattiviste (aree forestale legalmente protette concesse alle popolazioni tradizionali). Di cosa si tratta?

È un’idea di conservazione che permette alle persone di vivere dentro il territorio. Fino ad allora c’era o il disboscamento o qualche area di protezione integrale e le persone da un giorno all’altro perdevano il diritto di svolgere attività lavorative o culturali nella propria casa. Chico e i suoi compagni nel 1985 organizzarono a Brasilia il primo incontro nazionale dei seringueiros, 130 raccoglitori di gomma vennero da Acre, Rondônia, Amazonas e Pará e lì nacque il concetto di ‘riserva estrattivista’, per proteggere sia il territorio sia le persone.

Quando furono istituite le prime riserve?

Le prime quattro nel 1990, l’ultimo giorno di mandato del presidente Sarney, due anni dopo l’assassinio di mio padre. Lui lottò, versò sangue, diede la vita, ma non riuscì a vederle nascere – sapeva che stava lottando per il futuro. Oggi abbiamo 96 riserve estrattiviste sotto gestione federale e quasi 50 gestite da governi statali e municipali. Ci sono le riserve forestali e quelle marine, perché sono inclusi anche i territori del Cerrado, le acque e i mangrovieti.

Le riserve estrattiviste hanno ancora un senso?

Così come le terre indigene, sono una barriera contro il disboscamento incontrollato che continua ad avanzare. Nello stato dell’Acre c’è la seconda più grande riserva estrattivista del Brasile: la Chico Mendes, quasi un milione di ettari. Si trova nella regione più deforestata dell’Acre, sotto pressione dell’agrobusiness e dei fazendeiros: sulla mappa è un punto verde circondato da terra bruciata. Questo è un modello che tutela la foresta e ha ispirato la creazione delle foreste nazionali e di progetti di insediamento che mettono al centro la conservazione e l’agroecologia.

Perché in Amazzonia il riconoscimento territoriale è cruciale?

I popoli originari e le comunità proteggono l’Amazzonia, ma i fazendeiros li cacciano e uccidono. Il riconoscimento legale garantisce il diritto di restare a chi già viveva lì, magari tagliando il lattice della gomma o raccogliendo le castagne. È uno strumento necessario, anche se purtroppo non sufficiente.

Quali altri progetti porta avanti?

Il Progetto Seringueiro ha alfabetizzato circa 18.000 persone dentro la foresta, in un vuoto lasciato dallo Stato verso persone invisibili. Sapere vuol dire uscire dalla schiavitù.

Giovani e donne sono al centro della vostra azione. Perché?

Il Brasile è al secondo posto per numero di attivisti uccisi; omertà e impunità – rafforzati dall’ultimo governo di estrema destra – continuano a mietere vittime. I giovani e le donne sono al centro perché contribuiscono maggiormente alla protezione della foresta ma sono anche i più colpiti – dalla crisi climatica e dalla violenza.

Suo padre tre mesi prima di morire scrisse una «Lettera ai Giovani del Futuro», incitandoli a proteggere la vita e la foresta e a non arrendersi.

La «Lettera ai Giovani del Futuro» ci muove nel comitato e nel mondo, perché senza una gioventù impegnata non abbiamo prospettiva di futuro. Abbiamo bisogno di rinnovare le alleanze, il fare collettivo se vogliamo affrontare un capitalismo che è sempre più selvaggio, forte, con potere, e che tenta di metterci in competizione e di individualizzarci. La nostra forza è l’unione, Chico lo ricordava sempre.

Il movimento “Jovens do Futuro” nasce da lì?

Chico nella lettera convoca la generazione attuale a dare avvio a un’ondata rivoluzionaria. Jovens do Futuro lavora con educazione, comunicazione, cultura e artivismo. È guidato da giovani ed è destinato ai giovani dell’Acre provenienti da contesti marginalizzati, sia urbani che della foresta. Nel 2020 abbiamo organizzato un festival, con giovani di più di 20 Paesi. Nonostante tutto, i giovani di oggi credono profondamente nel loro ruolo e si stanno mobilitando. Questa è la nostra forza.

 

RICORDATI DI CHICO (I Nomadi)

https://www.youtube.com/watch?v=vBfOI32HfU8 

I signori della morte hanno detto sì

L'albero più bello è stato abbattuto

I signori della morte non vogliono capire

Non si uccide la vita, la memoria resta

Così l'albero cadendo ha sparso i suoi semi

E in ogni angolo del mondo nasceranno foreste

Ma salvare le foreste vuol dire salvare l'uomo

Perché l'uomo non può vivere tra acciaio e cemento

Non ci sarà mai pace, mai vero amore

Finché l'uomo non imparerà a rispettare la vita

Per questo l'albero abbattuto non è caduto invano

Cresceranno foreste e una nuova idea dell'uomo

Ma lunga sarà la strada e tanti gli alberi abbattuti

Prima che l'idea trionfi senza che nessuno muoia

Forse un giorno uomo e foresta vivranno insieme

Speriamo che quel giorno ci siano ancora

Se quel giorno arriverà, ricordati di un amico

Morto per gli indios e la foresta, ricordati di Chico

Se quel giorno arriverà, ricordati di un amico

Morto per gli indios e la foresta, ricordati di Chico

 

CHICO MENDES (THE GANG)

https://www.youtube.com/watch?v=1-BBhyLsG4k&list=RD1-BBhyLsG4k&start_radio=1 

Chico ha un dente di topo

un coltello di pioggia

un occhio di legno

Quando ride sbadiglia

e sua madre era la luna.

Notte smeraldo tamburi di festa

lingue di foco nella foresta.

Ooooohhh Chico Mendes.

Sole diamante sole guerriero

uomo di fango seringueiro

Chico lottava per il sindacato

Chico Mendes lo hanno ammazzato.

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

Son venuti dal fiume

non c'era la luna

hanno tutti un dollaro portafortuna

hanno tutti un fucile e una croce.

Notte di fuoco danza di guerra

rossa di sangue sarà questa terra

Oooohhh Chico Mendes

Come tre lampi sulle nostre vite

come una croce come tre ferite

Chico lottava per il sindacato

Chico Mendes lo hanno ammazzato

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

Sole diamante sole guerriero

uomo di fango seringueiro

Chico lottava per il sindacato

Chico Mendes lo hanno ammazzato.

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

sabato 20 dicembre 2025

EMMANUELE: DIO CON NOI. CONVERSAZIONI NOTTURNE A GERUSALEMME: AVVENTO DI NATALE.

"Stillate, cieli, dall’alto,
le nubi facciano piovere il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore"

- Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi". - 

Il Vangelo di Matteo, ma anche, nella Prima Lettura, le parole del profeta Isaia, ci parlano oggi, quarta domenica di Avvento, dell'Emmanuele, Dio con noi, Dio fra noi.

Il Vangelo ci racconta in realtà anche del coraggio di Maria e della fede di Giuseppe.

Insomma, ci parla di famiglia e di comunità.

Emmanuel, mi fa pensare, inevitabilmente ad alcuni ricordi, alcuni lontanissimi nel tempo, un altro vicinissimo.

Il primo di più di 25 anni fa, la spianata di Tor Vergata, noi due, tra due milioni di giovani, nel loro giorno, nella loro notte.

Giovanni Paolo II, già molto provato, ma felice, noi tutti felici nel tramonto, nella notte tra le stelle, aspettando l'aurora, immergendoci nell'alba.

Ricordo Noi due e Noi tutti abbracciati.

Guardare il cielo e i nostri occhi. Pensare il mare.

Cantare sottovoce, nell'orecchio dell'altro, oppure tutti/tutte insieme a squarciagola:

"All'orizzonte una grande Luce

viaggia nella Storia,

E lungo gli anni

ha vinto il buio

facendosi memoria

Illuminando la nostra Vita

Chiaro ci rivela

Che non si vive 

se non si cerca

la Verità

Emmanuel (...)

Siamo qui

sotto la stessa Luce

sotto la sua Croce

Cantando a una Voce

Emmanuel

Emmanuel

Emmanuel

https://www.youtube.com/watch?v=mOW7xeOCl1U&list=RDmOW7xeOCl1U&start_radio=1

Marco Mammoli 

Come rinasce noi la Fede, come recitava la canzone, cantata da tutti e composta da Marco Mammoli?

Ieri, grazie ad una preghiera condivisa, ho ripreso in mano un libro per me importantissimo.

Erano settimane che me lo portavo dietro, senza avere il coraggio di riaprirlo, rirespirarlo: si tratta del testo di Carlo Maria Martini e Georg Sporschill, "Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede".

Invece, grazie ad una serie di conversazioni notturne tra Pistoia e Parma e tra Parma e Parma, ho avuto il coraggio di riaprire il libro.

Il primo capitolo si intitola: "Quel che sostiene la vita".

Viene chiesto al cardinal Martini:

"Vi sono momenti in cui se la prende con Dio?"

Risponde Carlo Maria:

"Le mie difficoltà non hanno riguardato la sfera del quotidiano: quanto piuttosto un grande interrogativo: non riuscivo a capire perchè Dio lascia soffrire suo Figlio sulla croce. 

Perfino da vescovo, a volte, non riuscivo ad alzare lo sguardo verso il crocifisso, perchè questa domanda mi tormentava. Me la prendevo con Dio.

La morte continua ad esistere, tutti gli esseri umani devono morire. Perchè Dio lo vuole? Con la morte di suo Figlio avrebbe potuto risparmiare la morte agli altri uomini.

Soltanto in seguito un concetto teologico mi è stato di aiuto nel mio travaglio: senza la morte non saremmo in grado di dedicarci completamente a Dio. Terremmo aperte delle uscite di sicurezza, non sarebbe vera dedizione. Nella morte, invece, siamo costretti a riporre la nostra speranza in Dio e a credere in lui. Nella morte spero di riuscire a dire questo sì a Dio."

La conversazione prosegue:

"Noi cristiani crediamo che tutto sia creato per amore: ma allora da dove viene il male? Perchè c'è tanta sofferenza?"

Risponde Martini: "Se osservo il male nel mondo, esso mi toglie il respiro. Capisco che se ne deduce che non esista alcun Dio. Soltanto quando contempliamo il mondo per quello che è con gli occhi della fede può cambiare qualcosa. La fede suscita l'amore, porta a battersi per gli altri. Dalla dedizione, malgrado la sofferenza, nasce la speranza.

A volte, a posteriori, sentiamo che il male risveglia nell'uomo energie positive. Considero parte del male le circostanze che portano all'esistenza di bambini di strada, senzatetto e richiedenti asilo, cioè sembrano non avere posto nel mondo. 

Sono "peccati del mondo" anche le catastrofi naturali che falciano migliaia di persone. Ho constatato più volte tuttavia, che proprio questo male risveglia molte forze positive. I giovani si svegliano e affermano: voglio aiutare! 

In questo caso il male tira fuori il meglio dalle persone. Non è una spiegazione soddisfacente, ma intuiamo che dalla sofferenza possiamo imparare molto".

Concludeva la sua risposta il grande Cardinale di Milano:

"Nessun essere umano può rispondere all'interrogativo sull'origine del male, se non per approssimazione: Dio ha donato all'uomo la libertà. Non vuole il robot, degli schiavi, ma dei collaboratori. Collaboratori che rispondono alle proposte con un "sì" o con un "no", che amano oppure non amano, senza costrizione" (...)

Ricordo, parlando, alle soglie del Natale, di Vita e di nascita, proprio Emmanuele.

In una grande capitale d'Europa, venti anni dopo Tor Vergata.

Ricordo Emmanuele, l'Emmanuel, Dio fra noi, ma anche un bimbo di fronte, sorpresa e carezza inaspettata, dono, mistero e luce lungamente attesa, amata, infinitamente, dal cuore immacolato e dal battito nel battito di una Madre, ancor prima che quel bimbo si manifestasse, scalciasse, sorridesse.

Ricordo che l'eco di quel canto, di venti anni prima, mi avvolse mentre incontravo, stupito e felice, negli occhi della sua mamma, quel bambino. Dio tra noi, Dio con noi.

E a quel bimbo, anche, ho pensato ieri.

Ho pensato anche ad altri occhi. Quelli che non dimentico mai.

Mano nella mano. Croce di fronte a noi. Santa Maria del Rosario.

Un Grazie soffiato di gioia.

Un Grazie donato, ricevuto.

Con Gioia.

Avvento, Attesa.

Non ci ho mai capito molto, sinceramente, dell'attesa, del silenzio opportuno.

Ma la Luce, la Vita, la Luce di un bimbo e anche la sua futura Croce per noi,

quella la vedo.

Forte. Fragile. Vulnerabile. Umana. Divina. Spirito.

Quasi Natale.

Kairòs della Nascita, Mistero della Resurrezione.

Emmanuel.

Emmanuele

Emanuele.

Manuele.

Jacopo.

"Parola Viva che ci rinnova"

"Rischio della Fede".

"Angelo".

Natale è tra noi. 

Dio è con noi.

Francesco Lauria

venerdì 19 dicembre 2025

CISL SOTTO ESAME: CRISI DI AUTONOMIA, ECLISSE DEL PLURALISMO E DERIVA POLITICA

Dal riformismo autonomo al collateralismo di governo: la crisi culturale di un grande sindacato che ha smesso di pensarsi come soggetto critico e plurale nel conflitto sociale e democratico.

https://ildomaniditalia.eu/cisl-sotto-esame-crisi-di-autonomia-eclisse-del-pluralismo-e-deriva-politica/

La crisi culturale e politica della Cisl è sotto gli occhi di tutti. Un grande sindacato, che nasce fondato sulla cultura dell’autonomia, del contrattualismo e del riformismo, è da alcuni anni collocato su di una deriva che scivola a destra, in un sostanziale collateralismo mascherato del governo della destra post missina.

Lassenza di dibattito e la tentazione del potere

Non c’è più dibattito interno perché l’intero gruppo dirigente sembra come abbagliato da quella confusa cultura sociale di matrice rautiana che ispira la nostra destra di governo, ma in realtà è più chiaramente forse attratto dalla lusinga del potere, come dimostra la parabola del precedente segretario generale divenuto improvvisamente sottosegretario del governo Meloni per meriti sul campo. È oggi impossibile sfuggire alla sensazione che anche l’attuale vertice dell’organizzazione stia lavorando per garantirsi un seggio parlamentare fra 2 anni.

Il patto sociale” come foglia di fico

La proposta di un patto sociale lanciata nei giorni scorsi sembra l’ennesima foglia di fico per nascondere una totale mancanza di guida, di strategia, di ispirazione. È una proposta lanciata nel vuoto, senza adeguati contenuti, senza un percorso di reale dialogo, anzi ostentando la massima distanza possibile dalla CGIL, il maggior sindacato del paese. Senza un coinvolgimento anche minimo della UIL come in altre fasi è pure avvenuto.

Per parlare di concertazione bisogna anzitutto condividere una analisi comune con le altre maggiori parti sociali, dell’impresa e del lavoro. Oggi anche la Confindustria ha una posizione più autonoma da questo governo, il che è davvero paradossale.

La manovra di bilancio e ladesione acritica

La manovra di bilancio, del tutto priva di ogni visione socio-economica e di azioni riformatrici, è solo tesa a razionalizzare i conti pubblici, per ottenere fra pochi mesi da Bruxelles il via libera a spendere in grave ritardo quasi il 50% delle risorse del PNR ancora congelate per grave inefficienza del governo e incapacità di accelerare i procedimenti di spesa pubblica a tutti i livelli.

Questo dicono i dati, malgrado la incessante propaganda di regime. Ed anche per accantonare un tesoretto da mettere in bilancio nel prossimo anno elettorale, e promettere di spendere, salvo poi realizzare assai poco.

E la Cisl che dice?

E la Cisl che dice? Dice che, tutto sommato, non si tratta di una cattiva legge di bilancio, perché migliora il trattamento fiscale del ceto medio, anche di tutti coloro che hanno un reddito superiore ai 60 mila euro. Dice che con altri piccoli ritocchi potrebbe quasi essere perfetta. Non ci si può credere, eppure è così.

La rappresentazione irreale del lavoro

Basta leggere ciò che è scritto poi, sui siti ufficiali dell’organizzazione riguardo al mercato del lavoro. A via Po ascoltano la propaganda di Tele-Meloni e si autoconvincono. Una situazione quasi rosea, nella quale non esiste la condizione penosa di migliaia e migliaia di giovani del Sud che, dopo studi brillanti, sono costretti ad emigrare all’estero; dove non esistono alcuni milioni di lavoratori sottopagati e dove, invece di battersi per un salario minimo, ci si trincera dietro il simulacro dell’autonomia della contrattazione, che la Cisl di oggi difende per principio anche quando le parti sottoscrivono accordi indecorosi, specie per la debolezza del sindacato, in molti settori di lavoro non qualificato.

Quando la Cisl era una scuola di pensiero

Un tempo la Cisl disponeva del miglior centro studi sindacale, dove hanno lavorato e sono cresciute figure come Tiziano Treu o Ezio Tarantelli, Guido Baglioni o Pietro Merli Brandini. La Cisl di Mario Romani e Giulio Pastore ha imposto alla politica gli accordi contrattuali come fonte normativa primaria nel diritto del lavoro e dell’economia.

Oggi cosa c’è di tutto questo? Neanche un vago ricordo.

Il pluralismo perduto

Un tempo la Cisl assicurava un permanente pluralismo interno, di ispirazioni e di culture. E in questo confronto-laboratorio in costante riflessione si esprimevano sindacalisti come Pierre Carniti o Franco Marini, Luigi Macario o Franco Bentivogli, Eraldo Crea o Sergio D’Antoni. Democratici cristiani, cristiano-sociali, socialisti riformisti, tutti fermamente antifascisti, con la schiena dritta e mai inclini verso la destra postfascista ingrassata con i denari di Berlusconi.

Oggi il gruppo dirigente appare grigiamente omogeneo, incapace del minimo dibattito interno ed esterno.

Ripensare il sindacato, il lavoro, il futuro

Il sindacato oggi è molto debole nel nostro Paese e in tutto l’Occidente. È necessario lavorare per riaprire il dialogo e il confronto con tutte le principali organizzazioni nel paese e in Europa. È necessario pensare al lavoro del futuro, alle nuove tecnologie che, se ben gestite, possono portare sviluppo e benessere.

È necessario pensare alla integrazione di milioni di stranieri per tutti quei lavori che i nostri giovani non vogliono più fare. È necessario ripensare la scuola perché si rafforzi come spazio essenziale per l’educazione civile e la formazione critica. È urgente ripensare al modello di welfare, per accrescere le responsabilità di ciascuno e realizzare una effettiva universalità delle prestazioni.

Serve una Cisl allaltezza della propria storia

Servirebbe, per tutto questo, davvero una Cisl consapevole della propria straordinaria storia, capace, ad esempio, di riunire i migliori giovani studiosi ed elaborare nuove idee e proposte, scevra da penosi servaggi politici.

Servirebbe, ad esempio, che la Fondazione Franco Marini non fosse solo una targa per coprire le vergogne, ma si animasse di lavoro intellettuale e organizzativo per sostenere una ripartenza consapevole.

"MARIA" E IL LAVORO NERO. IL LABORATORIO DEGLI ORRORI E QUELLO DELLA COMPLICE INDIFFERENZA

 Foto da Il Tirreno

Montecatini: ho scelto di linkare l'articolo del Tirreno e non quello della Nazione, perchè il titolo di quest'ultimo, più diffuso giornale nella provincia di Pistoia, recitava: "Caporalato made in Cina".

Invece no. Troppo semplice.

Vi consiglio, invece, di leggere attentamente, l'articolo è ben scritto e molto puntuale il Tirreno:

https://www.iltirreno.it/montecatini/cronaca/2025/12/18/news/turni-da-14-ore-dita-amputate-e-letti-in-fabbrica-scoperto-in-toscana-il-laboratorio-degli-orrori-la-lavoratrice-che-ha-denunciato-tutto-1.100806752

Visto che sono fresco di corsi deontologici dell'ordine dei giornalisti userò un nome di fantasia: Maria.

Un nome non casuale, mi si conceda, in questo tempo ormai prossimo al Natale.

Ho pensato questa mattina, mentre, comodo, al caldo, anzi mangiandomi una pizzetta, alla tanta, tantissima indifferenza che incontro.

Indifferenza su di me, ovviamente, si vive tutto prima quello che ci accade in prima persona, ma indifferenza, direi, in generale.

Anche su noi stessi.

Torniamo a: "Maria".

Me lo sono immaginato il: "laboratorio degli orrori", così ben descritto nell'articolo.

Certo, in questo caso, e non siamo nemmeno a Prato: cinese.

Cinese come Maria. Carnefici e vittime.

Indifferenza e coraggio.

Ho pensato a quel dito mozzato.

Ad una donna abbandonata a se stessa al pronto soccorso.

Al freddo.

Tra una folla di volti non conosciuti.

Senza parlare bene, forse, la lingua italiana.

Ma, a volte, anche noi che ci siamo nati con la lingua italiana, le parole non le troviamo.

Non le troviamo di fronte alla menzogna che copre molestie e violenza nei luoghi di lavoro.

Non le troviamo di fronte ai laboratori dell'orrore che, tutti, tutti sanno, tutti sappiamo dove sono.

Non le troviamo quando compriamo una maglietta online a sette euro senza spese di spedizione, dall'altra parte del mondo, e non ci chiediamo da dove viene, chi la ha prodotta, con quale catena di fornitura e del valore è stata confezionata, in che modo arriva nelle nostre case.

Non le troviamo, non le abbiamo trovate, nemmeno di fronte all'immondo: "scudo per le imprese italiane della moda", così immondo che, perfino questa maggioranza di governo, per ora, non se la è sentita e lo ha ritirato.

Ecco, io di fronte al coraggio di "Maria" la parole, invece, le trovo.

Occorrerebbe, tra Prato e Montecatini una grande inchiesta: sul lavoro nero, sull'economia del lavoro nero e del "terzismo", sull'intreccio tra malavita italiana, russa e cinese, su condizioni di lavoro che si vivono nel capitalismo dello scarto, da ben prima dell'immigrazione cinese.

Troppo facile.

Poi certo, c'è anche, chi lo nega, un problema/tema specifico relativo alla comunità cinese che riguarda molti aspetti: il lavoro, la legalità in generale, la reciproca integrazione, la scuola, i giovani, gli anziani, etc.

Mi sono occupato, anche a livello apicale, nazionale ed europeo, e per decenni, di lavoro sommerso, di emersione, di "cabine di regie", "sinergia tra gli ispettori", "banche dati", cooperazione transfrontaliera, etc. etc. etc.

Il lavoro nero è un po' come la salute e sicurezza sul lavoro: tante parole, spesso di circostanza, e pochi, pochissimi fatti.

Perchè, purtroppo, il lavoro nero, nell'economia turbocapitalista dello scarto conviene. 

A tutti, tranne che ai lavoratori e alle lavoratrici, agli sfruttati invisibili del mercato selvaggio, locale e globale.

Dove è la rappresentanza?

Dove si tocca con mano la democrazia?

Che ne è della nostra Costituzione?

Io, sinceramente, di rappresentanza, democrazia e Costituzione, tra Prato e Montecatini, passando per Pistoia, vedo poco. 

Pochissimo. Quasi nulla.

Vedo l'orrore della complice indifferenza.

E poi vedo "Maria".

Il coraggio di una donna.

Cinese.

Un coraggio che ci insegna e che va ascoltato, respirato, sostenuto, amato.

Tiriamoci su le maniche, non fa nemmeno tanto freddo, c'è il riscaldamento globale.

Studiamo il percorso del tessile, dall'origine, fino agli smaltimenti illegali e nocivi, per tutti e per tutte.

Per i nostri figli e i nostri nipoti.

Tiriamoci su le maniche, riapriamo spazi di democrazia e rappresentanza.

Non è facile, anzi è parecchio difficile, complesso, per carità.

Un'utopia, tra Prato e Montecatini, passando per Pistoia, si direbbe.

Ma l'utopia, c'è chi ha scritto, ben prima di me:

"E' il cammino, l'orizzonte quotidiano che compiamo e osserviamo per raggiungerla".

Riaccendiamo la luce nel buio.

Torniamo a riscoprire il coraggio di guardare le stelle.

Torniamo a incontrare, a parlare, in qualsiasi lingua, un dialogo di pace e dignità con "Maria".

Non solo a Montecatini. Non solo a Prato. Non solo a Pistoia.

Francesco Lauria

mercoledì 17 dicembre 2025

IL BUIO, LA LUCE, LA STRADA: DI COSA SONO GRATO A ONOFRIO ROTA (EX SEGRETARIO GENERALE FAI CISL NAZIONALE)

 "(...) Per aprire feritoie nella notte che ci aspetta dobbiamo rischiare di essere pronti al fallimento e percorrere direzioni ostinate e contrarie."                        

Così scrive Guido Maria Brera nell'introduzione a: "La mossa numero 37" , Volume N.1, Chora Media, quadrimestrale diretto da Mario Calabresi.

Pensavo di scrivere un lungo post, anche in parte tecnico, sulla reggenza della Fai Cisl nazionale, decisa ieri, dopo le dimissioni da segretario generale di Onofrio Rota.

Preferisco, invece, un altro approccio.

Con Onofrio, alcuni mesi fa, ho svolto una lunga intervista, forse la seconda più lunga, di quelle che ho realizzato per il mio ultimo, "vituperato", "maledetto" libro: "Prospettive Sindacali".

No, non credo, su questo dissento con alcuni amici, che i sette anni di Onofrio a guida della Fai Cisl, siano stati "solo cinema", con i limiti che abbiamo tutti, lui si è, senza dubbio, impegnato, speso molto.

Incontrare i ghetti, la multireligiosità, la morte senza nome di una donna, la prigionia dei pescatori, i luoghi recuperati, non è stato cinema, anzi, è stato, davvero: "un atomo di verità", ovviamente, insieme, all'azione contrattuale, senza la quale un sindacato cessa di esistere come tale.

Peraltro se, come l'ex segretario generale Fai, affermava nella mia (nostra) intervista contenuta nel libro, la federazione di categoria ha al suo interno 150 nazionalità e 56.000 iscritti immigrati su 124.000, da un lato non può che sperimentare linguaggi diversi (l'ho imparato come formatore europeo e multiculturale in contesti, appunto, plurilinguistici) dall'altro non può che essere attenta alle frontiere, ai confini, alle fragilità e, come diceva Onofrio nell'interlocuzione con me, alla "prossimità".

Quando Onofrio Rota, (forse troppo in solitudine, ma quando si perde il potere ci si ritrova sempre soli, ex post) ha scelto di portare la raffigurazione del pianeta: "Gaia" allo spazio recuperato dell'ex scalo merci "Dumbo" durante il congresso nazionale di Bologna, ha scelto, coraggiosamente mentre il mondo e l'Europa stanno follemente andando in direzione ostinata e contraria, la bandiera della sostenibilità che: "alimenta il futuro".

 

Continuava Onofrio nella conversazione, con parole opportune che io condivido al 101%:

"Io dico sempre al nostro gruppo dirigente: ero abituato a fare dieci ore di assemblee nei luoghi di lavoro e non erano soltanto per il contratto, non erano soltanto per i turni, non erano soltanto per i premi di produzione, ma si entrava nei luoghi di lavoro anche per spiegare i cambiamenti sociali che la società vive. Oggi il ruolo del sindacato nuovo che voleva Pastore è proprio quello anche di emancipare il mondo del lavoro, avvicinarlo e connetterlo ai profondi cambiamenti che si vivono e che non vanno subiti. Non soltanto dentro i luoghi di lavoro, ma anche al di fuori"

Ho sempre apprezzato anche la sua conclusione del nostro scambio:

"Oggi il progresso, il benessere che vogliamo così tanto che sia diffuso, che venga bene ridistribuito, ha bisogno di una visione globale; non si possono rincorrere soltanto gli appetiti dei particolarismi, perderemmo di vista i grandi e profondi cambiamenti che stanno aumentando le disuguaglianze non solo nel nostro Paese. Si muore meno di fame però c’è sempre più gente che vive troppo bene rispetto a chi vive invece con limiti oggettivi".

Qualche tempo fa, dopo le mie dimissioni dalla Cisl da iscritto e la conseguente rinuncia dei procedimenti presso i probiviri che avevo intentato (anche contro Onofrio Rota), su un celebre e famigerato, quanto il mio ultimo libro, blog, è stato pubblicato un articolo che mi ha commosso e compreso fin dentro nell'anima.

Un articolo scritto da una persona che ha sempre fatto parte della Fai Cisl e ne ha formato centinaia di dirigenti, alcuni/e, lo sto sperimentando, di uno spessore sindacale e umano unici.

L'articolo, intitolato: "Le organizzazioni non perdono mai", si può leggere qui: 

https://www.il9marzo.it/?p=10861

In quel testo si parla della contrapposizione non scontata, ma frequente, tra persone e organizzazione.

Di come l'organizzazione, la "cosa", se dimentica le persone che, in realtà, dovrebbero essere ragione di vita e di senso, di poesia e prosa, di concretezza e sogno, non ha pertanto ragione di esistere se non nella stupidità e, a volte, nella violenza.

Ho chiesto e mi sono chiesto: che cosa ci spinge a credere ancora nel sindacato? (comunque lo si chiami, qualunque sia la sua sigla, il suo "brand"...)

Come sempre non ho trovato la risposta dentro di me, ma in un dialogo prezioso, illuminante (nel vero senso della parola).

Coerentemente con quanto affermava Rota (e pazienza se con me non è stato coerente, tutti facciamo errori nella vita) il sindacato non può che esistere nelle persone: nei loro occhi, nei loro sguardi, nei loro bisogni, nelle risposte, non solo individuali, ai bisogni.

Ma anche nelle aspirazioni, nel desiderio di dignità e condivisione.

Di  essere, non solo di fare, comunità educante.

Insomma nel mio dialogo mattutino la risposta è stata semplice e vera: "Continuo a credere nel mio stare nel sindacato - ho ascoltato - perchè mi sento utile CON le persone. Basta una luce che accenda il buio. Anche una".

No, non solo parole mie. Sono parole-dono.

Parole vissute, non enunciate.

Sono, poi, grato a Onofrio Rota anche di un'altra cosa.

Di aver valorizzato estremamente, anche qui in direzione ostinata e contraria, le riviste della Fai Cisl e l'archivio storico.

Ho scritto spesso, ma sono legato in particolare ad un articolo in cui parlavo del sindacalista dei braccianti chicani Cesar Chavez.

Delle lotte contrattuali contro le multinazionali dell'uva californiana, ma anche dei computer, per il sostegno alla ricerca di lavoro, nel deserto dell'Arizona alla fine degli anni Settanta (si non avete letto male, gli anni Settanta del Novecento, anno uno era Carniti, per la Cisl...)

Di quel grido: "Si se puede!", fatto proprio decenni dopo, in lingua inglese, da Barack Obama, che veniva dallo stesso orizzonte culturale e associativo, di Chavez, avendo praticato, negli anni Ottanta, il volontariato come avvocato di strada a Chicago.

Sono grato ad Onofrio e a tutta la Fai per aver tramandato questa storia di un "leader sindacale", scomparso all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso che ha ancora tanto da insegnarci.

Sulle lotte nonviolente, ad esempio.

Sulle marce dei diritti, oppure sui boicottaggi, anche di dimensione internazionale, che coinvolgono negozianti e cittadini.

Sul modo di cambiare, radicalmente il potere, anche senza prenderlo il potere.

Sul servizio, non sul dominio.

Modernità imperscrutabile.

No, non scorderò mai, mai l'immagine di Cesar Chavez, insieme a Bob Kennedy, opportunamente ripresa (vabbè nel 2022, grazie al sottoscritto...) dalle riviste della Fai Cisl.

Chavez e Kennedy interrompono, insieme, lo sciopero della fame per i diritti e contro i sindacati gialli e mafiosi, ad esempio degli autotrasportatori.

Lo fanno nutrendosi, abbracciando insieme l'Eucarestia.

No, non serve un sindacato confessionale, men che meno cattolico, in questo tempo, in questo sfrangiato kairòs.

Servono, invece, uomini e donne, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, anziani e anziane che non smettano di: "alimentare il futuro".

Di alimentarsi, compagni e compagne che "spezzano il pane" insieme, cibo della Speranza ("Sogno che si fa da svegli!") per le Persone e anche per l'organizzazione.

Servono persone che abbiano sete di Eucarestia, quotidianamente, comunque la chiamino, anche senza essere formalmente religiosi.

Servono i sogni dei vecchi e le visioni dei giovani.

In questo tempo. 

In questo sindacato, comunque lo si voglia chiamare, basta che: "sia giustizia insieme". Davvero.

Anche perchè, come è riportato nel titolo di un recente e ricchissimo saggio sul nuovo sindacalismo nordamericano, anche erede di Chavez: "We are the Union" - "Il sindacato siamo noi".

Buona strada Onofrio.

Francesco Lauria